La massima

L’atto amministrativo di sollecito di pagamento, pur distinguendosi dall’avviso di mora, per la sua natura ontologicamente non impositiva, è autonomamente impugnabile da parte del destinatario, davanti al giudice competente, quando, nonostante il carattere atipico derivante dalla diversa denominazione attribuitagli dall’Amministrazione, abbia lo stesso contenuto e funzione del provvedimento tipizzato impugnabile. Ne consegue l’ammissibilità dell’opposizione ad ordinanza ingiunzione L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 23, avverso un atto contenente un sollecito di pagamento per una sanzione amministrativa rientrante nell’ambito di applicazione di tale legge.

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza del 17 settembre 2012, n. 15596

…omissis…

3) Primo e secondo motivo di ricorso sono infondati.

La impugnabilità dell’atto amministrativo opposto L. n. 689 del 1981, ex art. 23, costituisce questione rilevabile d’ufficio e non eccezione a cura di parte soggetta alle preclusioni previste dal codice di rito civile. Attiene infatti all’ammissibilità stessa dell’opposizione (Cass. 314/99; 1240/03).

L’amministrazione contumace poteva pertanto farne oggetto di censura in sede di appello, volta a far dichiarare che l’atto notificato non era soggetto ad impugnazione.

3.1) Quanto alla impugnabilità dell’atto, va richiamato il costante insegnamento giurisprudenziale secondo il quale in tema di opposizione all’applicazione di sanzioni amministrative, il verbale di accertamento delle violazioni per le quali sia prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria non è, di per sè, lesivo di situazioni giuridiche soggettive della persona cui sia attribuita la violazione, trattandosi di un atto di natura procedimentale cui fa seguito un’attività istruttoria destinata a concludersi, ove l’autorità competente ritenga la sussistenza dell’infrazione contestata, con l’emanazione del provvedimento irrogativo della sanzione, la cui impugnabilità, in sede giurisdizionale, è espressamente riconosciuta dal legislatore.

(Cass. 17674/04; 11797/05; 12696/07; 21493/07).

A tale principio è fatta eccezione solo per le contravvenzioni al codice della strada, relativamente alle quali il verbale di accertamento dell’infrazione, in forza della normativa speciale prevista al riguardo, possiede potenziale attitudine a divenire titolo esecutivo ed a porsi, pertanto, quale atto terminale del procedimento sanzionatorio in luogo dell’ordinanza ingiunzione: per le altre violazioni soggette alla disciplina generale della L. n. 689 del 1981, il verbale di accertamento è privo di tale potenziale efficacia, e non è, quindi, direttamente impugnabile in sede giurisdizionale (Cass. 20167/04).

La giurisprudenza più recente è intervenuta in argomento, sia pur senza esaurire le sfumature problematiche della materia, formulando aperture sfociate in Cass. SU 12944/09, la quale, sul solco di SU 19 novembre 2007 n. 23832, ha sancito che: “L’atto amministrativo di sollecito di pagamento, pur distinguendosi dall’avviso di mora, per la sua natura ontologicamente non impositiva, è autonomamente impugnabile da parte del destinatario, davanti al giudice competente, quando, nonostante il carattere atipico derivante dalla diversa denominazione attribuitagli dall’Amministrazione, abbia lo stesso contenuto e funzione del provvedimento tipizzato impugnabile. Ne consegue l’ammissibilità dell’opposizione ad ordinanza ingiunzione L. 24 novembre 1981, n. 689, ex art. 23, avverso un atto contenente un sollecito di pagamento per una sanzione amministrativa rientrante nell’ambito di applicazione di tale legge”.

Nella specie, dal brevissimo e non autosufficiente motivo di ricorso, non emerge quale fosse il contenuto dell’atto impugnato, che è desumibile dalla sentenza impugnata, la quale ha precisato che si trattava di atto di contestazione della violazione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 190, utile a innescare, L. n. 689 del 1981, ex art. 16, il procedimento sanzionatorio.

Non si trattava quindi di atto sanzionatorio motivato, emesso a seguito di istruttoria e calibrato, in relazione ad an e quantum della sanzione, con riferimento alle deduzioni di controparte.

Su questo presupposto non vi è equiparabilità tra l’avviso di pagamento de quo e l’ordinanza ingiunzione che avrebbe potuto essere emessa al termine del procedimento amministrativo, con la conseguenza che la opposizione proposta era inammissibile. Il Collegio condivide quanto osservato nella relazione preliminare, che è stata sostanzialmente qui riportata.

Va sottolineato che l’avviso di pagamento ha funzione ben diversa dalla sanzione, poichè vuole stimolare, anche attraverso il pagamento in misura ridotta, una definizione anticipata del procedimento sanzionatorio.

Ove il trasgressore non si avvalga dell’opportunità datagli, all’amministrazione resta la possibilità di proseguire ed emettere l’ordinanza ingiunzione sia tenendo conto delle eventuali deduzioni difensive inoltratele, sia valutando, con tempistica meno stringente di quella impostale dall’obbligo di contestazione tempestiva, le ragioni e i fatti da porre a fondamento della pretesa.

Ammettere un’anticipata opposizione, in presenza di un atto che non sia, in tutto e per tutto, identico a quello definitivo significherebbe stravolgere il disposto normativo di cui all’art. 689/81.

4) Fondato è invece il terzo motivo di ricorso, giacchè la Corte di appello indebitamente ha riconosciuto all’appellante vincitore il favore delle spese del primo grado di giudizio, non sostenute giacchè l’amministrazione era rimasta contumace, come dalla stessa riconosciuto in controricorso. Irrilevante è che, in adempimento di un obbligo impostole dal rito applicabile, avesse dovuto comunque comunicare al giudice procedente gli atti assoggettati all’opposizione dell’odierno ricorrente.

Discende da quanto esposto l’accoglimento del terzo motivo di ricorso e il rigetto nel resto.

La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e, con decisione di merito, può essere statuito che parte ricorrente nulla deve a controparte per le spese di primo grado di giudizio.

Parte ricorrente va invece condannata alla refusione delle spese di questo grado, liquidate in dispositivo, in considerazione del complessivo esito della lite e della preponderanza delle questioni oggetto dei primi due motivi.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso. Accoglie il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, esclude la condanna del L. alla refusione delle spese del primo grado di giudizio. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 2.500 per onorari 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

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