Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 24 luglio 2017, n. 36739

Affinchè si possa configurare il concorso morale nel reato occorre che vi sia prova di un comportamento esteriore qualificabile come contributo alla commissione del reato, nel senso che esso abbia fatto sorgere il proposito criminoso altrui o che lo abbia rafforzato, ovvero ancora che abbia agevolato l’azione illecita, materialmente posta in essere da altri

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 24 luglio 2017, n. 36739

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna ha confermato la sentenza di condanna, emessa all’esito del giudizio abbreviato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna in data 17 dicembre 2010, di R.N. , V.A. e N.R. , appartenenti al (omissis) , per i delitti di resistenza a pubblico ufficiale aggravati (capo a), lesioni aggravate (capo b) e danneggiamento aggravato (capo c) posti in essere in (omissis) , al fine di contrastare un concerto programmato da un movimento di estrema destra.
2. L’avv. Daniela Goldoni, nell’interesse di V.A. , e l’avv. Mattia Maso, nell’interesse di N.R. e di R.N. , ricorrono avverso tale sentenza e ne chiedono l’annullamento, deducendo ciascuno due motivi.
3. Con il primo motivo l’Avv. Daniela Goldoni, nell’interesse di V.A. , si duole della carenza di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità del proprio assistito e, segnatamente, alla compiuta identificazione del medesimo.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la erronea applicazione della legge penale e, segnatamente, dell’art. 110 cod. pen., in quanto la sentenza impugnata aveva fatto ricorso ad una sorta di “responsabilità collettiva”, senza precisare il contributo causalmente rilevante idoneo a fondare la propria responsabilità concorsuale nelle condotte di danneggiamento aggravato contestate.
4. Con il primo motivo, identico per entrambi i ricorrenti, l’avv. Mattia Maso, nell’interesse di N.R. e di R.N. , lamenta la violazione dell’art. 110 cod. pen. in relazione alla fattispecie di concorso morale in danneggiamento aggravato. La sentenza impugnata, infatti, aderendo acriticamente alla impostazione della sentenza di primo grado, non era riuscita ad identificare con certezza un contributo causale posto in essere dagli imputati nel momento in cui erano stati posti in essere i danneggiamenti di cui al capo c) ed aveva dilatato parossisticamente la fattispecie del concorso di persone nel reato.
Con il secondo motivo, parimenti identico per entrambi i ricorrenti, il difensore censura la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla qualifica degli imputati come concorrenti nel delitto di danneggiamento aggravato.
Secondo la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, infatti, dapprima, un gruppo composto da soggetti non identificati aveva compiuto danneggiamenti aggravati contro gli sportelli bancomat e solo dopo oltre un’ora si erano verificati gli scontri con le forze dell’ordine che avevano portato agli arresti del N. e del N. .
In questo contesto non si comprendeva quale apporto concorsuale avessero arrecato gli imputati alle condotte di danneggiamento aggravato. La condotta di resistenza a pubblico ufficiale non poteva, infatti, in alcun modo, aver influito sugli eventi precedenti. La Corte di Appello, pertanto, con motivazione illogica, aveva invertito cause e conseguenze, momenti originari e sviluppi successivi.

Considerato in diritto

1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.
2. Con il primo motivo di ricorso, il V. censura la carenza di motivazione in ordine alla affermazione di responsabilità del proprio assistito e, segnatamente, alla compiuta identificazione del medesimo.
La sentenza impugnata non aveva, infatti, tenuto conto della visione delle riprese video e della documentazione fotografica in atti. Non vi era, pertanto, certezza della identificazione del V. in uno degli autori dei delitti contestati in quanto in quattro ore di video e nelle numerose fotografie non emergeva mai la sua figura tra coloro che avevano posto in essere le condotte di danneggiamento o che, almeno, erano stati prossimi agli autori delle condotte criminose contestate.
