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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza n. 3820 del 24 gennaio 2013

 

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata, l’appellata sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari del 29/10/2010, emessa a seguito di giudizio abbreviato, veniva confermata nell’affermazione di responsabilità di I.V., C.G., G.C. e I.L. per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, comma 6, commesso dai primi tre promovendo, dirigendo ed organizzando, e dal quarto partecipando ad un’associazione operante in Bari, Conversano e zone limitrofe fino al 28/12/2008 nel traffico di cocaina e hashish; del C. e del G. per i reati di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, commessi cedendo quantitativi di cocaina di gr. 200 ciascuno in Conversano il 09/12/2004 ed il 29/12/2004; e di N. L.S.A. per i reati di cui agli art. 74, comma 6, e D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 commesso promovendo, dirigendo ed organizzando un’associazione operante in Conversano e Bari dal gennaio del 2004 nel traffico di cocaina e hashish, cedendo un quantitativo di cocaina e detenendone altro pari a gr. 17 in (omissis). In parziale riforma della sentenza di primo grado le pene inflitte agli imputati venivano ridotte per L. I. ad anni uno e mesi otto di reclusione, per il L. S. ad anni cinque di reclusione ed Euro 24.000 di multa, per I.V. ad anni cinque, mesi sei e giorni venti di reclusione e per il C. ed il G. ad anni sette di reclusione ed Euro 32.000 di multa ciascuno.

Gli imputati ricorrono sui punti e per i motivi di seguito indicati.
1. Nei ricorsi proposti dal C. e dal G. si deduce violazione di legge nella ritenuta validità della rinuncia ai motivi di appello sulla responsabilità, viceversa inefficace in quanto formulata in assenza degli imputati da difensori privi di procura speciale per tale atto.
2. Sull’affermazione di responsabilità, il ricorrente I. V. deduce mancanza di motivazione in ordine ai rilievi difensivi sull’identificazione dell’imputato quale interlocutore delle conversazioni intercettate, all’univoca riferibilità di queste ultime al traffico di stupefacenti ed alla promozione dell’associazione da parte dell’imputato.
3. Sulla contestata recidiva, il ricorrente I.L. deduce violazione di legge nella mancata valutazione della riabilitazione intervenuta per la precedente condanna dell’imputato.
4. Sullo stesso punto, il ricorrente C. deduce violazione di legge nella ritenuta obbligatorietà dell’aumento per la recidiva, previsto dall’art. 99 cod. pen., comma 5, per i reati di cui all’art. 407 cod. proc. pen., comma 2, lett. A, osservando che l’ipotesi di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, comma 6, T.U. stup., nella quale il reato associativo contestato veniva derubricato, costituendo fattispecie autonoma e figura specifica del reato di cui all’art. 416 cod. pen., al quale è assimilata quoad poenam, non può in quanto tale essere ritenuta compresa nella previsione di cui al citato art. 407, riferita unicamente all’art. 74, e sollevando in subordine eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 99 cod. pen., comma 5, per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost..
5. Sull’applicazione dell’aumento di pena per la contestata recidiva reiterata, il ricorrente I.V. deduce mancanza di motivazione in ordine al limitato periodo di operatività dell’associazione criminosa.
5. Sul diniego delle attenuanti generiche, il ricorrente C. deduce mancanza di motivazione nel ricorso a formule di stile a fronte dei rilievi difensivi.
6. Sul diniego della prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche, il ricorrente L.S. deduce violazione di legge ed illogicità della motivazione nella valutazione a tal fine della recidiva come specifica ed infraquinquennale, oltre che reiterata, nonostante l’ultimo dei precedenti penali dell’imputato risalga al 1991 e nessuno di tali precedenti riguardi la materia degli stupefacenti.
7. Sulla determinazione della pena il ricorrente I.V. deduce mancanza di motivazione.

