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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 23 gennaio 2014, n. 1394

In fatto e in diritto

Nella causa indicata in premessa, é stata depositata la seguente relazione: “1. – La sentenza impugnata (Tribunale di Bari – sez. di Modugno 09/02/2012, notificata il 08/03/2012), rigettando l’appello dell’odierno ricorrente, condivideva integralmente la sentenza con cui il Giudice di pace, alla stregua della lacuna probatoria (addebitabile al P.      ) aveva ritenuto non dimostrato il sinistro e gli eventuali danni da questo scaturiti. Il modulo CID – CAI, sottoscritto solo dal S.   , non poteva assumere valore di piena prova nei confronti dell’altro litisconsorte (Duomo Uni One Assicurazioni) ed essendo la sua valutazione rimessa al libero apprezzamento del giudice, riteneva, in difetto di altri elementi probatori a supporto, non provati i fatti in esso enunciati.
2. – Ricorre per cassazione il P.       con cinque motivi di ricorso; resiste con controricorso Duomo Uni One Assicurazioni;
3. – Col 1 motivo di ricorso, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c, dell’art. 2054 c. 1 c.c, nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. Il giudice del gravame avrebbe errato nel non ritenere applicabile l’art. 2054 c. 1 c.c. alla fattispecie in esame, omettendo di prendere atto della confessione del S.   , desumibile dal modello CID – CAI, in merito all’incidente derivante dalla circolazione stradale. – Col 2 motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 e. 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., nonché omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. A giudizio del ricorrente, il Giudice di merito avrebbe posto a fondamento della decisione una serie di presunzioni, anziché le prove fornite dalle parti. E ancora non avrebbe assegnato un rilievo decisivo, nella prova dei fatti dedotti, alla mancata comparizione del S.    per rendere l’interrogatorio formale. – Col 3 motivo di ricorso, lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c, dell’art. 2054 c. 2 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. Il giudice a quo non si sarebbe posto il problema di accertare se il S.    avesse tenuto o meno una condotta di guida irreprensibile e quindi quantificare il grado della sua colpa. – Col 4 motivo di ricorso, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c, dell’art. 2697 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. Il giudice di merito avrebbe ritenuto non provata la pretesa lamentata dall’odierno ricorrente, senza considerare la produzione agli atti di causa del modulo CID – CAI sottoscritto da entrambi i conducenti dei veicoli rimasti coinvolti nel sinistro e negando allo stesso efficacia probatoria. – Col 5 motivo di ricorso, lamenta violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c, dell’art. 2739 c.c., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. Il Giudice di appello avrebbe errato nel non ammettere il giuramento decisorio dell’allora convenuto S.   , poiché deferito su un fatto illecito. A giudizio del ricorrente, invece, la formula impiegata nel giuramento avrebbe escluso qualsiasi forma di responsabilità a carico del soggetto giurante.
4.1 – Il primo e il terzo motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente poiché volti a censurare la sentenza sotto i medesimi aspetti, sono privi di pregio. Essi mancano di riferibilità alla effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata, poiché il ricorrente prescinde totalmente dal considerare che, sia il Giudice di pace che il Tribunale, hanno respinto la domanda poiché non veniva affatto provato “per negligenza ad esso imputabile” né l’asserito incidente, né i danni da questo derivati. Proprio su questo punto il ricorrente avrebbe dovuto muovere la propria censura, divenendo superflua, in assenza di provato danno, l’individuazione della norma da applicare alla fattispecie e idonea a regolare una “non dimostrata responsabilità”.
4.2 – Il secondo e il quarto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente in quanto entrambi volti a censurare l’apprezzamento dato dal giudice di merito a risultanze istruttorie, sono privi di pregio.
4.2.a. Il ricorrente, lungi dal rappresentare il vizio di interpretrazione e/o applicazione degli artt. 2054 e 2697 c.c., con i due motivi espone una personale lettura delle risultanze probatorie, senza tenere conto il consolidato orientamento di questa S. C. secondo cui il vizio di violazione di legge deve consistere nella deduzione di un’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata da una norma di legge da parte del provvedimento impugnato e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.) (Cass. n. 16698 e 7394 del 2010; 4178/07; 10316/06; 15499/04).
