Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 11 gennaio 2016, n. 223
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere
Dott. GENOVESE Antonio – rel. Consigliere
Dott. SCLALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22461/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 65/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO del 28/01/2014, depositata il 26/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega verbale) difensore del ricorrente che si riporta agli scritti ed insiste per l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 20 luglio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza in data 26 marzo 2014, la Corte d’Appello di Campobasso ha rigettato le impugnazioni proposte, dai coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), contro la sentenza del Tribunale di Larino, che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio concordatario, cosi’ accogliendo la domanda del (OMISSIS), e posto a carico di quest’ultimo l’obbligo di versare alla (OMISSIS) un assegno divorzile di euro 1.500,00 mensili, compensando le spese del giudizio.
Per quel che interessa ancora in questa sede, l’impugnazione del (OMISSIS) e’ stata disattesa, sulla base della verifica delle condizioni patrimoniali e reddituali dell’appellante (risultanti anche dalla sentenza di questa Corte n. 14081 del 2009), comparate con quelle pressoche’ inesistenti del coniuge, e rapportate al tenore di vita, pacificamente alto, osservato dalla famiglia in costanza di matrimonio.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello ha proposto ricorso il (OMISSIS), con atto notificato a mezzo posta il 19 settembre 2014 (ma allo stato privo del riscontro della ricevuta del piego postale), sulla base di due motivi, con cui denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex articolo 360 c.p.c., n. 5, e la violazione o falsa applicazione di legge (Legge n. 898 del 1970, articolo 5), ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3.
La (OMISSIS) non ha svolto difese.
Il ricorso, in disparte l’inammissibilita’ per mancata prova della notifica al difensore dell’intimata (non essendo stata allegata agli atti la cartolina postale attestante la ricezione del piego), appare manifestamente infondato, giacche’, sotto le apparenti spoglie della violazione del menzionato dispositivo di legge, chiede a questa Corte un sostanziale riesame delle risultanze processuali ed una diversa valutazione delle prove (precostituite) compiuta dai giudici di secondo grado, dopo che allo stesso risultato era pervenuto anche il primo giudice. Infatti, nell’impianto motivazionale della decisione impugnata, non risulta trascuratezza decisiva la presunta occupazione di fatto di un immobile (la cui entita’, ubicazione, sufficienza, non sono nemmeno allegate) da parte della intimata, atteso che una tale situazione – ove anche esistente e, quindi, in ipotesi, pienamente provata – va considerata precaria e come tale facilmente risolubile da parte dell’avente diritto con gli ordinati strumenti volti a recuperarne il possesso o la detenzione, mentre il giudice dell’assegno divorzile deve calcolarne la misura sulla base dei bisogni del coniuge debole e delle possibilita’ di soddisfarle attraverso la misurazione delle disponibilita’ economiche degli ex coniugi e degli standard di vita, per c.d. dire, a regime, senza tener conto di situazioni provvisorie e, percio’, destinate a venir meno in tempi (piu’ o meno) rapidi.
Ne’ sono ravvisabili i vizi di violazione di legge ipotizzati dal ricorrente. atteso che la Corte ha diffusamente motivato in ordine al tenore di vita pregresso, allo sproporzionato differenziale economico-patrimoniale esistente tra i coniugi, alla difficolta’ della ex moglie (sposatasi a soli 13 anni, madre e casalinga) di trovare un impiego od una occupazione seriamente retribuita, senza che sopraggiunte nuove relazioni (e filiazioni) per l’ex marito possano comportate un’attenuazione del dovere solidaristico posto a suo carico.
Del resto, le censure del ricorrente, tutte miranti alla inammissibile ripetizione del giudizio di merito (attraverso il riesame di fatti e documenti oggetto di apprezzamento nella fase di merito), con riferimento alle sentenze (come quella oggetto del presente giudizio) pubblicate oltre il termine di trenta giorni successivo all’entrata in vigore della Legge n. 134 del 2012 (che ha convertito il Decreto Legge n. 83 del 2012), si infrangono sull’interpretazione cosi’ chiarita dalle SU civili (nella Sentenza n. 8053 del 2014): la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in Legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. In conclusione, si deve disporre il giudizio camerale ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., e articolo 375 c.p.c., n. 5″.
Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra, alla quale – sia con memoria sia in sede di discussione orale – risultano essere state mosse osservazioni critiche della ricorrente;
che, peraltro, tali ultime osservazioni non possono essere fatte proprie dal Collegio;
che, infatti, il ricorso per cassazione non e’ concepito per ottenere un riesame della controversia, come tende a ribadire l’odierno ricorrente; che, in particolare, non possono essere sindacate in questa sede le questioni attinenti alla difficile collocabilita’ dell’ex- moglie (sposatasi a soli 13 anni, madre e casalinga) di trovare un impiego od una occupazione seriamente retribuita;
che neppure possono essere rivalutate le sopraggiunte nuove relazioni (e filiazioni) per l’ex marito, cosi’ che esse possano comportare un’attenuazione del dovere solidaristico posto a suo carico; che, in ordine all’occupazione di fatto di un immobile da parte della ex moglie qui non puo’ valere il principio di diritto secondo cui “In sede di divorzio, ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, occorre tenere conto dell’intera consistenza patrimoniale di ciascuno dei coniugi e, conseguentemente, ricomprendere qualsiasi utilita’ suscettibile di valutazione economica, compreso l’uso di una casa di abitazione, valutabile in misura pari al risparmio di spesa che occorrerebbe sostenere per godere dell’immobile a titolo di locazione”, atteso che l’immobile in esame risulta occupato de facto e che, pertanto, la valutazione di una tale utilita’ fuoriesce dall’ambito valutativo proprio dei valori legalmente posseduti da ciascuno dei coniugi, rimanendo la difficolta’ di liberazione dell’immobile da parte del suo proprietario una dato di fatto estraneo alla ponderazione delle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali;
che, pertanto, il ricorso va dichiarato manifestamente infondato con le conseguenze di legge: a) NON le spese processuali, per la mancata difesa della intimata; b) il raddoppio del contributo unificato, poiche’ il ricorso, proposto successivamente al 30 gennaio 2013 (e rigettato), NON essendosi discusso di problemi relativi ai figli della coppia, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 10, NON e’ esentato dal pagamento del contributo unificato quando – come nella specie – si tratti di una causa relativa al processo di divorzio in cui NON si sia discusso di questioni relative ai figli (capo 4 del titolo 2 del Libro 4 del c.p.c.), NON essendo compreso, un tale caso, fra quelli stabiliti nel menzionato articolo 10, commi 2 e 3, del Testo Unico del 2002;
che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52, deve disporsi che siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis. Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
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