Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 30 maggio 2017, n. 27108

Il delitto di falsa testimonianza non è integrato di per sé da dichiarazioni non corrispondente al vero, bensì da dichiarazioni contrarie a quanto forma oggetto delle consapevolezze del testimone: il reato di intralcio alla giustizia sussiste in quanto la condotta sia volta a indurre il teste a rendere una deposizione diversa da quella che egli avverte come corrispondente al vero

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 30 maggio 2017, n. 27108

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente

Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – rel. Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.M. presso il Tribunale di Reggio Calabria;

nei confronti di:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 07/11/2016 del Tribunale di Reggio Calabria;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Massimo Ricciarelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Viola Alfredo Pompeo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 7/11/2016 il Tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame, ha annullato quella in data 11/10/2016, con cui il G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria aveva applicato nei confronti di (OMISSIS) la misura cautelare della custodia in carcere per il delitto di cui all’articolo 377 c.p., comma 3, articolo 339 c.p., comma 1 e L. n. 203 del 1991, articolo 7, in relazione al comportamento tenuto il 12/1/2016 mentre dinanzi al Tribunale di Palmi era in corso la deposizione di (OMISSIS).

2. Ha presentato ricorso il P.M. presso il Tribunale di Reggio Calabria, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e).

Richiamata la condotta addebitata al (OMISSIS) e segnalato il passaggio della motivazione dell’ordinanza impugnata, nel quale era stato rilevato che il comportamento era consistito in un’ingerenza riprovevole, dovuta ad incapacita’ di autocontrollo, e che non si rinveniva il dolo specifico richiesto dalla norma, in ragione di una condotta attribuibile a reazione emotiva e non anche a comportamento finalizzato a costringere alla falsa testimonianza, il ricorrente segnala che il Tribunale aveva fornito una motivazione carente e contraddittoria, oltre che illogica, spingendosi arbitrariamente a scandagliare l’animo del (OMISSIS) per ravvisare la sua non volonta’ di incidere sulla testimonianza, senza valutare gli elementi di natura oggettiva concernenti la materialita’ dell’azione e altri elementi come la causale dell’azione, i rapporti con la vittima, il comportamento antecedente e contemporaneo dei protagonisti.

Il Tribunale non aveva considerato la tipologia di espressioni usate in un frangente decisivo al cospetto del testimone, relegando il gravissimo episodio a riprovevole reazione emotiva.

L’utilizzo di frasi minatorie non avrebbe potuto avere altra finalita’, salvo volerle privare del significato letterale e prescindere dal contesto di tempo e di luogo, che deponeva per la volonta’ di influire sul teste terrorizzandolo.

Le modalita’ usate erano inoltre tipiche dell’appartenente ad associazione di stampo mafioso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve innanzi tutto rilevarsi che prima dell’udienza il difensore del (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), aveva fatto pervenire dichiarazione di adesione all’astensione dalle udienze, proclamata dall’Organismo di categoria.

Il Procuratore Generale in udienza ha espresso parere contrario ad un rinvio del procedimento per tale causa, concludendo nel merito.

L’avviso del Procuratore Generale merita piena condivisione.

1.1. Va al riguardo osservato che, come risulta da una serie di pronunce della Corte di cassazione nella sua piu’ autorevole composizione, l’adesione all’astensione dalle udienze costituisce espressione di un diritto di rilievo costituzionale del difensore, che trova attualmente la sua disciplina nell’apposito codice di autoregolamentazione, dichiarato idoneo dalla Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, codice che costituisce fonte di diritto oggettivo, contenente norme aventi forza e valore di normativa secondaria o regolamentare, vincolanti “erga omnes” (Cass. Sez. U. n. 40187 del 27/3/2014, Lattanzio, rv. 259926).

Il codice vale dunque a delineare i presupposti formali e le modalita’ di esercizio del diritto di astensione, dettando norme che sono volte ad assicurare un adeguato contemperamento con altri valori di pari rango, secondo quanto desumibile dalla L. n. 146 del 1990 e dalla sentenza n. 171 del 1996 della Corte costituzionale (Cass. Sez. U. n. 40187 del 27/3/2014, Lattanzio, rv. 259927).

Cio’ significa che il diritto all’astensione sussiste nei limiti in cui il codice ne garantisce l’esercizio, dovendosi escludere che il difensore possa legittimamente astenersi al di fuori dei presupposti e delle condizioni ivi disciplinate.

