Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 29 ottobre 2013, n. 24421
Fatto e diritto
In un procedimento di divorzio tra B.C. e D.A. , la Corte d’Appello di Roma, con sentenza in data 28/04/2010, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, determinava la quota di TFR a favore della moglie, avendo riguardo al saldo di quanto percepito dal marito a detto titolo, dopo l’instaurazione del giudizio divorzile, con esclusione, quindi, degli acconti incamerati dal marito durante la separazione personale. La liquidazione del dovuto veniva effettuata sull’importo netto percepito.
Ricorre per cassazione la moglie.
Resiste con controricorso il marito.
Entrambi le parti hanno depositato memoria per l’udienza.
La ricorrente pretende, nell’applicazione dell’art. 12 bis L. 898/1970, farsi riferimento all’intero TFR liquidato al coniuge, comprensivo degli acconti percepiti prima dell’instaurazione del giudizio divorzile. Gli argomenti addotti non sono tali da far rivedere l’orientamento di questa Corte, che ha già avuto modo di precisare non doversi tenere conto, ai fini che qui rilevano, delle anticipazioni del TFR percepite dal coniuge durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, per essere quelle anticipazioni entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto (Cass. 19427/2003; Cass. 19046/2005).
Ciò considerando in particolare che il TFR, in forza di legge (in particolare L. n. 297 del 1982), ha assunto la natura di retribuzione accantonata o differita (tra le altre, Cass. N. 783 del 2006); l’art. 2120, comma sesto, C.C. ammette il lavoratore a richiedere in costanza di rapporto, anticipazioni sul TFR già maturato, confermando così la piena disponibilità su parti del trattamento, con l’acquisizione delle somme percepite al suo matrimonio. L’art. 12 bis L. Divorzio, alla luce di quanto osservato, non può che interpretarsi nel senso di garantire al coniuge beneficiario la corresponsione di una quota di TFR, calcolata sulla somma che viene corrisposta al lavoratore, successivamente alla sentenza di divorzio.
Correttamente, la quota spettante alla moglie è stata quantificata sulla scorta del TFR netto corrisposto al marito e non sul lordo.
In caso contrario, infatti, questi sarebbe tenuto a corrispondere alla moglie una quota in relazione ad un importo dallo stesso non percepito, siccome gravato dal carico fiscale.
Un altro motivo dedotto dalla ricorrente appare inammissibile in questa sede, perché del tutto generico e non autosufficiente; la stessa muove infatti censura alla sentenza della Corte territoriale, in ordine al procedimento seguito per il calcolo della quota di TFR, espressa in termini soltanto teorici, senza indicare esplicitamente le eventuali differenti risultanze dei diversi metodi di calcolo.
Quanto al preteso accertamento delle somme corrisposte complessivamente a titolo di T.F.R., al coniuge, la relativa censura è stata soltanto proposta nell’atto introduttivo del secondo grado di giudizio, ed è dunque parimenti inammissibile.
Infondata è infine la censura della ricorrente in ordine al rigetto delle istanze istruttore formulate per l’accertamento di asserite eventuali somme ulteriori, che sarebbero state erogate dall’INPDAP, diverse da quelle risultanti agli atti; la Corte d’Appello, infatti, con motivazione coerente e immune da vizi logici e giuridici, incensurabile pertanto in questa sede (essa ha affermato che l’INPDAP è soltanto l’ente incaricato della materiale corresponsione al D. di somme, secondo la dichiarazione del segretariato generale della Presidenza della Repubblica, in atti), ha disatteso detta istanza.
Va pertanto rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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