L’azione di chi oppone resistenza, nei termini richiesti dall’art. 337 cod. pen., a più pubblici ufficiali può essere ricondotta alla figura del concorso formale omogeneo ex art. 81, comma 1, (che ricorre quando con un’unica condotta si commettono più violazioni della stessa disposizione di legge,), o a quella della continuazione di reati ex art. 81, comma 2, cod. pen.(con un’azione azione esecutiva di un medesimo disegno criminoso commette più violazioni della sessa disposizione di legge), oppure risolversi in un unico reato in base alla ricostruzione delle specifiche articolazioni della condotta concreta e della situazione in cui è stata attuata.
Vale però osservare che l’uso della violenza o della minaccia considerato dall’art. 337 cod. pen. per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, sebbene fattualmente nella gran parte dei casi si risolva in una violenza o minaccia anche contro la persona del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio (o di coloro che, richiesti, gli prestano assistenza), non necessariamente vi si identifica perché in sé è costituita da una opposizione al compimento dell’ufficio e del servizio che può esprimersi anche in forme diverse da quelle riconducibili alle previsioni degli artt. 610 o dell’art. 612 cod. pen. come nel caso, per esempio – della fuga in condizioni tali da scoraggiare l’inseguimento per evitare danni alle persone – mediante una violenza (o minaccia) cosiddetta impropria, che, pur non aggredendo direttamente il pubblico ufficiale, si riverbera negativamente sull’esplicazione della sua funzione, impedendola o ostacolandola
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI penale
sentenza 22 agosto 2017, n. 39341
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 6600/2016, il Tribunale di Napoli ha condannato D.E. per reato ex art. 337 cod. pen. escludendo la recidiva contestata, riconoscendo le circostanze attenuanti generiche e applicando la diminuente ex art. 442, comma 2, cod. proc. pen..
2. Nel ricorso della Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli si chiede l’annullamento della sentenza per avere determinato la pena (nel minimo edittale) omettendo di applicare l’aumento ex art. 81, comma 1, cod. pen. per il concorso formale che risulta dalla contestazioni in fatto mentre si evince dalla imputazione che la condotta, integrante reato ex art. 337 cod. pen., è stata commessa ai danni di due agenti della pubblica sicurezza.
Considerato in diritto
1. Il ricorso in esame ripropone una questione alla quale pure dalla giurisprudenza di questa Corte vengono date soluzioni differenti.
1.1. Secondo una posizione, la resistenza o la minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali, non configurano, anche se attuate nello stesso contesto, un unico reato di resistenza ex art. 337 cod. pen., ma tanti reati di resistenza quanti sono i pubblici ufficiali coinvolti, perché l’azione si traduce in altrettante e distinte offese al libero espletamento dell’attività da parte di ogni pubblico ufficiale. Questo orientamento considera che le persone fisiche mediante le quali la pubblica amministrazione agisce, pur operando come suoi organi, conservano le loro distinte identità per cui ogni violenza o minaccia arrecata a ogni singolo pubblico agente costituisce resistenza ex art. 337 cod. pen. (ex multis: Sez. 6, n. 26173 del 5/07/2012, Rv. 253111; Sez. 6, n. 38182 del 24/10/2011, Rv. 250792; Sez. 6, n. 35376 del 23/10/2006, Rv. 234831).
1.2. Più recenti pronunce (Sez. 6, n. 4123 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269005; Sez. 6, n. 37727 del 09/05/2014, Rv. 260374) considerano, già sotto il profilo oggettivo, che l’interesse tutelato in via principale dall’articolo 337 cod. pen. è il regolare svolgimento della funzione pubblica, sicché la resistenza a più pubblici ufficiali coinvolti nel compimento del medesimo atto di ufficio non può determinare una pluralità di reati perché non cagiona plurime lesioni del bene giuridico protetto (sebbene, sotto altro profilo, è possibile che l’aggressione all’integrità fisica dei pubblici ufficiali sia sanzionata se si configura il concorso del reato di resistenza con quello di lesioni). Questa argomentazione è avvalorata da una lettura sistematica degli articoli 337 e 338 cod. pen.: la seconda disposizione, infatti, sanziona più gravemente la condotta violenta o minacciosa rivolta ad un “Corpo politico, amministrativo o giudiziario”, non per il numero, peraltro non specificato, di membri che lo costituiscono, ma per la particolare rilevanza delle funzioni che tali organi sono chiamati a esercitare: l’art. 337 cod. pen. tutela primariamente la funzione che si sostanzia nell’atto dell’ufficio al cui compimento i pubblici ufficiali sono chiamati e che viene ostacolato dalla condotta del resistente. Inoltre, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, si rileva che la pluralità di reati non può derivare dalla mera pluralità delle persone offese, ma occorre uno specifico atteggiamento psicologico diretto a realizzare l’evento tipico previsto dalla norma incriminatrice distintamente nei confronti di ciascun pubblico ufficiale, per cui, se l’azione è unica e unico è l’atteggiamento psicologico del colpevole, allora è unico anche il reato commesso. In altri termini, viene stabilita una correlazione fra l’unicità dell’atto di ufficio e la unicità della azione delittuosa che a quell’atto si contrappone (Sez. 6 n. 4123 del 14/12/2016, dep. 2017, Rv. 269005; Sez. 6, n. 37727 del 9/0572014, Rv. 260374).
