Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 30 ottobre 2015, n. 22184
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21666/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;
– intimato –
avverso la sentenza n. 159/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANIA del 6/12/2013, depositata il 31/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE.
FATTO E DIRITTO
ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 30 giugno 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza in data 31 gennaio 2014, notificata il 23 maggio 2014, la Corte d’Appello di Catania, ha respinto l’impugnazione proposta dal signor (OMISSIS) contro la sentenza del Tribunale di Catania, con la quale era stato dichiarato inefficace, ai sensi della L.F., articolo 67, il pagamento della somma di lire 33.390.592 da parte della societa’, poi fallita, allo (OMISSIS) con la conseguente condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di euro 17.244,80 oltre accessori e spese processuali.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso il sig. (OMISSIS), con atto notificato il 22 luglio 2014, sulla base di due motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione di varie norme di legge sostanziale (L.F., articolo 67, comma 11, articoli 2697 e 2729 c.c.).
Il Fallimento non ha svolto difese. Il ricorso appare manifestamente infondato, giacche’:
a) Con riguardo alla violazione della legge fallimentare, ed in particolare con riferimento alla scientia decoctionis dell’accipiens, deve darsi continuita’ al principio di diritto gia’ espresso da questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 3336 del 2015, in base al quale In tema di revocatoria fallimentare, la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente deve essere effettiva, ma puo’ essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purche’ idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettivita’. La scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione ed il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimita’), considerato che non e’ affatto vero che la Corte territoriale abbia desunto la consapevolezza dello stato di decozione della societa’ fallita dalla sola sussistenza di protesti (rilevabili dai bollettini), per avere messo in relazione tale fatto non contestato con la qualita’ del creditore, nel periodo sospetto: quella di consulente contabile e fiscale, chiamato… a collaborare anche perla redazione dei bilanci della societa’;
b) Non e’ percio’ neppure vero che la sentenza ipostatizzi la consapevolezza dello stato di decozione nella figura del consulente contabile, ma accerti in concreto tale qualita’ con presunzione ricavabile dalla sua collaborazione con la societa’ fallita in relazione ai documenti contabili e conoscitivi dello stato di salute economica dell’impresa;
c) Ne deriva l’inapplicabilita’, al caso della soluzione astratta e generale affermata da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18196 del 2012, (ossia che la mera levata dei protesti, parametrata alle sole caratteristiche del soggetto creditore, non e’ idonea, salvo che si riferisca a titoli di credito di cui sia beneficiario lo stesso convenuto in revocatoria – ipotesi in cui detta levata puo’ assumere valore di prova diretta – ad offrire una siffatta prova), atteso che nel caso di specie non si attesta solo la qualita’ astratta del creditore (es. Banca, soc. finanziaria, piccolo risparmiatore, ecc.) ma la sua stretta collaborazione proprio con l’impresa in decozione;
d) Che il secondo motivo (violazione della regola della soccombenza in ordine alle spese) e’ infondato avendo la Corte rettamente applicato il detto principio, essendo l’accipiens, appellante, risultato soccombente.
In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., e articolo 375 c.p.c., n. 5″.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale non risultano essere state mosse critiche od osservazioni;
che, pertanto, il ricorso – manifestamente infondato – deve essere respinto;
che non vi e’ luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimata curatela svolto difese in questa fase;
che, poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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