Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 9 gennaio 2015, n. 176

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO DELLA (OMISSIS) SRL;
– intimato –
avverso la sentenza n. 224/17/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di PALERMO SEZIONE DISTACCATA di CATANIA del 12/01/2012, depositata il 28/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.
IN FATTO E IN DIRITTO
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, contro la sentenza resa dalla CTR Sicilia n. 224/17/12, depositata il 28.6.2012. La CTR ha confermato la decisione di primo grado con la quale era stato annullato l’avviso di accertamento reso nei confronti della (OMISSIS) s.r.l. per IVA relativa all’anno 2002.
Secondo il giudice di appello l’esistenza di una dichiarazione di intenti rilasciata dal cessionario esportatore circa la destinazione non nazionale della merce consente al cedente di prendere atto delle circostanze e dei fatti inerenti all’operazione realizzata, lo stesso acquisendo la consapevolezza che si tratta di operazione rientrante tra quelle previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8, lettera c). In questa direzione deponeva la giurisprudenza di questa Corte.
L’Agenzia delle entrate prospetta con i motivi 1, 3 e 5 vizi della motivazione della sentenza impugnata, evidenziando che la CTR aveva omesso di valutare gli elementi offerti nel corso del giudizio in ordine al carattere fittizio delle operazioni commerciali e alla falsita’ delle dichiarazioni di intento rilasciate dal cessionario.
Con i motivi 2 e 4 l’Agenzia prospetta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 8, comma 1, lettera c), e articolo 39, nonche’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54, e articolo 2697 c.c.. Lamenta che la CTR avrebbe dovuto addossare sul contribuente l’onere di provare l’effettivita’ dell’operazione, una volta conclamato il carattere fraudolento dell’operazione.
La parte contribuente non ha depositato difese scritte.
I motivi, che meritano un esame congiunto in quanto tra loro strettamente connessi, sono fondati nei termini di cui appresso specificati.
Ed invero, occorre rammentare che per costante giurisprudenza di questa Corte la non imponibilita’ delle cessioni all’esportazione fatte nei confronti di esportatori abituali – prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8, comma 1, lettera c), – e’ subordinata, nella disciplina del Decreto Legge n. 746 del 1983, all’emissione di specifica “dichiarazione d’intento” da parte dell’esportatore (articolo 1, comma 1, lettera c), mentre il soggetto cedente, una volta riscontratane la conformita’ alle disposizioni di legge, non e’ tenuto ad eseguire alcun altro controllo, rimanendo a carico di chi emette tale dichiarazione la responsabilita’, anche penale, derivante dall’eventuale falsita’ (Cass. n. 21956/2010). Tale affermazione di base non puo’, tuttavia essere scissa dai successivi approfondimenti espressi in altre pronunzie di questa stessa Corte, dirette a sottolineare che il beneficio fiscale sopra ricordato non puo’ essere correlato alla sola formale sussistenza della dichiarazione, occorrendo che il contribuente cedente dimostri, in caso di dichiarazioni ideologicamente false, l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attivita’ fraudolenta del cessionario.
Si e’, quindi, precisato che solo quando la dichiarazione stessa esista e non sia ideologicamente falsa o, comunque, il cedente non sia consapevole di tale falsita’ (cioe’ non abbia la consapevolezza che l’operazione non sia destinata all’esportazione, ma abbia una destinazione nazionale), per detto cedente l’operazione deve ritenersi non imponibile, a prescindere dalla prova dell’effettiva avvenuta esportazione della merce, non potendosi in caso contrario applicare la disciplina del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8, per mancanza originaria dell’elemento che caratterizza quel modello legale – Cass. n. 7389/12; Cass. n. 13293/13-.
Si e’ in tal modo dato continuita’ all’indirizzo in forza del quale la non imponibilita’ delle cessioni di beni asseritamente destinati all’esportazione, subordinata alla dichiarazione scritta di responsabilita’ del cessionario sulla destinazione del bene fuori del territorio comunitario e al possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla norma, viene meno qualora si accerti che i beni non siano stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione sia ideologicamente falsa. In questo caso l’obbligo del cedente di assolvere successivamente l’IVA su tali beni puo’ essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode (Cass. 12751/2011)-.
Orbene, la sentenza impugnata mostra di non essersi adeguata ai principi sopra esposti e di avere, parimenti, dato luogo a motivazione gravemente carente.
Per un verso, infatti, la CTR muove dal convincimento che l’esistenza di una dichiarazione di intenti del cessionario esonera tout court il cedente dalla verifica in ordine alla effettiva consistenza della stessa quando sussistano elementi idonei a desumerne l’inattendibilita’. E cio’ in spregio ai principi espressi da questa Corte a proposito della corretta interpretazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 8, lettera c).
Per altro verso, la decisione e’ gravemente carente nella parte in cui ha totalmente tralasciato di esaminare gli elementi addotti dall’Ufficio in ordine all’esistenza del carattere fraudolento dell’operazione e alla dissonanza fra il contenuto delle dichiarazioni stesse rilasciate dalla ditta Igiene 2002 di Cimarmi Domenico, chiusa immediatamente dopo le operazioni commerciali in esame, e le schede contabili riportanti indicazioni di soggetti diversi, elementi indicati dalla Guardia di Finanza ai fogli nn.32 ss del PVC – v. quanto dedotto in ricorso alle pagg.4 e 5 e quanto esposto nell’atto di appello dell’Agenzia riprodotto ai fini dell’autosufficienza-.
Orbene, il fatto che il giudice di appello abbia totalmente trascurato tali elementi rende palese il vizio di motivazionale prospettato dall’Agenzia ricorrente.
Nel caso di specie, infatti, a fronte della prospettazione in appello di specifiche circostanze, addotte per ottenere un diverso apprezzamento, sul piano logico e circostanziale, circa la falsita’ ideologica della dichiarazione d’intento della cessionaria e la ragionevole consapevolezza di cio’ in capo alla cedente, la CTR ha totalmente tralasciato ogni ponderazione di tali elementi. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Sicilia sez. Catania per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte, visti gli articoli 375 e 380 bis c.p.c..
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Sicilia sez. Catania per nuovo esame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimita’

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