L’agente S. , inoltre, non aveva riconosciuto il V. tra i suoi aggressori né per la corporatura o per i tratti somatici, ma lo aveva identificato solo in quanto “indossava dei jeans grigi e un giubbotto nero” e tale sommaria identificazione non era stata operata al momento dell’arresto, ma solo ore dopo in Questura.
Tali indumenti erano, peraltro, indossati, con fogge e colori simili, da decine di persone quel giorno; l’assistente A. aveva, inoltre, descritto una persona travisata con pantaloni chiari ed una felpa, non un giubbotto, nera che sferrava colpi ai suoi colleghi, ma non aveva affermato di aver visto tale persona attingere il S. ; dalle fotografie scattate al momento dell’arresto, del resto, il V. non aveva né un bastone, né una arma.
2. Tali censure si rivelano, invero, infondate e, pertanto, devono essere disattese.
3. Nella sentenza impugnata la identificazione del V. è congruamente motivata a pag. 4, evidenziando che l’imputato era stato bloccato da alcuni agenti, e segnatamente, dall’assistente A.M. e dall’agente scelto P.S. , dopo che aveva colpito con un bastone altri loro colleghi.
Secondo la Corte di Appello di Bologna nessun dubbio, pertanto, poteva, ragionevolmente insorgere riguardo all’identificazione del V. , atteso che il medesimo, non solo era presente sul posto, ma era anche armato di bastone con il quale era stato visto infierire alla rinfusa e colpire, tra gli altri, l’agente scelto S. .
Nella sentenza si rileva, inoltre, come il V. facesse parte del gruppo dei più facinorosi ed esagitati, che armati come altri di bastone, utilizzato per l’attacco agli agenti, aveva rafforzato, con la loro presenza e con l’ostentazione della loro aggressività, le azioni offensive di tutti i componenti del gruppo.
Nella valutazione tutt’altro che illogica della Corte di Appello di Bologna, inoltre, non rilevava in favore dell’imputato la circostanza, pur rimarcata dalla difesa, che, al momento del suo arresto il V. non impugnasse alcun bastone, ben potendo l’imputato, nella confusione del momento, averlo gettato a terra senza essersi fatto notare da alcuno.
Infondate si rivelavano, peraltro, anche le censure svolta dal ricorrente relativamente alla omessa visione da parte dei giudici di merito dei filmati, in quanto nelle sentenza di primo grado si evidenzia come la mancata documentazione video delle fasi della carica della polizia e della conseguenti resistenze e lesioni non era risultata dirimente, in quanto le annotazioni di indagine erano state corredate da un ampio compendio di documentazione fotografica che si saldava sinergicamente con quanto osservato direttamente dagli operanti.
Ritiene il Collegio che le valutazioni espresse nella sentenza impugnata non rivelino contraddittorietà o manifeste illogicità e, pertanto, si sottraggono al sindacato di questa Corte.
4. Il ricorso deve, invece, essere accolto con riferimento al secondo motivo proposto dal V. ed ai motivi proposti dal N. e dal N. , che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione, mediante i quali i ricorrenti hanno censurato la erronea applicazione dell’art. 110 cod. pen. con riferimento alle condotte di danneggiamento aggravato contestate al capo c) della imputazione.
5. Deduce il V. che la Corte di Appello di Bologna, accedendo alla teorizzazione di una sorta di responsabilità collettiva per ogni azione compiuta, anche da terzi, dall’inizio della manifestazione, aveva ritenuto sussistente un contributo morale dell’imputato anche ai reati di danneggiamento di cui al capo c), ancorché gli stessi fossero stati commessi in una fase temporalmente antecedente a quella in cui si sarebbero state poste in essere le condotte di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali.
La Corte di Appello aveva, pertanto, violato i principi che regolano l’attribuzione della responsabilità penale in materia concorsuale.
6. Con analoghi accenti il N. ed il N. lamentano che le condotte dal medesimo posti in essere nel pomeriggio del (omissis) non potevano essere forzatamente dilatate sino ad essere qualificate alla stregua di forme di concorso morale in danneggiamento aggravato.
