cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 9 gennaio 2015, n. 174

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17954/2013 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 194/14/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA del 26/02/2013, depositata il 14/03/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore della ricorrente che si riporta al ricorso.

IN FATTO E IN DIRITTO
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro la sentenza resa dalla CTR Lazio n. 194/14/13, depositata il 14.3.2013. La CTR ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza resa dal giudice di primo grado, il quale aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro l’avviso di liquidazione emesso sul presupposto della decadenza dell’agevolazione per acquisto prima casa relativa all’atto di vendita stipulato dalla suddetta per non avere acquistato entro l’anno un nuovo immobile da adibire ad abitazione principale.
Secondo la CTR aveva errato il primo giudice nel ritenere tardivo l’esercizio della potesta’ impositiva, dovendosi applicare la proroga biennale del termine di tre anni previsto in tema di imposta di registro dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, in forza della Legge n. 289 del 2001, articolo 11, comma 1, per come aveva chiarito la giurisprudenza di questa Corte superando i dubbi interpretativi sorti all’atto dell’entrata in vigore della disposizione di cui al Decreto Legge n. 282 del 2002, articolo 5 bis, conv. nella Legge n. 27 del 2003. L’Agenzia delle entrate non ha depositato difese scritte.
Con l’unico complesso motivo proposto la contribuente prospetta il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio e la lesione del principio del legittimo affidamento sulle posizioni giurisprudenziali, in relazione al canone della certezza del diritto. Secondo la ricorrente la decisione impugnata si era fondata su alcuni precedenti giurisprudenziali che avevano mutato le regole consolidate in tema di termini decadenziali previsti in ordine al recupero delle agevolazioni prima casa dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, sulle quali la contribuente medesima aveva fatto legittimo affidamento. Cio’ contrastava con il principio di certezza del diritto, poiche’ anche a volere ritenere che nel sistema interno non opera il principio dello stare decisis, non poteva dubitarsi come la decisione contrastante con il precedente orientamento era tenuta ad esporre le motivazioni del suo ragionevole distacco dall’indirizzo precedente. Il giudice solo con grande cautela avrebbe potuto discostarsi dal precedente orientamento e solo in presenza di un errore interpretativo della norma, ovvero quando il precedente aveva perso di attualita’. Caratteristiche non riscontrabili nella vicenda controversa. Proprio in ossequio al rispetto della tutela dell’affidamento questa Corte a Sezioni Unite – sent. n. 15144/2011 -, prosegue la ricorrente, aveva escluso la retroattivita’ dei mutamenti giurisprudenziali idonei a determinare effetti preclusivi del diritto di azione e di difesa. Nel caso di specie l’impossibilita’ di applicare la Legge n. 289 del 2002, articolo 11, comma 1, nasceva dall’esistenza di una giurisprudenza di questa Corte che aveva escluso tale possibilita’. Pertanto, la CTR, senza fornire alcuna valida motivazione, si era discostata dai principi espressi da numerose decisioni – Cass.n. 1628/2003, Cass. n. 26180/2010, Cass. n. 12416/2010; Cass. n. 28880/2008-. Da qui la necessita’, sollecitata dalla ricorrente, di chiarire che il mutamento giurisprudenziale sul quale si era fondata la CTR non poteva spiegare effetto che per il futuro.
Orbene, la censura, che sostanzialmente la parte ricorrente prospetta, pur anche sotto il paradigma dell’omessa e insufficiente motivazione, riguarda la lesione dei principi in tema di affidamento e di certezza del diritto, e’ infondata.
Giova premettere che la posizione espressa dalla CTR a proposito della prorogabilita’ del termine triennale previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, alle agevolazioni tributarie relative alla medesima imposta si inscrive nel principio, piu’ volte affermato da questa Corte, secondo il quale “La proroga di due anni dei termini per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull’incremento di valore degli immobili, prevista dalla Legge 27 dicembre 2002, n. 289, articolo 11, comma 1, in caso di mancata presentazione o inefficacia dell’istanza di condono quanto ai valori dichiarati o agli incrementi di valore assoggettabili a procedimento di valutazione, e’ applicabile anche all’ipotesi di cui al comma 1 bis, riguardante la definizione delle violazioni relative all’applicazione di agevolazioni tributarie sulle medesime imposte, in quanto, nell’uno e nell’altro caso, l’Ufficio e’ chiamato a valutare l’efficacia dell’istanza di definizione cosicche’, trattandosi delle medesime imposte, sarebbe incongrua l’interpretazione che riconoscesse solo nella prima ipotesi la proroga dei termini per la rettifica e la liquidazione del dovuto” (Cass. n. 12069/2010).