In tale quadro e’ stato altresi’ rilevato che il diritto all’astensione sussiste anche nei procedimenti e processi nei quali la presenza del difensore non si configura come obbligatoria, nel rispetto delle condizioni al riguardo previste (Cass. Sez. U. n. 15232 del 30/10/2014, dep. nel 2015, Tibo, rv. 263022).

1.2. Orbene, il codice di autoregolamentazione all’articolo 4 disciplina le prestazioni indispensabili, rispetto alle quali non puo’ essere fatto valere il diritto all’astensione.

Tale norma con riguardo alla materia penale stabilisce che l’astensione “non e’ consentita in riferimento: a) all’assistenza al compimento degli atti di perquisizione e sequestro, alle udienze di convalida dell’arresto e del fermo, a quelle afferenti misure cautelari, agli interrogatori ex articolo 294 c.p.p., all’incidente probatorio ad eccezione dei casi in cui non si verta in ipotesi di urgenza, come ad esempio di accertamento peritale complesso, al giudizio direttissimo e al compimento degli atti urgenti di cui all’articolo 467 c.p.p., nonche’ ai procedimenti e processi concernenti reati la cui prescrizione maturi durante il periodo di astensione, ovvero, se pendenti nella fase delle indagini preliminari, entro trecentosessanta giorni, se pendenti in grado di merito, entro centottanta giorni, se pendenti nel giudizio di legittimita’, entro novanta giorni; b) nei procedimenti e nei processi in relazione ai quali l’imputato si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove l’imputato chieda espressamente, analogamente a quanto previsto dall’articolo 420-ter, comma 5 (introdotto dalla L. n. 479 del 1999) del codice di procedura penale, che si proceda malgrado l’astensione del difensore. In tal caso il difensore di fiducia o d’ufficio, non puo’ legittimamente astenersi ed ha l’obbligo di assicurare la propria prestazione professionale”.

Come risulta dalla piana analisi del testo sono dunque delineate due categorie di prestazioni indispensabili, la prima connotata dal dato ontologico dell’urgenza dell’attivita’ da compiere in funzione del conseguimento di peculiari esigenze di tipo cautelare, la seconda dalla necessita’ di assecondare il primario diritto dell’imputato che si trovi in stato di custodia cautelare o di detenzione.

Nell’ambito della prima categoria sono specificamente contemplate le udienze “afferenti misure cautelari”, riferite cioe’ alla trattazione della materia cautelare, a prescindere dallo status custodiae di un soggetto indagato: cio’ ben si spiega in ragione del fatto che, ove vengano in considerazioni misure cautelari, in corso di esecuzione o comunque devolute alla cognizione del Giudice, e’ necessario salvaguardare sia le esigenze del soggetto che vi sia eventualmente sottoposto sia nel contempo le finalita’ che le misure fisiologicamente perseguono, cioe’ la funzione cautelare, tanto piu’ alla luce della vigente disciplina delle misure personali, che particolarmente sottolinea la necessita’ che le esigenze poste alla base della misura siano concrete e attuali.

Il riferimento alle misure cautelari dunque non postula l’attualita’ della sottoposizione ad una misura cautelare custodiale, ma semplicemente assume valore descrittivo di un dato ontologico, riguardante l’oggetto dell’udienza che deve svolgersi, nella quale potrebbero venire in discussione misure cautelari di vario genere, anche non custodiali.

Cio’ significa dunque che tutte le udienze dedicate a procedimenti di riesame o di appello cautelare, comprese quelle concernenti le ulteriori fasi di impugnazione, rientrano nella sfera di operativita’ del descritto limite al diritto all’astensione.

Non puo’ per contro invocarsi quanto previsto con riguardo alla seconda tipologia di prestazioni indispensabili: in questo caso lo status custodiae dell’imputato costituisce un limite alla facolta’ di astensione del difensore, in quanto quell’imputato abbia manifestato la volonta’ contraria.

Proprio la circostanza che sia autonomamente previsto il caso dell’imputato in stato di custodia cautelare conferma che la prima categoria di prestazioni indispensabili non e’ legata a quel presupposto e non interferisce con esso.

Con riguardo al tema delle misure cautelari personali tali principi trovano riscontro in conformi arresti della Corte di cassazione (si rinvia in particolare a Cass. Sez. U. n. 26711 del 30/5/2013, Ucciero, rv. 255346, che, proprio con riguardo a giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di cassazione ai sensi dell’articolo 311 c.p.p. ha affermato che “nei procedimenti relativi a misure cautelari personali non e’ consentita l’astensione dalle udienze parte del difensore che aderisca ad una protesta di categoria, in quanto l’articolo 4 del Codice di “Autoregolamentazione delle astensioni dalle udienze degli avvocati”, adottato il 4 aprile 2007 e ritenuto idoneo dalla Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi essenziali con Delib. del 13 dicembre 2007, avente valore di normativa secondaria, esclude espressamente che l’astensione possa riguardare le udienze penali “afferenti misure cautelari”).