4.2.b. In ogni caso, non sussistono le prospettate violazioni di legge, poiché la decisione impugnata ha fatto buon governo dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte che, riguardo al problema dell’efficacia probatoria delle dichiarazioni del litisconsorte responsabile del sinistro, hanno segnatamente evidenziato che l’accertamento dei due rapporti in cui questi è coinvolto – quello col danneggiato, sorto dal fatto illecito, e quello, di origine contrattuale, con l’assicuratore – non può che essere “unico e uniforme per tutti e tre i soggetti coinvolti nel processo (Cass. civ., sez. unite, 5 maggio 2006, n. 10311; orientamento ribadito da Cass. n. 16376/10; 12866/09; 1680/08; 12257/07). Tale interpretazione si basa sul rilievo che nella giurisprudenza di legittimità, sin dagli anni ottanta (Cass. sez. un. nn. 5218 e 5219 del 1983), è costante l’affermazione che la L. n. 990 del 1969, prevedendo l’azione diretta del danneggiato contro l’assicuratore, e limitando le eccezioni che questi gli può opporre (L. n. 990 del 1969, art. 18), ha creato, accanto ai due innanzi indicati, un terzo rapporto che, “sul presupposto del primo e in attuazione del secondo”, obbliga ex lege l’assicuratore verso il soggetto leso: di talché questi, allorché agisce in giudizio, non chiede che l’assicuratore sia condannato ad adempiere in suo favore l’obbligo contrattualmente assunto nei confronti dell’assicurato, ma fa valere un diritto suo proprio. In tale contesto, e con particolare riguardo alle dichiarazioni confessorie rese dal presunto responsabile, siano o meno contenute nel cosiddetto CID, le sezioni unite hanno quindi negato che, nel giudizio instaurato ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 18, possa, in base ad esse, pervenirsi a decisioni differenziate, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da un lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro. In particolare, precisato che dichiarazioni confessorie sono solo quelle in cui siano ammessi fatti che, “valutati alla stregua delle regole in materia”, possano portare alla condanna del soggetto che le ha rese (e non quindi le mere assunzioni di responsabilità o di colpa), hanno affermato che l’eventuale confessione, contenuta nel modulo di constatazione amichevole del sinistro sottoscritto dal responsabile del danno proprietario del veicolo assicurato e – come tale – litisconsorte necessario, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, in applicazione della regola racchiusa nell’art. 2733 cod. civ., comma 3, secondo cui, in caso di litisconsorzio necessario, la capacità probatoria della confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è, per l’appunto, affidata alla prudente valutazione del giudice (Cass. civ., sez. unite, 5 maggio 2006, n. 10311, cit.; Cass. civ., sez. 3, 25 gennaio 2008, n. 1680).
4.2.c. Ma la censura non coglie nel segno anche sotto il pur dedotto vizio motivazionale. Va al riguardo ribadita la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui, quanto alla valutazione delle prove adottata dai giudici di merito, il sindacato di legittimità non può investire il risultato ricostruttivo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito (Cass. n. 12690/2010, in motivazione; n. 5797/2005; n. 15693/2004). Del resto, i vizi motivazionali denunciabili in Cassazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. n. 6064/2008; n. 26886/2008; n. 21062/2009 in motivazione). Il giudice ha, con motivazione congrua ed articolata, da un lato, dato conto delle lacune nel materiale probatorio fornito dall’odierno ricorrente, inidoneo a ritenere fondata la lamentata pretesa; dall’altro ha escluso la rilevanza probatoria del modello CAI, facendo corretto uso del suo prudente apprezzamento.
4.3 – Anche con riguardo all’ultimo motivo di ricorso, le lamentate violazioni non colgono nel segno. Deve al riguardo ribadirsi che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte in tema di giuramento, la norma di cui all’art. 2739 cod. civ. (divieto di deferimento del giuramento su fatti illeciti) trova il suo fondamento nell’opportunità di non obbligare il giurante a confessarsi autore di un atto per lui potenzialmente produttivo di responsabilità non soltanto penale, ma anche civile od amministrativa, sì che la locuzione “fatto illecito” (che ha sostituito quella di “fatto delittuoso” contenuta nell’art. 1364 del codice previgente) va intesa nella sua (più ampia) portata di atto contrastante con norme imperative, di ordine pubblico, di buon costume o, comunque, turpe o riprovevole secondo la coscienza collettiva del tempo (Cass. 12866/2009). È evidente che, nel caso di specie, il Giudice di merito ha fatto corretta applicazione della norma sopra enunciata, così come interpretata dalla giurisprudenza di questa S.C, dandone perfettamente atto nel corpo della motivazione. Né vale ad inficiare tale conclusione la circostanza, asserita dal ricorrente, che la formula impiegata nel giuramento deferito escludesse qualsiasi forma di responsabilità a carico del soggetto giurante, essendo pacifico che anche le norme che disciplinano la circolazione dei veicoli sono ispirate da logiche di ordine pubblico e in modo particolare dalla necessità di salvaguardare l’incolumità delle persone.
5. – Si propone la trattazione in Camera di consiglio e il rigetto del ricorso.” La relazione é stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.
La parte resistente ha presentato memoria insistendo per il rigetto del ricorso.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;
le spese seguono la soccombenza;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1500,00, di cui Euro 1300,00 per compensi, oltre accessori di legge.

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