Di tale decisione la ricorrente si duole non tanto rispetto al merito della questione, quanto piuttosto per il fatto che tale indirizzo non poteva alla stessa applicarsi in forza del rispetto dei canoni di affidamento e di certezza del diritto. Cio’ perche’ (a suo dire) esisteva un pregresso indirizzo giurisprudenziale di diverso tenore sul quale la stessa aveva fatto pieno affidamento.
Orbene, il tema che viene qui sollecitato presuppone l’analisi di due differenti questioni, peraltro fra loro intimamente connesse.
Per l’un verso, infatti, viene in discussione la possibilita’ stessa del giudice di applicare un orientamento giurisprudenziale – proveniente dalla Corte di Cassazione – innovativo rispetto a quello eventualmente sorto all’epoca in cui la fattispecie concreta ebbe a verificarsi. Secondo la ricorrente cio’ sarebbe possibile solo in limitatissimi casi – errore interpretativo, inattualita’ dell’indirizzo giurisprudenziale -. Per l’altro verso, si prospetta l’impossibilita’ assoluta di applicare il mutamento di giurisprudenza successivamente formatosi proprio in forza dei principi di certezza e di affidamento che renderebbero, eventualmente, possibile l’applicazione di tale indirizzo innovativo solo per il futuro.
Entrambe le prospettazioni della ricorrente non sono persuasive e meritano di essere disattese, nei termini in cui le stesse sono state avanzate.
Quanto alla prima, occorre muovere dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, – la quale – Corte dir. uomo 18 dicembre 2008, Unedic c. Francia, (rie. n. 20153/04) – ha escluso che il revirement di un orientamento giurisprudenziale adottato da un giudice di ultima istanza – in quel caso le Sezioni riunite della Corte di Cassazione francese (sez. Lavoro) – puo’ vulnerare il principio della certezza del diritto anche se e’ destinato ad incidere retroattivamente sulle posizioni giuridiche soggettive – cfr. p.74: “la Cour considere cependant que les exigences de la securite’ juridique et de protection de la confiance legitime des justiciables ne consacrent pas de droit acquis a’ une jurisprudence constante”.
La Corte Europea ha escluso la violazione dell’articolo 6 CEDU, ritenendo che il principio della certezza del diritto non impone il divieto per la giurisprudenza di modificare i propri indirizzi e di seguire un indirizzo costante, tutte le volte in cui siano rispettate le generali prerogative garantite dal principio del giusto processo come tutelato dall’articolo 6 – accesso alla giustizia, carattere equo del processo e principio della certezza del diritto rapportata all’epoca in cui e’ dovuto intervenire l’autorita’ giudiziaria-.
In questa direzione, peraltro, questa Corte e’ ferma nel ritenere che “…l’attivita’ interpretativa delle norme giuridiche compiuta da un Giudice, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non possa mai costituire limite alla attivita’ esegetica esercitata da un altro Giudice, dovendosi richiamare al proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dalla efficacia oggettiva del giudicato ex articolo 2909 c.c., rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello “stare decisis” (cioe’ del “precedente giurisprudenziale vincolante”) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale” – cfr. Cass. n. 23723/2013; conf. Cass. n. 24438/2013; Cass. n.24339/13; Cass. n. 23722/13-, Non mancano certo i moniti, provenienti dalla stessa Corte di Strasburgo – Corte dir. uomo sent. 6 dicembre 2007, Beian c. Romania; Corte dir. Uomo, 2 luglio 2009, Iordan Iordanov c. Bulgaria, Cotte dir. uomo. 24 giugno 2009, Tudor Tudor e Romania) in ordine al fatto che, a fronte dell’assoluta fisiologia connessa alla diversita’ di orientamenti giurisprudenziali fra le corti di merito e quella di legittimita’, non e’ tollerabile che vi siano marcate diversita’ di vedute all’interno dell’organo che ha il compito di dare uniformita’ alla giurisprudenza. Sul punto, Corte dir. Uomo, 20 ottobre 2011, Nejdet, Sahin e Perihan, Sahin e, Turchia, ha infatti sottolineato la necessita’ di uno sviluppo giurisprudenziale improntato alla salvaguardia del canone della certezza del diritto – cfr. pp.55 ss. sent. cit.”… In this regard the’ Court has reiterated on many occasions theimportance of setting mechanisms in piace to ensure consistency in court practice and uniformity of the’ courts’ case-law (see Schwarzkopf and Taussik, cited above). It has Ilkewise declared that it is the’ States’s responsibility to organise their legal systems in such a way as to avoid the’ adoption of discordant judgments (…). Its assessment of the’ circumstances brought before it for examination has also always been based on the’ principle of legai certainty which is implicit in ali the’ Articles of the Convention and constitutes one of the’ fundamental aspeets of the rule of law”-.
