La massima
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI
ORDINANZA 28 marzo 2013, n.7811
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 3186 del 2010 (depositata l’11 febbraio 2010) il Tribunale di Roma respingeva l’appello proposto dalla HYPPO CORPORATION s.r.l. nei confronti del Comune di Roma avverso la sentenza n. 32290/2006 del Giudice di pace di Roma, confermando il rigetto dell’opposizione proposta ex art. 22 legge n. 689/1981 dall’appellante avverso la cartella esattoriale (omissis) (notificata il 24.12.2005) e relativa ai verbali di accertamento di infrazione del codice della strada nn. (omissis) , rispettivamente del (omissis) . La HYPPO CORPORATION proponeva ricorso per cassazione (notificato il 4.4.2011 e depositato il 14.4.2011) nei riguardi della predetta sentenza formulando quattro motivi.
Con il primo motivo veniva denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 139 c.p.c. in relazione all’art. 24 Cost. e all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c..
Con il secondo motivo deduceva la violazione o falsa applicazione dell’art. 17 D.P.R. n. 602/1973, modificato dalla legge n. 311/2004, in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c..
Con il terzo motivo lamentava la violazione o falsa applicazione dell’art. 27, comma 6 legge n. 689/1981 in relazione all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c..
Con il quarto ed ultimo motivo, infine, lamentava la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione al D.M. n. 127 del 2004 e all’art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c..
Il Comune intimato si costituiva con controricorso.
Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso.
All’udienza camerale il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.
Ritenuto in diritto
Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: ‘Ritiene il relatore che sussistono le condizioni per il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza. Con la prima censura il ricorrente lamenta che i giudici di merito abbiano ritenuto regolari le notifiche dei verbali di accertamento, benché notificati ‘…al Portiere dello stabile N.M. che li sottoscriveva in quanto autorizzato alla ricezione’, senza tenere conto della necessità di effettuare le ricerche prescritte dall’art. 139 c.p.c. prima di consegnare il verbale al portiere, dandone peraltro atto nella stessa relata. Per esaminare i lamentati errores procedendi, mette conto anzitutto evidenziare che il giudice di merito, innanzi al quale l’opponente, attuale ricorrente, aveva specificamente eccepito la nullità della notifica dei verbali di accertamento, in quanto eseguita senza il rispetto dell’ordine sequenziale previsto dall’art. 139 c.p.c., per l’ipotesi di assenza del destinatario, ha ritenuto insussistenti i denunziati vizi. Ha all’uopo rilevato che lo studio accurato del contenuto delle due relate consentiva di affermare che esse attestavano, sia pure in modo sintetico ma certo, che l’obbligo di ricercare, nell’ordine, il destinatario e i familiari conviventi era stato osservato dall’ufficiale giudiziario, adducendo a conferma della validità della notifica, che attraverso le formule a stampa era chiaro il non rinvenimento degli altri soggetti che precedono il portiere nell’ordine di ricerca per la notifica dell’atto, come previsto dal terzo comma della norma innanzi menzionata.
Del resto costituisce giurisprudenza consolidata di questa corte che, in caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale giudiziario deve dare atto, oltre che dell’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, onde, nel riferire al riguardo, deve attestare chiaramente, ancorché senza uso di formule sacramentali, l’assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dall’art. 139 c.p.c., comma 2, la successione preferenziale dei quali è tassativamente prevista dalla norma (confr. Cass. sez. un. 30 maggio 2005 n. 11332). È tuttavia da escludere che dei criteri dettati da tale arresto il giudice a quo abbia fatto malgoverno: l’attestazione della consegna al portiere, domiciliatario e familiari al momento assenti, certifica, attraverso una formula sintetica e a stampa, non risultando barrate le voci “consegna a mani proprie” e “ad altra persona presente nell’abitazione”, che il notificante si è prima di tutto recato presso l’abitazione del destinatario, ivi cercando di entrare in contatto con lui medesimo, ovvero con persona della sua famiglia o addetta alla casa, e che solo a seguito del fallimento di tale tentativo si è risolto a consegnare l’atto al portiere.