Peraltro analoghi principi sono stati coerentemente affermati, sulle stesse basi ermeneutiche, anche con riguardo alle misure cautelari reali (Cass. Sez. 2, n. 50339 del 3/12/2015, Ortolan, rv. 265527), a conferma della ratio sottesa all’articolo 4 del codice di autoregolamentazione.

1.3. Discende da cio’ che la dichiarazione inviata dall’Avv. (OMISSIS) non avrebbe potuto suffragare il valido esercizio del diritto all’astensione, in quanto veniva in rilievo nel caso di specie il ricorso del P.M. avverso un’ordinanza emessa in sede di riesame, a fronte di misura cautelare in precedenza applicata a (OMISSIS): di qui, in conformita’ con le richieste del Procuratore Generale, la presa d’atto dell’insussistenza dei presupposti per il rinvio.

2. Il ricorso del P.M. e’ fondato.

3. Deve rilevarsi che la misura era stata emessa nei confronti di (OMISSIS), in quanto costui, nel corso di un processo penale a carico suo, di suo fratello Giuseppe e di sua madre – tutti chiamati a rispondere del delitto di estorsione aggravata -, mentre stava deponendo il teste chiave (OMISSIS), aveva cominciato a reagire in udienza, invitando il teste a giurare su suo figlio e recriminando sul fatto di averlo in passato favorito in tutto, fino a formulare, quando veniva condotto fuori dell’aula, minacce di morte e ad accusare il teste di essere infame e bastardo.

4. Il Tribunale ha inteso attribuire alla condotta del (OMISSIS), come descritta nell’ordinanza applicativa della custodia cautelare, non il significato di una minaccia volta a coartare la libera determinazione del teste che stava deponendo, bensi’ di una pur sconveniente reazione emotiva conseguente ad una testimonianza gia’ resa, piuttosto che diretta ad ottenere una deposizione compiacente.

A tal fine il Tribunale ha essenzialmente valorizzato il fatto, difensivamente dedotto, che in corso di indagini il teste (OMISSIS) aveva reso due diverse versioni, avendo solo nella seconda, poi confermata al dibattimento con non meglio indicate modifiche, formulato accuse nei confronti dei (OMISSIS).

Ha inoltre prospettato che la reazione del (OMISSIS) aveva fatto seguito alla sottolineatura fatta dal (OMISSIS) in ordine al giuramento in quella circostanza prestato.

5. Cio’ posto, si rileva che e’ stato ipotizzato a carico del (OMISSIS) il delitto di intralcio alla giustizia di cui all’articolo 377 c.p., comma 3, nel presupposto che egli avesse formulato minacce a soggetto che aveva assunto la veste di testimone, al fine di indurlo a rendere una deposizione falsa.

Tale reato, introdotto dalla L. n. 146 del 2006, si perfeziona con il compimento dell’azione minacciosa o violenta, purche’ volta ad indurre il soggetto a compiere uno dei delitti di cui agli articoli 371-bis, 371-ter, 372 o 373, sempre che il fine non sia conseguito: con riguardo a soggetto che abbia assunto veste di testimone il fine deve dunque aver ad oggetto il compimento del delitto di falsa testimonianza.

Si tratta di fattispecie che si sovrappone, con riguardo all’ipotesi dell’assunzione della veste di testimone e di quella ad essa connessa di pubblico ufficiale (cfr. Cass. Sez. U. n. 15208 del 25/2/2010, Mills, rv. 246582), all’ipotesi di reato di cui all’articolo 336 c.p. in relazione alla violenza o minaccia esercitata per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai suoi doveri (ed invero proprio tale fattispecie e’ stata in altra occasione ravvisata nel caso di minaccia rivolta contro un testimone: Cass. Sez. 6, n. 25150 del 3/4/2013, Testa, rv. 256809, che ha sul punto confermato un antico orientamento interpretativo nato assai prima della modifica dell’articolo 377 c.p. da parte della L. n. 146 del 2006): peraltro il vigente articolo 377, comma 3, risulta connotato da elementi specializzanti e dalla previsione di una pena potenzialmente piu’ elevata (la pena prevista per il reato consumato di falsa testimonianza deve essere ridotta in misura non eccedente un terzo, cosicche’ la pena massima per il reato in esame puo’ essere di poco inferiore ad anni sei, mentre l’articolo 336 c.p. prevede una pena massima di anni cinque), fermo restando che la previsione, come circostanza aggravante, delle condizioni di cui all’articolo 339 c.p. conferma l’inquadramento della fattispecie all’interno della stessa materia, agli effetti dell’articolo 15 c.p., con la conseguenza che all’articolo 377 c.p., comma 3 e’ ora necessario fare riferimento, anche nel caso in cui la condotta sia rivolta contro chi abbia assunto veste di testimone.