Ma tali principi non hanno mai messo in discussione la possibilita’ di un dinamico affinamento della giurisprudenza, affermandosi nel precedente da ultimo menzionato (p.58) che “… the requirements of legai certainty and the protection of the’ legitimate confidence of the’ public do not confer an acquired right to consistency of case-law…”, cosi’ proprio richiamando il caso Unedic c. Francia cit. Si e’ poi aggiunto, nel medesimo contesto, che “…Case-law development is not, in itself, contrary to the’ proper administration of justice since a failure to maintain a dynamic and evolutive approach would risk hindering reform or improvement (see Atanasovski V. “The Former Yugoslav Republic Of Macedonia”, no. 36815/03, p.38, 14 January 2010 )”-.
Si tratta di una posizione che trova speculare risalto nella giurisprudenza di questa Corte, a sezioni Unite – Cass. S.U. n. 13620/2012; conf. Cass. n. 7355/2003; Cass. n. 23351/13-, allorche’ si afferma che “…benche’ non esista nel nostro sistema processuale una norma che imponga la regola dello stare decisis, essa tuttavia costituisce un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente all’ordinamento, in base alla quale non ci si puo’ discostare da una interpretazione del giudice di legittimita’, investito istituzionalmente della funzione nomofilattica, senza delle forti ed apprezzabili ragioni giustificative…”, pure aggiungendosi che l’introduzione dell’articolo 380 bis c.p.c. “…ha accentuato maggiormente l’esigenza di non cambiare l’interpretazione della legge in difetto di apprezzabili fattori di novita’ (Cass. S.U. 5-5-2011 n. 9847), in una prospettiva di limitazione dell’accesso al giudizio di legittimita’ coerente con l’esercizio della funzione nomofilattica”.
Sulla medesima lunghezza d’onda si muove la Corte costituzionale – sent. n. 230/12-, secondo la quale l’orientamento espresso dalla decisione delle Sezioni unite della Corte di Cassazione “aspira indubbiamente ad acquisire stabilita’ e generale seguito: ma si tratta di connotati solo tendenziali, in quanto basati su una efficacia non cogente, ma di tipo essenzialmente persuasivo. Con la conseguenza che, a differenza della legge abrogativa e della declaratoria di illegittimita’ costituzionale, la nuova decisione dell’organo della nomofilachia resta potenzialmente suscettibile di essere disattesa in qualunque tempo e da qualunque giudice della Repubblica, sia pure con l’onere di adeguata motivazione; mentre le stesse Sezioni unite possono trovarsi a dover rivedere le loro posizioni, anche su impulso delle sezioni singole, come in piu’ occasioni e’ in fatto accaduto”.
Le indicazioni che sembrano emergere dall’indirizzo appena espresso lasciano, dunque, intatta la possibilita’ del giudice di merito della controversia di applicare l’indirizzo giurisprudenziale reso in sede di nomofilachia che si ritiene idoneo a definire in modo corretto la controversia, senza che detto giudice sia tenuto a motivare le ragioni che lo hanno indotto a seguire detto indirizzo.