Motivi della decisione

1. I motivi di ricorso proposti dal C. e dal G. in ordine alla ritenuta validità della rinuncia ai motivi di appello sulla responsabilità sono infondati.
Risulta dal verbale d’udienza del dibattimento di appello che in quella sede i difensori degli imputati dichiaravano di rinunciare ai motivi diversi da quelli relativi al trattamento sanzionatorio.
Presente in udienza era il solo imputato I.L..
Agli atti del fascicolo del giudizio di appello vi è tuttavia procura speciale per la rinuncia a motivi di impugnazione rilasciata da I.V. ai difensori avv.ti Chiusolo e D’Amico; e nel fascicolo delle richieste di applicazione di pena, agli atti relativi al primo grado, sono allegate procure rilasciate con lo stesso oggetto dal L.S. all’avv. Lasaracina e, per quanto qui specificamente interessa, dal C. all’avv. Cristini. Il ricorso proposto per quest’ultima posizione è pertanto manifestamente infondato.

Con riguardo alla residue posizione del G., per il quale non risulta agli atti analoga procura, e più in generale sulla tematica sollevata dai motivi di ricorso in esame, occorre osservare che il principio della necessità della procura speciale per la validità della rinuncia del difensore all’impugnazione (Sez. 3, n. 24341 dell’08/04/2003, Salleo, Rv.224933; Sez. 4, n. 23609 del 18/03/2004, Hamemi, Rv.228784; Sez. 6, n. 42181 del 27/11/2006, Ferrieri Caputi, Rv.235302; Sez. 1, n. 7764 del 27/01/2012, Santonastaso, Rv.252080) non può essere invocato per il caso in esame; nel quale i difensori non rinunciavano agli atti di appello in quanto tali, ma a determinati motivi fra quelli nei quali gli stessi si articolavano, in conseguenza di una scelta tecnica agli stessi rimessa nell’ambito del mandato difensivo conferito dagli imputati.
Non va sottaciuto, peraltro, che la sentenza impugnata, dando atto della rinuncia ai motivi d’appello in discussione, motivava sia pur sinteticamente sull’infondatezza dei motivi relativi alla responsabilità degli imputati, affermando che gli stessi riproponevano questioni già esaminate dal Giudice dell’udienza preliminare; e ciò dopo aver specificamente riproposto, nella parte introduttiva, i riferimenti della decisione di primo grado ai contenuti delle conversazioni telefoniche intercettate, con particolare riguardo alla sicura identificazione degli imputati, nessuno dei quali aveva negato di esserne interlocutore, ed alla significativa circostanza del comprendere gli imputati tali comunicazioni nonostante il loro carattere criptico ed allusivo, nonchè ai risultati delle operazioni di osservazione, perquisizione e sequestro ed alle dichiarazioni rese dagli acquirenti delle sostanze stupefacenti.
2. Inammissibile, in conseguenza di quanto detto al punto che precede, è il motivo di ricorso proposto da I.V. sull’affermazione di responsabilità.
E’ invero manifestamente infondata la doglianza di omessa motivazione sul punto, nel momento in cui la necessità di detta motivazione era esclusa dall’intervenuta rinuncia ai relativi motivi di appello, peraltro non contestata dall’imputato in questa sede; non senza considerare anche a questi fini come la sentenza contenesse in realtà una motivazione su questi aspetti, aggiungendo anzi uno specifico riferimento alla posizione di preminenza dell’imputato nel contesto associativo, desunta dagli appellativi rispettosi con i quali lo stesso era nominato nella conversazioni intercettate.
3. Il motivo di ricorso proposto da I.L. sulla contestata recidiva è inammissibile.
La censura non è infatti consentita in quanto non sollevata con i motivi di appello; ed è comunque manifestamente infondata nel momento in cui, già nella sentenza di primo grado, della recidiva non si teneva conto ai fini della determinazione della pena.
4. Sempre in tema di recidiva, è invece fondato il motivo di ricorso proposto dal C..
Come rammentato dal ricorrente, la natura autonoma della fattispecie di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74, comma 6, è stata affermata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 34475 del 23/06/2011, Valastro, Rv. 250352) ai fini dell’esclusione dell’operatività, per la stessa, della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura cautelare carceraria di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 3. L’autonomia della previsione è in particolare desumibile dal richiamo della norma incriminatrice all’applicazione, per l’associazione finalizzata alla commissione di condotte di traffico di stupefacenti di lieve entità, dell’art. 416 cod. pen. nella sua integrante, e non della sola pena in esso prevista per il comune reati di associazione per delinquere; circostanza significativa dell’intento del legislatore di operare un rinvio non meramente quoad poenam, bensì ai fatti previsti dal citato art. 416, costruendo pertanto la condotta associativa riferibile al traffico di stupefacenti di limitata entità quale fattispecie criminosa distinta da quelle di cui al primo ed all’art. 74, comma 2. Ma questa Corte ha altresì individuato il richiamo all’art. 74 di cui all’art. 51 cod. proc. pen., comma 3 bis, a sua volta richiamato dall’art. 275 cod. proc. pen., comma 3, come riferito unicamente ai fatti di cui al primo ed all’art. 74, comma 2, e non esteso anche a quelli di cui al sesto comma; estensione che incorrerebbe in insuperabili vizi di irragionevolezza, non essendo giustificato per fatti riconosciuti come di ridotta offensività rispetto a quelli indicati nei primi due commi dell’art. 74, ed in quanto tali assimilati alla comune associazione a delinquere, un regime cautelare differenziato e maggiormente afflittivo che per quest’ultima fattispecie non è invece prevista, se non laddove la stessa sia finalizzata alla commissione di determinati reati di particolare gravità.

