Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 5 giugno 2017, n. 27788

Punita per violazione degli obblighi di assistenza familiare la mamma che non versa l’assegno per i figli affidati al padre se la signora è ancora giovane e si è rassegnata alla penuria di offerte di lavoro perché appagata dalla convivenza instaurata con un altro uomo

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 5 giugno 2017, n. 27788

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – rel. Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), n. (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 280/16 della Corte d’Appello di Milano del 15/01/2016;

esaminati gli atti e letti il ricorso e il provvedimento decisorio impugnato;

udita in camera di consiglio la relazione del Consigliere, Dott. O. Villoni;

udito il Pubblico Ministero in persona del sostituto P.G., Dr. Tampieri L., che ha concluso per l’inammissibilita’;

sentito il difensore della ricorrente, avv. (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano ha ribadito la responsabilita’, gia’ affermata in primo grado, di (OMISSIS) in ordine al reato di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies in relazione all’articolo 570 c.p., commi 1 e 2, con conferma della condanna alla pena ritenuta di giustizia e delle statuizioni in favore della parte civile costituita (OMISSIS), in qualita’ di legale rappresentante dei figli minori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).

La Corte territoriale ha ritenuto irrilevanti tutte le giustificazioni allegate dalla imputata a sostegno della propria incapacita’ economica ad adempiere agli obblighi di assistenza familiare, confermando cosi’ le valutazioni e le determinazioni assunte dal primo giudice.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, che articola i seguenti motivi d’impugnazione.

Erronea applicazione della legge penale in riferimento alla L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies e omessa motivazione in ordine all’accertamento dell’elemento psicologico del reato.

Mancanza e contraddittorieta’ della motivazione in ordine alle allegate condizioni economiche di natura tali da non consentirle di affrontare per l’intero gli obblighi civili impostile in sede di giudizio di divorzio, in relazione al comprovato stato di soggetto incolpevolmente disoccupato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito indicate.

2. Con il primo motivo, l’imputata lamenta che la sentenza impugnata risulta del tutto priva di motivazione in ordine all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato.

La doglianza e’ destituita di fondamento, atteso che la Corte territoriale, dopo avere ricordato che il reato contestato si consuma col mero inadempimento da parte del soggetto obbligato, ha compiutamente vagliato gli elementi allegati dall’imputata a sostegno della sua protestata incapacita’ ad assolvere all’obbligo economico stabilito dal giudice in sede di divorzio (tenore delle buste paga prodotte, risultanze delle dichiarazioni fiscali, documentazione attinente allo stato di disoccupazione), ritenendoli tuttavia insufficienti a dimostrare uno ‘stato di assoluta ed incolpevole indigenza’; la Corte milanese ha anzi definito l’imputata “donna ancora giovane (…) rassegnatasi alla penuria di offerte lavorative” e appagata della convivenza poi divenuta relazione affettiva con l’attuale compagno, in forza della quale ha posto soluzione ai suoi problemi personali ma non a quelli derivanti dagli obblighi legali nei confronti della prole rimasta a convivere con il genitore divorziato.

Cio’ premesso, va rilevato che il concetto di incapacita’ economica comportante l’impossibilita’ di adempiere in tutto o in parte agli obblighi assistenziali familiari risulta, tuttora, centrale nella giurisprudenza da tempo elaborata da questa Corte di legittimita’ al fine di valutare l’eventuale irrilevanza penale della condotta sanzionata dall’articolo 570 c.p., comma 2 dal momento che esso rappresenta un limite interno, non riconducibile in realta’ ad alcuna delle esimenti codificate (articolo 50 c.p. e segg.) ma piuttosto espressivo del principio di esigibilita’ della condotta da parte del reo, traduzione di quello costituzionale di responsabilita’ personale consapevole e non oggettiva che informa l’intero ordinamento penale.

Proprio per tale motivo, l’eventuale suo accertamento impone una verifica particolarmente attenta da parte del giudice di merito, che come punto di riferimento ha per l’appunto la rigorosa giurisprudenza sopra ricordata, la quale richiede, ai fini dell’esenzione da responsabilita’, la prova dell’assoluta impossibilita’ di contribuire al mantenimento della prole (Sez. 6, sent. n. 23017 del 29/05/2014, P., Rv. 259955), di una concreta e totale impossibilita’ di far fronte ai propri obblighi (Sez. 6, sent. n. 1283 del 25/06/1999, dep. 2000, Morfeo, Rv. 216826), di una indigenza assoluta da parte dell’obbligato (Sez. 6, sent. n. 5969 del 23/01/1997, Parisella G, Rv. 208307), di uno stato di vera e propria indigenza economica determinate l’impossibilita’ di adempiere, sia pure in parte, alla prestazione (Sez. 6, sent. n. 5780 del 01/03/1995, Ferraioli, Rv. 201674; Sez. 6, sent. n. 5218 del 15/03/1988, Grassi, Rv. 178252; Sez. 6, sent. n. 10540 del 14/06/1984, Spinelli, Rv. 166832).

Se alle predette considerazioni si aggiunge che il delitto previsto dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, articolo 12 sexies si configura per il semplice inadempimento dell’obbligo di corresponsione dell’assegno nella misura disposta dal giudice in sede di divorzio, prescindendo – a differenza del caso dell’articolo 570, comma 2 cit. – dalla prova dello stato di bisogno dell’avente diritto (per tutte v. Sez. 6, sent. n. 44086 del 14/10/2014, P., Rv. 260717), ne consegue che le valutazioni operate dalla Corte d’appello di Milano, che appaiono certamente rigorose, risultano tuttavia conformi all’interpretazione costante del citato concetto, valutazioni evidentemente non condivise dalla ricorrente ma che non per questo risultano censurabili in quanto viziate da una (addirittura) totale carenza di motivazione.

Il secondo motivo di ricorso rappresenta, infine, null’altro che una diversa esposizione delle ragioni che sorreggono il primo e per il quale valgono le argomentazioni ora espresse.

3. Alla dichiarazione d’inammissibilita’ dell’impugnazione segue, come per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si reputa equo determinare nella misura di Euro 1.500,00 (millecinquecento).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro millecinquecento in favore della cassa delle ammende.

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