E nella stessa direzione questa stessa Corte, con un risalente indirizzo, ancora di recente confermato, non dubita del fatto che un mutamento di indirizzo verificatosi nella giurisprudenza di legittimita’, in ordine ai principi gia’ affermati dalla stessa Suprema Corte in precedenti decisioni, non e’ assimilabile allo ius superveniens, onde non soggiace al principio di irretroattivita’, fissato, per la legge in generale dall’articolo 11 preleggi, comma 1, e, per le leggi penali in particolare, dall’articolo 25 Cost., comma 2. cfr. Cass. n. 565/2007; Cass. n. 8820/2007; Cass. n. 6225/14-.
Il discorso non sembra potere mutare sotto il profilo della tutela dell’affidamento – al quale fa specifico riferimento la parte ricorrente – considerando i principi espressi da Cass. S.U. n. 15144/2011 che, sulla scia di taluni precedenti – Cass. n. 14627/2010 e Cass. n. 15811/2010 – e seguita da Cass. S.U. n. 24413/11 (su cui v. Cass., ord. n. 959/2013), ha intravisto nel mutamento, ad opera della stessa Corte di cassazione, di un’interpretazione consolidata a proposito delle norme regolatrici del processo(dunque, imprevedibile e idonea a precludere il diritto di azione prima ammesso), la necessita’ di tutelare la parte che si e’ conformata alla precedente giurisprudenza della stessa Corte, successivamente travolta dall’overruling, proprio in forza del principio costituzionale del “giusto processo”, la cui portata risente dell'”effetto espansivo” dell’articolo 6 CEDU e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Ora, e’ sufficiente evidenziare che i precedenti da ultimo ricordati hanno riguardato, esclusivamente, gli effetti processuali di un mutamento giurisprudenziale e non quelli di natura sostanziale che qui vengono semmai in discussione – in termini v. Cass. a 13087/12- introducendo, dunque, un principio innovatore a tutela dell’affidamento delle parti nella stabilita’ delle regole del processo. Ragion per cui, in dottrina, si e’ opportunamente ritenuto che si puo’ profilare una netta distinzione tra mutamenti di orientamenti costanti di giurisprudenza della Corte di cassazione riguardanti l’interpretazione di norme sostanziali e mutamenti che concernono norme processuali, dovendosi per i primi confermare il carattere in via di principio retrospettivo dell’efficacia del precedente giudiziario. In questa direzione si e’ espressa, del resto, Cass. S.U. n. 13676/14, affermando che “…affinche’ si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioe’, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte (Cass. nn. 28967 del 2011,6801 e 13087 del 2012, 5962 e 20172 del 2013)”.
Orbene, e’ certo nel giusto la parte ricorrente laddove, nella sostanza, sottolinea come il sistema rimane in equilibrio se il giudice offre all’interno del suo prodotto un’analisi argomentativa capace di supportare in maniera adeguata l’iter decisionale adottato. In questa direzione, del resto, la gia’ ricordata Corte cost. n. 230/12 non manco’ di ricordare che il giudice di cognizione puo’ “… disattendere – sia pure sulla base di adeguata motivazione – la soluzione adottata dall’organo della nomofilachia (provocando eventualmente, con cio’, un nuovo mutamento di giurisprudenza)”.
E tuttavia, la critiche che in punto di motivazione hanno riguardato la decisione impugnata sono manifestamente infondate, se solo si consideri che: a) il giudice di merito non si e’ discostato dall’indirizzo espresso dalla Corte di legittimita’: b) i precedenti di legittimita’ richiamati dalla ricorrente a sostegno dell’asserito contrasto all’interno della giurisprudenza di questa Corte – pag. 13 ricorso – non riguardano, a ben considerare, il tema della proroga biennale del termine di decadenza venuto in essere per effetto dell’entrata in vigore della Legge n. 289 del 2002, articolo 11, ma, semmai, la decorrenza iniziale di detto termine.
In definitiva, la decisione impugnata ha espresso in modo appropriato e completo le ragioni della decisione, evocando un principio giurisprudenziale – reso da questa Corte sulla base dell’interpretazione di una norma positiva – che ha ritenuto di fare proprio senza mostrare alcuna delle lacune invece prospettate dalla ricorrente. Il ricorso va rigettato. Nulla sulle spese.
P.Q.M.
La Corte, visti gli articoli 375 e 380 bis c.p.c..
Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

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