Ne deriva che correttamente il giudice di merito ha escluso la nullità denunciata dal ricorrente.
Anche il secondo motivo, con il quale, denunciando violazione dell’art. 17 del D.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dalla legge n. 311 del 2004, il ricorrente lamenta che i verbali di accertamento sono stati iscritti al ruolo esattoriale nel 2005, ossia ben oltre il termine annuale di cui alle disposizioni invocate, non appare fondato. Al riguardo va, infatti, osservato che con la disciplina in tema di formazione e trasmissione dei ruoli per effetto di sanzioni derivanti da violazione del codice della strada sono state individuate le autorità che predispongono i ruoli, dei quali è stata pure prevista la trasmissione dopo la loro formazione all’intendente di finanza competente (cui a sua volta è assegnato il compito di darli in carico all’esattore), ma non è stato indicato alcun termine per la relativa iscrizione. D’altra parte l’art. 17, comma 3, nel quale è fatto riferimento alle ‘imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base agli accertamenti degli uffici’, disciplina fattispecie del tutto diversa da quella concernente la riscossione delle somme dovute per le sanzioni amministrative. Occorre, altresì, rilevare, da una parte, che attesa l’eccezionalità della disposizione, la quale incide direttamente sulla concreta realizzabilità della decadenza, deve essere espressamente indicata e non può essere desunta in via di interpretazione analogica, con riferimento a fattispecie diverse; dall’altra, che la decadenza nella materia tributaria è riconducibile alla intervenuta esigibilità della prestazione da parte del titolare del diritto per effetto della iscrizione nei ruoli, ipotesi non ricorrente viceversa nel caso dell’ordinanza ingiunzione e del verbale di accertamento, che già di per sé costituiscono titolo esecutivo (in tal senso v. Cass. 23 novembre 1999 n. 12999; Cass. 19 aprile 2000 n. 5071; Cass. 25 luglio 2000 n. 9743; Cass. 11 aprile 2001 n. 5372; Cass. 11 maggio 2001 n. 6553; Cass. 21 febbraio 2002 n. 2472; Cass. 5 agosto 2005 n. 16569; Cass. 20 febbraio 2008 n. 4375).
Ne consegue che in materia di riscossione dei proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie è applicabile solo il termine di prescrizione quinquennale di cui alla legge n. 689 del 1981, art. 28, a seconda dei casi, dall’art. 209 C.d.S., termine che nella specie non è in discussione che sia stato rispettato.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 21, comma 6, della legge n. 689 del 1981 per essere stata applicata nella cartella esattoriale oggetto di controversia la maggiorazione per ritardato pagamento prevista dalla norma sopra indicata, senza tenere conto che la disciplina attiene a fattispecie affatto diversa, della emissione di ordinanza ingiunzione. Dalle considerazioni sopra svolte circa la regolarità della notificazione delle ordinanze ingiunzione relative ai verbali di accertamento di infrazione del C.d.S. nn. (omissis) del (omissis) discende la infondatezza della censura. Del resto la maggiorazione di cui all’art. 27, comma 6, della legge n. 689 del 1981, richiamata dall’art. 206 C.d.S. presuppone esclusivamente la vitalità del titolo in forza del quale è promossa esecuzione forzata, avendo funzione “di sanzione aggiuntiva nascente al momento in cui diviene esigibile la sanzione principale” (cosi Corte Cost. 14 luglio 1999 n. 308).
Infine per quanto attiene al quarto ed ultimo motivo con il quale viene denunciata violazione dell’art. 91 c.p.c., si osserva che, essendo la condanna alle spese processuali pronuncia consequenziale ed accessoria a quella con cui è stata sancita la soccombenza, il giudice del gravame ha fatto corretta applicazione del principio enunciato nella citata disposizione, condannando l’appellante – opponente alle spese, che ha liquidato, come gli era consentito fare, in favore del Comune di Roma, ritualmente costituitosi a mezzo di difensore, in conformità alle tariffe professionali (v. ex multis, da ultimo Cass. 12 gennaio 2011 n. 536)’. Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio e, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 850,00, di cui Euro 750,00 per compenso ed Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.
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