SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE VI CIVILE

Ordinanza  17 ottobre 2011, n. 21370


Osservato in fatto

che nel corso del giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Venezia, conseguente alla proposizione da parte sig. C.G. nei confronti della sig.ra E..C.D.R in ordine all’inadempimento di un contratto preliminare di compravendita, per effetto del decesso della convenuta la causa veniva interrotta e, poi, riassunta nei confronti dei suoi eredi D.R.M., D.R.B. e D.R.G.. Nella sopravvenuta costituzione della sola D.R.M. , proseguita la causa con l’esperimento della fase istruttoria, all’esito il tribunale adito, con sentenza n. 490 del 2004, accoglieva la domanda principale rigettando quella riconvenzionale originariamente avanzata dalla dante causa dei suddetti eredi. Avverso la menzionata sentenza proponevano appello D.R.M. e B. e quest’ultima formulava, nell’atto di appello, questione pregiudiziale di rito concernente la nullità del giudizio di primo grado per sua pretermissione quale litisconsorte necessario ex art. 102 cpc, non avendo ricevuto, a seguito della intervenuta interruzione di detto giudizio, la rituale notificazione dell’atto di riassunzione, poiché tale atto risultava essere stato notificato agli eredi impersonalmente e collettivamente in (omissis) , luogo in cui la deceduta sig.ra C. aveva precedentemente risieduto, mentre l’ultimo

domicilio della medesima si sarebbe dovuto considerare fissato in viale (omissis) dello stesso Comune di XXXXXX, presso la struttura che la ospitava fin dal 20 maggio 1999.

Che nella resistenza dell’appellato, la Corte di appello di Venezia, ritenendo fondata la sollevata questione processuale alla stregua della condivisibile interpretazione dell’art. 303, comma 2, c.p.c., con sentenza n. 2335/2009 (depositata il 30 dicembre 2009) dichiarava la nullità dell’impugnata sentenza per difetto di contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, rimettendo le parti davanti al Tribunale di Venezia e condannando l’appellato al pagamento delle spese e competenze del grado.

Che con ricorso notificato il 25 marzo 2010 e depositato il giorno successivo, il sig. C.G. ha impugnato per cassazione la richiamata sentenza della Corte di appello di Venezia (non notificata) prospettando tre motivi:

– con il primo motivo ha denunciato la violazione degli artt. 303, comma 2, c.p.c. e 43 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.;

– con il secondo motivo ha censurato la sentenza impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.;

– con il terzo motivo ha dedotto la violazione degli artt. 303 e 156 c.p.c, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c..

Che si sono costituiti nel giudizio di legittimità con controricorso gli intimati D.R.M. e G. .

Rilevato che il consigliere designato aveva depositato, in data 10 febbraio 2011, apposita proposta di definizione ai sensi dell’ari 380 bis c.p.c., nella quale aveva prospettato la possibile manifesta infondatezza del ricorso avanzato nell’interesse di C.G. con riferimento a tutti e tre i motivi dedotti.

Considerato che con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – con riferimento ai riportati parametri normativi – l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto che per ultimo domicilio della sig.ra C. dovesse intendersi il suo effettivo domicilio risultante al momento del suo decesso, quale desumibile da qualsiasi fonte di convincimento (e, quindi, considerando una serie di vicende fattuali verificatesi), indipendentemente dalle risultanze anagrafiche.

Constatato che con il secondo motivo il C. ha censurato la sentenza impugnata con riferimento al vizio di motivazione proprio con riferimento all’omessa considerazione di una serie di fatti controversi e decisivi per il giudizio ai fini, appunto, dell’identificazione dell’ultimo domicilio effettivo della sig.ra C., con riferimento ad alcune vicende verificatesi successivamente alla denuncia di cambiamento di residenza.

Rilevato che il collegio, alla stregua delle complessive argomentazioni dedotte con il proposto ricorso e riprese anche con la memoria difensiva autorizzata, ritiene, diversamente da quanto prospettato nella proposta di definizione ex art. 380 bis, comma 1, c.p.c., che sussistano le condizioni per pervenire all’accoglimento dei richiamati primi due motivi articolati dal ricorrente ed esaminabili congiuntamente per la loro evidente connessione.