1.3. La sentenza n. 35277 del 23/05/2017 di questa Sezione segue una diversa interpretazione che non si sofferma su una valutazione astratta della natura mono o plurioffensiva del reato ex art. 337 cod. pen. ma evidenzia “un argomento testuale, in quanto, pur costituendo delitto contro la pubblica amministrazione, il reato di resistenza a pubblico ufficiale è connotato, nella sua esplicazione tipica, da violenza e minaccia alla persona” (pag. 5). Su questa base, rileva che l’elemento oggettivo del reato ex art. 337 cod. pen. conferisce “centralità all’opposizione violenta all’azione del singolo pubblico ufficiale” e che “la norma assicura tutela al pubblico ufficiale soggettivamente individuato”, concludendo che “la resistenza, pur ledendo unitariamente il pubblico interesse alla tutela del normale funzionamento della pubblica funzione si risolve in altrettante e distinte offese al libero espletamento dell’attività funzionale di ciascun pubblico ufficiale”. Per questa via, si collega espressamente a quanto ritenuto in altre sentenze, secondo le quali la resistenza o la minaccia adoperate nel medesimo contesto fattuale per opporsi a più pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ex art. 337 cod. pen., ma tanti distinti reati – eventualmente uniti dal vincolo della continuazione – quanti sono i pubblici ufficiali operanti, perché la condotta criminosa si perfeziona con l’offesa al libero espletamento dell’attività di ciascuno di essi (Sez. 6, n. 26173 del 17/05/2012, Rv. 253111; Sez. 6, n. 38182 del 26/09/2011, Rv. 250792).
2. L’azione di chi oppone resistenza, nei termini richiesti dall’art. 337 cod. pen., a più pubblici ufficiali può essere ricondotta alla figura del concorso formale omogeneo ex art. 81, comma 1, (che ricorre quando con un’unica condotta si commettono più violazioni della stessa disposizione di legge,), o a quella della continuazione di reati ex art. 81, comma 2, cod. pen.(con un’azione azione esecutiva di un medesimo disegno criminoso commette più violazioni della sessa disposizione di legge), oppure risolversi in un unico reato in base alla ricostruzione delle specifiche articolazioni della condotta concreta e della situazione in cui è stata attuata.
Vale però osservare che l’uso della violenza o della minaccia considerato dall’art. 337 cod. pen. per opporsi al compimento di un atto di ufficio o di servizio, sebbene fattualmente nella gran parte dei casi si risolva in una violenza o minaccia anche contro la persona del pubblico ufficiale o dell’incaricato del pubblico servizio (o di coloro che, richiesti, gli prestano assistenza), non necessariamente vi si identifica perché in sé è costituita da una opposizione al compimento dell’ufficio e del servizio che può esprimersi anche in forme diverse da quelle riconducibili alle previsioni degli artt. 610 o dell’art. 612 cod. pen. come nel caso, per esempio – della fuga in condizioni tali da scoraggiare l’inseguimento per evitare danni alle persone – mediante una violenza (o minaccia) cosiddetta impropria, che, pur non aggredendo direttamente il pubblico ufficiale, si riverbera negativamente sull’esplicazione della sua funzione, impedendola o ostacolandola (Sez. 4, n. 41936 del 14/07/2006, Rv. 235535; Sez. 6, n. 31716 del 08/04/2003, Rv. 226251; Sez. 6, n. 7061 del 25/05/1996, Rv. 206021).
3. Premesso questo, nella fattispecie in esame va escluso che la condotta di D. abbia determinato un concorso formale omogeneo di reati. L’imputato, come il Tribunale di Napoli ha ricostruito in sentenza, proferì delle espressioni minacciose nei confronti di due poliziotti per allontanarli dal proprio bar e impedire loro di concludere un controllo amministrativo all’interno dell’esercizio: una ricorrente caratteristica della minaccia è quella di potersi risolvere in un’unica azione con plurimi destinatari, mentre la violenza, fisica richiede (ordinariamente) una condotta dell’agente più articolata in relazione al numero dei suoi destinatari. Si è trattato, quindi, di un comportamento attuato con un’unica condotta e in un unico contesto spazio-temporale per impedire il compimento di un unico atto d’ufficio, sebbene da parte di più pubblici ufficiali compresenti per tale motivo esso ha determinato un’unica violazione dell’articolo 337 cod. pen., così da escludere l’applicabilità dell’art. 81, comma 1, cod. pen..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Leave a Reply