La sentenza impugnata, infatti, non era riuscita ad identificare con certezza la condotta degli imputati idonea ad integrare un contributo causale alla realizzazione dei danneggiamenti e tale dimostrazione non poteva essere assolta richiamando esclusivamente la circostanza della presenza degli imputati alla manifestazione nel cui contesto erano state realizzate le condotte delittuose per cui si procede.
7. Tali doglianze devono essere accolte in quanto fondate.
La sentenza impugnata, premettendo che la pronuncia di primo grado aveva dato conto in modo preciso e dettagliato delle risultanza processuali e rilevando che le statuizioni della sentenze di primo e secondo grado costituiscono un unicum decisionale, per ragioni di economia processuale, richiama integralmente la sentenza del Tribunale di Bologna nella parte descrittiva dello svolgimento dei fatti per cui si procede.
Nella ricostruzione dei fatti operata da tale sentenza emerge, tuttavia, come le condotte di danneggiamento e quelle di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate si collochino in due fasi diverse dei disordini.
La sera del (omissis) , infatti, in Bologna, nelle zone prossime a (omissis) , verso le ore 19.00 si era costituito un presidio nella vicina (omissis) , formato da circa centocinquanta persone; da queste si era distaccato un gruppo di circa una ventina di persone, non riconosciute dagli inquirenti perché “in buona parte col volto travisato”, che aveva posto in essere i danneggiamenti di cui al capo c), colpendo con mazze e bastoni gli sportelli bancomat che si trovavano lungo (omissis) .
Solo in un momento successivo, verso le ore 20.45, si erano verificati gli episodi di cui ai capi a) e b) della imputazione, ovvero i delitti di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni volontarie.
8. In tale contesto probatorio, nella sentenza impugnata, si evidenzia, in modo generalizzante, come le condotte di danneggiamento non furono solo una azione dimostrativa, bensì una azione volutamente finalizzata ad indurre le forze dell’ordine ad intervenire ed ingaggiare con i manifestanti un corpo a corpo e che costoro, previamente munitisi di oggetti contundenti, si erano armati per avere la meglio.
Secondo la Corte di Appello di Bologna, pertanto, la colluttazione ingaggiata non fu quindi una risposta difensiva ad un attacco improvviso ed imprevisto delle forze dell’ordine, bensì un atto oppositivo verso i pubblici ufficiali in servizio a tutela della collettività.
Nella ricostruzione di fatto della sentenza impugnata, il contesto corale dei fatti in cui “l’azione di uno diventò espressione della volontà di tutti”, induceva a ritenere compartecipi di ciascun delitto tutti gli imputati, rendendo irrilevante una distinzione di ruoli e responsabilità tra i medesimi.
Tale argomentazione si pone, tuttavia, in radicale contrasto con la disciplina del concorso di persone nel reato per come costantemente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.
La circostanza che il contributo causale del concorrente morale possa manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa (istigazione o determinazione all’esecuzione del delitto, agevolazione alla sua preparazione o consumazione, rafforzamento del proposito criminoso di altro concorrente, mera adesione o autorizzazione o approvazione per rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione di esso) non esime, infatti, il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti, non potendosi confondere l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 cod. pen., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, Villacaro, Rv. 262310; Sez. 1, n. 4060 del 08/11/2007, Sommer, Rv. 239196).
Per la configurabilità del concorso di persone nel reato è, dunque, necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato (ex plurimis: Sez. 6, n. 1986 del 06/12/2016, Salamone, Rv. 268972).
La partecipazione psichica a mezzo istigazione richiede, del resto, che sia provato, da parte del giudice di merito, che il comportamento tenuto dal presunto concorrente morale abbia effettivamente fatto sorgere il proposito criminoso ovvero lo abbia anche soltanto rafforzato (Sez. 6, n. 39030 del 05/07/2013, Pagano, Rv. 256608; Sez. 1, n. 2260 del 26/03/2014, A., Rv. 261893).