Ritenuto, inoltre, che, pur dovendosi intendere per ultimo domicilio del defunto (quale luogo in cui, ai sensi del dell’art. 303, comma 2, c.p.c., la notificazione dell’atto di riassunzione può essere fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi della parte defunta, entro un anno dalla morte), il domicilio effettivo del defunto (e non altro domicilio, come, ad es., quello eletto per il giudizio), nella fattispecie, la Corte territoriale non ha dato conto di aver adeguatamente valutato le complessive risultanze processuali acquisite, elidendo anche la valorizzazione di decisivi riscontri documentali che avrebbero dovuto far propendere per la individuazione dell’ultimo domicilio della C. in via (omissis) , dove era stato notificato l’atto di riassunzione ai sensi del citato art. 303, comma 2, del codice di rito.

Opinato, infatti, che, alla luce dei riscontri documentali offerti dal ricorrente ed idoneamente richiamati in ricorso in virtù del principio dell’autosufficienza e non specificamente analizzati dalla Corte veneziana, non poteva escludersi che la C. , dopo l’avvenuto trasferimento in struttura assistenziale del 20 maggio 1999, avesse cessato ogni collegamento con il suo precedente recapito in (omissis), evincendosi una serie di atti posteriori a tale data dai quali si sarebbe dovuto desumere, con sufficiente certezza, l’intento di conservare il suo domicilio effettivo presso il suddetto indirizzo (come, in particolare, la lettera racc. dell’8 luglio 1999 inviata dall’Avv. Goretti in (omissis), ricevuta personalmente dalla C., e la comparsa di costituzione e risposta del 1 dicembre 1999 nella quale la stessa C. aveva ulteriormente indicato la sua residenza in (omissis) , considerando, pertanto, tale recapito ancora come la sede principale dei suoi affari ed interessi), non trascurando che la stessa erede M..D.R. si era costituita, a seguito della riassunzione, senza sollevare alcuna contestazione al riguardo dell’esatta individuazione dell’indirizzo della “de cuius” (cfr. Cass. 22 novembre 2006, n. 24852, e Cass. 16 novembre 2006, n. 24422);

Considerato che, per costante giurisprudenza, il domicilio individua il luogo ove la persona, alla cui volontà occorre avere principalmente riguardo, ha stabilito il centro principale dei propri affari e interessi, sicché riguarda la generalità dei rapporti del soggetto — non solo economici, ma anche morali, sociali e familiari – che va desunta alla stregua di tutti gli elementi di fatto dai quali, direttamente o indirettamente, risultino la presenza di tale complesso di rapporti in quel determinato luogo ed il carattere principale attribuitogli dall’interessato, a prescindere dalla dimora o dalla presenza effettiva ivi dello stesso (Cass. 14 gennaio 2008, n. 588; Cass. 20 luglio 1999, n. 7750; Cass. 29 marzo 1996, n. 2875; Cass. 14 novembre 1987, n. 8371); che, pertanto, al di ritenere verificatosi un trasferimento del domicilio, debbano risultare inequivocabilmente accertati sia il concreto spostamento da un luogo all’altro del detto centro di riferimento del complesso dei rapporti, sia l’effettiva volontà della persona d’operarlo;

Ritenuto che, alla luce di tali considerazioni, il fatto che una persona siasi ricoverata in una casa di cura o di riposo non possa necessariamente implicare, di per se solo, anche il trasferimento del domicilio della persona stessa nel detto luogo, in quanto il ricovero può avere carattere temporaneo e/o comunque non continuativo, potendo la persona per più o meno brevi periodi riportarsi nel luogo lasciato e, soprattutto, voler ivi comunque conservare, per intuibili plurimi motivi morali e materiali, il centro principale dei propri rapporti;

Rilevato, dunque, che, in virtù delle puntuali e riscontrate doglianze dedotte dal ricorrente, deve ritenersi che la Corte territoriale, nel ritenere elemento determinante il ricovero in casa di riposo e nell’omettere di valutare le emergenze il probatorie decisive provenienti dalla stessa C., è incorsa nella dedotta violazione di legge e nel prospettato vizio di motivazione, ravvisando apoditticamente la prevalenza del detto ricovero rispetto ai contrari elementi acquisiti agli atti del giudizio, che indicavano, anche con riferimento ad un’epoca prossima a quella del decesso della stessa C. (avvenuto il (omissis) presso la casa di ricovero in corso (omissis), come il domicilio della medesima fosse corrispondente con quello di v. (omissis), ove era avvenuta la notificazione dell’atto di riassunzione collettivamente ed impersonalmente ai suoi eredi.

Rilevato, in conclusione, che il ricorso deve essere accolto con riguardo ai primi due motivi, rimanendo il terzo assorbito e che, perciò, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, che si atterrà ai principi precedentemente evidenziati e provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Venezia, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

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