Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza  5 novembre 2013, n. 24744

In fatto e in diritto

Nella causa indicata in premessa, é stata depositata la seguente relazione: “1 – La sentenza impugnata, depositata l’8 novembre 2010, ha respinto l’appello principale del P. , osservando, per un verso, che la presenza di radici di un albero sul margine della strada, circostanza di fatto assolutamente naturale, non costituiva insidia, essendo peraltro di dimensioni tali da poter essere bene avvistata; ciò avrebbe dovuto indurre il P. ad adeguare la velocità del motociclo alle condizioni di luogo; se il P. avesse circolato a moderata velocità e sul margine destro della sua carreggiata avrebbe facilmente avvistato i modesti rigonfiamenti ed avrebbe evitato ogni conseguenza dannosa; il P. , inoltre, avrebbe dovuto provare che fosse stato esclusivamente il veicolo rimasto ignoto a determinare il sinistro, mentre vi era la prova del contrario dovendosi ritenere accertata la violazione dell’art. 143 C.d.S. in capo al P. e non accertata la responsabilità di detto veicolo; non era applicabile la presunzione ex art. 2054, secondo comma, c.c., operante solo in caso di collisione, nella specie non verificatasi, come ammesso nell’atto introduttivo dallo stesso odierno ricorrente.
2 – Ricorre per cassazione il P. con due motivi; la Provincia, l’Unipol e l’Allianz (già RAS) resistono con rispettivi controricorsi.
3. – Il ricorrente deduce i seguenti motivi:
3.1. violazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c., circa la ritenuta non applicabilità dell’art. 2051 c.c. e 2043 c.c., nonché errata applicazione dell’art. 143 C.d.S..
3.2. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. sempre per avere erroneamente escluso la Corte territoriale la sussistenza di un’insidia.
4.1. – Le censure – che possono trattarsi congiuntamente data l’intima connessione, essendo tutte rivolte a contestare la ritenuta mancanza dell’insidia e la ricostruzione del sinistro – implicano accertamenti di fatto e valutazioni di merito. Ripropongono, in realtà, un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, senza tenere presente:
4.2. quanto alla valutazione di elementi probatori (contestate specie nella seconda censura), il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza e quindi su di un giudizio di fatto dei giudici di merito non può spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, quasi a formare un terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti, magari perché ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa tale controllo muovere esclusivamente (attraverso il filtro delle censure proposte dalla parte ricorrente) nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c.. Tale controllo riguarda infatti unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, Cass., nn. 27162/09, 26825/09, 15604/07 e 21153/10, in motivazione);
4.3. quanto agli elementi di cui s’invoca l’omessa considerazione nel secondo motivo, si deve ribadire che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. n. 19976/2009; 13958/2007, in motivazione; 7981/2007; 2140/2006; 22154/2004);
4.4. nonché, circa le restanti censure del primo motivo, il consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui, in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno. Ne consegue, l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo comunque sull’attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito. Sia l’accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all’intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6753/2004). L’attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass. 4279708; 20427708; 5910/11 secondo cui la norma dell’art. 2051 cod. civ., che stabilisce il principio della responsabilità per le cose in custodia, non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa – Principio enunciato ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, cod. proc. civ.).
4.5. La sentenza impugnata, invece, ha congruamente spiegato le ragioni della propria decisione, proprio esaminando gli elementi la cui considerazione il ricorrente assume che sia stata erroneamente valutata. Attenendosi ai riferiti principi, non é stato provato che fosse stato esclusivamente il veicolo rimasto ignoto a determinare il sinistro, mentre vi é la prova del contrario dovendosi ritenere accertata la violazione dell’art. 143 C.d.S. in capo al P. e non accertata la responsabilità di detto veicolo, assumendo quindi rilievo decisivo il fatto dello stesso danneggiato.
4.6. Le doglianze comunque sono (oltre che inammissibili anche) manifestamente infondate atteso:
– da un lato, che la responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non esonera il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità costituisce caso fortuito anche la riferibilità dell’evento a una condotta colposa dello stesso danneggiato (Cass., 17 gennaio 2008, n. 858) e nella specie è stato escluso un nesso causale tra la cosa in custodia e il sinistro occorso al ricorrente;
– dall’altro, che il caso fortuito cui fa riferimento l’art. 2051 c.c. deve intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato (Cass. 19 febbraio 2008 n. 4279). Deve ribadirsi -infatti – che nel caso in cui l’evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un’ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. (Cass. 19 febbraio 2008 n. 4279).
6. – Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello stesso”.
La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai
difensori delle parti costituite.
La parte resistente ha presentato memoria, insistendo per il rigetto del ricorso.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;
le spese seguono la soccombenza a favore delle parti costituite;
visti gli artt. 380 bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio a favore di ciascuna parte costituita, che liquida in Euro 3300,00, di cui Euro 3100,00 per compensi, oltre accessori di legge.

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