Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 28 aprile 2017, n. 20281

E’ abusivo esercizio di una professione, ai sensi dell’art. 348 c.p., chi – non abilitato all’esercizio della professione di dietista o di biologo – prescrive programmi alimentari, elargendo generici consigli alimentari, svolgendo attività di educazione alimentare

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 28 aprile 2017, n. 20281

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Giovanni – Presidente

Dott. PETRUZZELLIS Anna – rel. Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia A. – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 08/07/2015 della Corte d’appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento denunziato ed il ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Tampieri Luca, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

udito l’avv. (OMISSIS), che si e’ riportato ai ricorsi sollecitandone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 08/07/2015, ha confermato l’affermazione di responsabilita’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) in relazione al reato di cui all’articolo 348 cod. pen. pronunciata dal Tribunale di Brindisi – sezione di Mesagne – il 03/12/2012.

L’accertamento nasce da un controllo presso le palestre gestite dagli odierni ricorrenti, eseguito dalla Guardia di Finanza, nel corso del quale erano state reperite schede di alimentazione personalizzata redatte per i frequentatori dei centri, che davano origine alla contestazione in quanto nessuno dei titolari delle strutture era in possesso del titolo abilitativo di medico dietista o biologo, ritenuto necessario per tale tipo di prestazioni.

2. Ha proposto ricorso la difesa di (OMISSIS) e (OMISSIS) con il quale si denuncia:

2.1. nullita’ della sentenza per contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione, nella parte in cui ha ritenuto che la L. 24 maggio 1967, n. 396, articolo 3 riservi ai biologi la valutazione dei bisogni nutritivi ed energetici dell’uomo, preclusione espressamente smentita da pronunce della giustizia amministrativa. La circostanza esclude la punibilita’ della condotta nell’ipotesi, quale quella di specie, nella quale non vi sia prova di esercizio esclusivo e continuativo dell’attivita’ professionale, presupposto dell’applicazione della disciplina incriminatrice in ragione dei principi fissati sul punto dalla giurisprudenza della Corte di legittimita’ a Sezioni Unite.

2.2. nullita’ della sentenza per contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione, nella parte in cui si e’ giunti all’affermazione di responsabilita’ malgrado si fosse accertato che gli interessati si erano limitati a redigere programmi alimentari in favore di persone sane, senza disporre accertamenti su intolleranze, o condizioni fisiche specifiche dei destinatari dei programmi alimentari, situazione che esula, secondo i ricorrenti, dalla fattispecie penale contestata.

2.3. nullita’ della sentenza per erronea applicazione dell’articolo 533 cod. proc. pen. e contraddittorieta’ della motivazione, per aver affermato la responsabilita’ in mancanza di elementi di certezza.

2.4. nullita’ della sentenza per erronea applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen. e contraddittorieta’ della motivazione per non aver offerto corretta applicazione della disposizione richiamata, malgrado l’evidenza della sussistenza delle condizioni della causa di non punibilita’, secondo quanto emerge dalla pronuncia impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati.

2. Richiamata in fatto la circostanza che nel corso del sopralluogo presso i centri gestiti dagli interessati vennero reperite plurime schede alimentari personalizzate, con indicazione delle caratteristiche fisiche di ogni cliente sottoposto a valutazione, espresso diario alimentare con limitazione temporale di validita’ di tali indicazioni e previsione di revisione delle prescrizioni alle date indicate, deve in via preliminare escludersi la lettura riduttiva degli eventi, li’ dove gli odierni ricorrenti rivendicano l’elargizione di generici consigli alimentari, rientranti nello svolgimento in un’attivita’ di educazione alimentare, posto che la natura particolareggiata e personale delle opposte indicazioni, evidenziano una realta’ differente, secondo quanto coerentemente ricostruito nella sentenza impugnata.