Sotto altro profilo deve osservarsi che rileva di per se’ il momento in cui la minaccia o la violenza intervengano, purche’ idonee a conseguire il fine perseguito: e’ percio’ inconferente che la violenza o la minaccia, com’e’ fenomenicamente piu’ frequente, siano poste in essere in modo riservato, prima della deposizione, ovvero che intervengano mentre questa e’ in corso.

Va inoltre rimarcato che il delitto di falsa testimonianza non e’ integrato di per se’ da dichiarazioni non corrispondenti al vero, bensi’ da dichiarazioni contrarie a quanto forma oggetto delle consapevolezze del testimone:

corrispondentemente il reato di intralcio alla giustizia sussiste in quanto la condotta sia volta ad indurre il teste a rendere una deposizione diversa da quella che egli avverte come corrispondente al vero.

6. Alla luce di tale analisi risulta piu’ agevole comprendere in quali termini il ricorso risulti fondato.

Il Tribunale invero, pur muovendo dalla ricostruzione operata dal G.I.P., non ha poi basato il proprio convincimento su dati oggettivamente rilevati bensi’ su una immotivata suggestione, che non ha ancorato a dati fattuali, logicamente correlabili al convincimento espresso.

Va infatti osservato che la vicenda implicava un giudizio sulla contestualizzazione delle frasi pronunciate dal (OMISSIS), le quali si correlavano di per se’ ad una deposizione sfavorevole, come tale avvertita e ancora in corso.

A fronte di cio’ il Tribunale non ha esaminato alla luce di tutti gli elementi disponibili, inerenti al contesto dei rapporti tra le parti, il tema della concreta idoneita’ della minaccia ad incidere sulla liberta’ di autodeterminazione del teste, non ha valutato se il (OMISSIS) avesse contezza di formulare una minaccia e avesse valutato l’idoneita’ della stessa ad intimorire il teste, non ha chiarito, a tale stregua, in che modo potesse influire la circostanza che il (OMISSIS) avesse reso in precedenza dichiarazioni diverse, rispetto a quanto dichiarato e confermato in sede dibattimentale, e soprattutto non ha valutato correttamente il tipo di finalizzazione necessaria per l’integrazione del reato oggetto di contestazione.

In particolare il Tribunale non ha considerato quanto risultava dall’ordinanza del G.I.P. in ordine all’intervenuta condanna del (OMISSIS) nel prosieguo del processo a suo carico e non si e’ correlativamente misurato con il tema cruciale rappresentato dalla ragionevolezza o meno di un opposto avviso in merito ai fatti oggetto della deposizione, a fronte di quanto se del caso poteva costituire per il (OMISSIS) reale oggetto della sua consapevolezza: sul punto il P.M. ricorrente ha altresi’ sottolineato come il (OMISSIS) avesse fatto riferimento alla circostanza di aver aiutato il (OMISSIS) in tutto e lo avesse altresi’ apostrofato come infame e bastardo, elementi risultanti dallo stesso tenore della contestazione provvisoria, che avrebbero imposto un attento vaglio critico, in concreto mancato, al fine di illustrare gli intendimenti del (OMISSIS).

In tal modo risulta altresi’ apodittica, a fronte della pur descritta concatenazione dei fatti, l’affermazione che il (OMISSIS) avesse avuto una reazione emotiva e che tale reazione si riferisse ad una testimonianza gia’ resa, in assenza di qualsivoglia riferimento alla potenziale incidenza delle frasi pronunciate dal (OMISSIS) sulla prosecuzione della deposizione in rapporto ai suoi ulteriori contenuti.

Nel complesso dunque, in conformita’ con quanto dedotto dal ricorrente, la motivazione del provvedimento impugnato risulta incompleta e tale da disvelare lacune nella concreta successione logica degli argomenti.

7. L’ordinanza impugnata deve essere in conclusione annullata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Reggio Calabria per nuovo esame.

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