In tema di concorso di persone nel reato, anche la semplice presenza sul luogo dell’esecuzione del reato può essere sufficiente ad integrare gli estremi della partecipazione criminosa purché, palesando chiara adesione alla condotta dell’autore del fatto, sia servita a fornirgli stimolo all’azione e un maggiore senso di sicurezza (Sez. 2, n. 50323 del 22/10/2013, Aloia, Rv. 257979).
La Corte di Appello, tuttavia, non ha fatto buon governo di tale consolidati principi; si è, infatti, attestata su una sorta di autoevidenza della rilevanza concorsuale delle condotte dei partecipi alla manifestazione ed ha obliterato la verifica della sussistenza in concreto dei presupposti per affermare la rilevanza concorsuale delle condotte di concorso morale ascritte agli imputati.
Tale carenza non può, del resto, essere surrogata dalla mera constatazione delle presenza degli imputati nei luoghi teatro delle condotte per cui si procede, anche in ragione della sensibile crasi temporale tra la commissione delle condotte contestate al capo c) e quelle contestate ai capi a) e b) e del fatto che le condotte di danneggiamento erano state poste in essere da un manipolo non identificato di contestatori che si era separata dal flusso dei partecipanti alla manifestazione di protesta.
3. Alla stregua di tali rilievi la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato di danneggiamento aggravato di cui al capo c) per non avere gli imputati commesso il fatto. Nella parte residua i ricorsi devono essere disattesi in quanto infondati.
4. Per effetto dell’annullamento disposto limitatamente al delitto contestato al capo c) la pena per i residui reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali volontarie aggravati deve essere rideterminata in nove mesi e dieci giorni di reclusione (a fronte della pena irrogata dal Tribunale di Bologna e confermata dalla sentenza impugnata di dieci mesi di reclusione).
Nella sentenza di primo grado la pena per i delitti di danneggiamento aggravato contestati al capo c) era, infatti, stata determinata per ciascuno degli imputati in un mese di reclusione, ridotta di un terzo per effetto della diminuente di cui all’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. e, pertanto, la pena irrogata dalla sentenza impugnata deve essere ridotta nella misura di venti giorni di reclusione per ciascuno dei ricorrenti.
Alla rimodulazione della pena inflitta, mediante la ablazione del segmento di pena prevista per i delitti per i quali è stato pronunciato l’annullamento senza rinvio, può, infatti, provvedere la stessa Corte di Cassazione, rilevandosi superfluo, ai sensi del vigente art. 620, lett. I), cod. proc. pen., la celebrazione di un giudizio di rinvio sul punto; si è, infatti, in presenza di una operazione puramente aritmetica, che muove dagli elementi di calcolo già definiti all’esito del giudizio di merito e che si rivela, pertanto, integralmente priva di profili di discrezionalità valutativa.
La possibilità, riconosciuta alla Corte di cassazione dall’art. 620, lett. I), cod. proc. pen., di procedere direttamente alla determinazione della pena, deve, infatti, ritenersi circoscritta, nella disciplina vigente, alle ipotesi in cui alla situazione da correggere possa porsi rimedio senza accertamenti e valutazioni discrezionali su circostanze e punti controversi, suscettibili di diversi apprezzamenti di fatto, che rimangono in quanto tali operazioni incompatibili con le attribuzioni del giudice di legittimità (Sez. 5, n. 6782 del 06/12/2016, Laconi, Rv. 269450; Sez. 6, n. 15157 del 20/03/2014, La Rosa, Rv. 259253; Sez. 4, n. 41569 del 27/10/2010, Negro, Rv. 248458).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di danneggiamento aggravato di cui al capo c) per non avere gli imputati commesso il fatto. Rigetta nel resto i ricorsi e ridetermina la residua pena per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali volontarie aggravati in nove mesi e dieci giorni di reclusione.

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