Orbene, queste considerazioni valgono senz’altro anche per il richiamo dell’art. 99 cod. pen., comma 5, al citato art. 74, pur attraverso la diversa norma intermedia di cui all’art. 407 cod. proc. pen., comma 2, lett. A ai fini della previsione di obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva. La natura autonoma della fattispecie di cui al sesto comma dell’art. 74, in quanto propria della dimensione sostanziale della stessa, opera evidentemente a tutti gli effetti, ivi compresi quelli appena indicati. Quanto al rinvio presente nella norma intermedia, sono riproponibili per l’art. 407 cod. proc. pen. le stesse valutazioni esposte per l’art. 51 c.p.p., in termini di irragionevolezza di un’interpretazione che intenda il richiamo al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 74 come riferibile anche all’ipotesi di cui al sesto comma di detto articolo.
In questo caso infatti, come nel precedente, tale interpretazione implicherebbe l’attribuzione a fatti associativi, riconosciuti quali di lieve entità nell’illecito commercio di sostanze stupefacenti, di un regime maggiormente afflittivo di quello che pure in questa situazione l’art. 407 cod. proc. pen., comma 2, lett. A, n. 7 attribuisce alle condotte di comune associazione a delinquere solo ove le stesse assumano particolare gravità, qui ritenuta dal legislatore per i fatti in ordine ai quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza.
Considerato che la sentenza impugnata, così come quella di primo grado, giustifica l’applicazione della recidiva nei confronti del C. con il mero riferimento all’obbligatorietà della stessa ai sensi dell’art. 99 cod. pen., comma 5, il motivo di ricorso deve trovare pertanto accoglimento; e tale conclusione non può che avere effetto estensivo sulla posizione di I.V., il quale pure ricorre avverso l’applicazione della recidiva, motivata anche nei suoi confronti in termini analoghi a quelli appena riportati per la posizione del C.. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata nei confronti dei predetti imputati, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Bari per nuovo esame in ordine al trattamento sanzionatorio, rimanendo assorbiti gli ulteriori proposti su quest’ultimo punto dai citati ricorrenti.
5. E’ infine inammissibile il ricorso proposto dal L.S. sul diniego della prevalenza delle riconosciute attenuanti generiche.
Il motivo è infatti manifestamente infondato laddove il ricorrente, contestando la specificità e l’infraquinquennalità della recidiva, ne ammette tuttavia il carattere reiterato, di per sè ostativo all’invocata prevalenza delle attenuanti ai sensi dell’art. 69 cod. pen., comma 4.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da I.L. e dal L.S. segue la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, valutata l’entità della vicenda processuale, appare equo determinare in Euro 1.000.
Il ricorso del G. deve essere integralmente rigettato, seguendone la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Bari limitatamente al trattamento sanzionatorio per C.G. e, per l’effetto estensivo, per I. V.. Rigetta nel resto i ricorsi dei predetti.
Dichiara inammissibili i ricorsi di L.S.N.A. e di I.L..
Rigetta il ricorso di G.C..
Condanna L.S., I.L. e G. singolarmente al pagamento delle spese processuali e L.S. e I.L. singolarmente al pagamento della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

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