Ne’ e’ possibile accedere alla chiave di lettura offerta dagli interessati sulla pretesa natura non dispositiva della L. 24 maggio 1967, n. 396, articolo 3 in quanto, in senso contrario a quanto allegato, tale disposizione alla sua lettera b) attribuisce alla competenza professionale del biologo la valutazione dei bisogni energetici e nutritivi dell’uomo, previsione di ampia portata e rispetto alla quale non sussiste il presupposto di fatto – rinvenibile nell’esercizio non esclusivo dell’attivita’ – che secondo le indicazioni della nota sentenza delle Sezioni Unite (n. 11545 del 15/12/2011 – dep. 23/03/2012, Cani, Rv. 251819), in forza di quanto evocato dai ricorrenti, escluderebbe nella specie la configurabilita’ del reato.

Tale arresto invero si confrontava con la disciplina in tema di contabilita’ e dichiarazione dei redditi, attivita’ non esclusiva dei dottori commercialisti o dei ragionieri, ben potendo anche essere rimessa alla cura del singolo, non dotato di titolo abilitativo, che pertanto puo’ integrare il reato di esercizio abusivo della professione solo se riguarda attivita’ prestata con carattere di continuita’ e professionalita’.

Al contrario, nel caso concreto, l’individuazione dei bisogni alimentari dell’uomo attraverso schemi fissati per il singolo con rigide previsioni e prescrizioni, se non e’ esclusiva del medico biologo, puo’ competere in via concorrente ad altre categorie professionali per le quali e’ comunque prescritta l’acquisizione di una specifica abilitazione, quali medici, farmacisti, dietisti, fatte salve le competenze stabilite nelle normative di settore, ma mai, proprio per le ricadute in termini di salute pubblica che tali prescrizioni assumono, essere esercitate da persone che siano prive di competenza in tema sanitario, quali gli odierni ricorrenti.

In tal senso muove anche la giurisprudenza amministrativa citata nel ricorso ove si riconosce la natura non esclusiva, ma pur sempre professionale dell’attivita’ di prescrizione dietistica.

Per contro in fatto, proprio il rinvenimento di plurime schede di trattamento, secondo la ricostruzione emergente dalle pronunce di merito, esclude anche la fondatezza dell’ulteriore presupposto richiesto dalla tesi richiamata negli atti difensivi, individuato nella natura occasionale, non professionale e non organizzata delle prestazioni rese, caratteristiche, per quanto si e’ detto, diverse da quelle oggetto del presente accertamento.

3. Le contestazioni di fatto aventi ad oggetto l’effettiva tipologia delle prescrizioni offerte alla clientela si scontrano con le opposte deduzioni contenute nella sentenza di merito, e risultano volte a sollecitare una non consentita rivisitazione di merito, al di fuori degli ambiti valutati rimessi a questa alla Corte di legittimita’ sul percorso giustificativo della decisione, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e); in tal senso, conseguentemente, risulta manifestamente infondato anche il rilievo attinente al mancato rispetto del criterio decisionale del ragionevole dubbio, non residuando, alla luce di quanto evidenziato, l’incertezza ricostruttiva richiamata dai ricorrente.

4. Inammissibile risulta da ultimo la censura inerente alla mancata verifica di non punibilita’ dei fatti ai sensi dell’articolo 131-bis cod. pen..

Richiamata la circostanza che la disciplina indicata e’ entrata in vigore nel corso della pendenza del giudizio di appello, affinche’ venisse ampliato l’ambito della devoluzione in quel procedimento era essenziale che la parte formulasse una specifica richiesta di merito al riguardo, attraverso deposito di memorie, o semplicemente con l’espressione dell’istanza in sede di conclusioni, che non risulta formulata.

Sul punto conseguentemente non puo’ essere sollevata alcuna censura, ne’ riguardo ad una pretesa violazione di legge mai eccepita, ne’ a fortiori riguardante l’omessa argomentazione sul punto, posto che, trattandosi di valutazione di merito che avrebbe dovuto essere oggetto di sollecitazione in quella sede, il giudice di legittimita’ in argomento puo’ spiegare solo un controllo di correttezza sul piano della completezza e della logicita’ dell’argomentazione, non una valutazione sostitutiva di una verifica di fatto non rimessa al giudice competente.

5. Alla pronuncia di infondatezza dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, in applicazione dell’articolo 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *