Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza n. 23740 del 21 ottobre 2013
Ritenuto in fatto
1. G.P. propone, in qualità di erede di A.P., ricorso per eassuione, articolato in dodici motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento deil’appello dell’Ufficio, è stata affermata la legittimità – ad esclusione della parte relativa alla irrogazione delle sanzioni, non trasmissibili agli eredi – degli avvisi di accertamento notiñcati nel 1995, per IRPEF ed ILOR degli anni l987, l988 e 1989, ad A.P., con metodo sintetico ai sensi dell’art. 38, quarto comma, del d.P.R. n. 600 del 1973.
Il giudice d’appello ha ritenuto che gli accertamenti dell’Ufficio sono ampiamente motivati, contenendo dettagliatamente sia gli elementi costitutivi dei beni patrimoniaii di proprietà del contribuente, sia le spese per incrementi patrimoniali sostenute; ha, inoltre, osservato che né il ricorrente prima (al quale era stato inviato un questionario in relazione alle possidenze immobiliari), né l’erede dopo, hanno dimostrato con dati di fatto i certi che il reddito imponibile determinato sinteticamente dall`Ufficio sulla consistenza dei beni immobili era effettivamente difforme da quello accertato.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con eontroricorso.
3. ll ricorrente ha depositato memoria.
Considerato in diritto
1. Va, innanzitutto, rilevato che il primo, il quinto e il sesto motivo di ricorso, con i quali viene denunciata l’omissione, o l’insufficienza, della motivazione della sentenza su punti decisivi, sono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis), il quale, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, esige una chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, o delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione ia rende inidonea a giustificare la decisione (tra le tante, Cass. nn. 2652 e 8897 del 2008, 27680 del 2009).
2. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 38, comma 4, e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, si lamenta che la sentenza impugnata ha ritenuto adeguatamente motivati gli avvisi di accertamento con riferimento alle proprietà immobiliari del contribuente, laddove queste non erano chiaramente individuate (ma genericamente indicate come “abitazioni”) né individuabili negli atti irnpositivi, neanche avendo riguardo al questionario (c.d. “mod. 55”) inviato al contribuente, il quale conteneva anche abitazioni riconosciute dallo stesso Ufficio di proprietà di familiari del contribuente stesso.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Gli avvisi di accertamento, compiutamente riprodotti nella parte introduttiva del ricorso, contenevano l’elenco delle abitazioni, principali e secondarie, cui facevano riferimento; e l’assenza di elementi specifici di individuazione delle stesse deve ritenersi inidonea ad aver impedito al contribuente un’adeguata possibilità di difesa, tenuto conto del fatto che gli avvisi erano stati preceduti dal questionario, nel quale gli immobili appartenenti al contribuente erano stati dettagliatamente indicati (come risulta nello stesso ricorso, nel quale il questionario è, sia pur non completamente, riprodotto).
Pertanto, al di là di profili di difetto di autosufficienza delle censure, si deve concludere nel senso che la motivazione degli avvisi impugnati, in sé e attraverso il rinvio al questionario, atto ovviamente ben conosciuto dal contribuente, sia stata idonea (tanto più che la fattispecie risale ad epoca – 1995 – anteriore all’entrata in vigore dello Statuto del contribuente) a porre il destinatario in condizione di esercitare pienamente il diritto di difesa.
3. Con il settimo motivo, denunciando nuovamente la violazione delle stesse norme sopra indicate, si censura la sentenza impugnata per non avere il giudice a quo rilevato Vìnvalidità degli avvisi di accertamento per carenza di specificazione delle pretese spese per incrementi patrimoniali.
Il motivo è fondato.
Come, infatti, risulta dal testo degli atti impositivi riportato dal contribuente (e non contestato dall’Agenzia), è stato posto a base dell’accertamento sintetico (oltre al possesso di immobili) anche il fatto che il P. “negli anni dal l987 al 1990 ha sostenuto spese per incrementi patrimoniali per £. l90.000.000”.
Siffatta motivazione si rivela inadeguata, poiché l’indicazione di una somma complessiva, senza specificazione dell’entità e di altri elementi identificativi dell’unica o delle plurime spese asseritamente sostenute per incrementi patrimoniali, viola il citato art. 38, quarto comma, del TUIR – il quale richiede l’esistenza di “elementi di fatto certi” da porre a base dell’accertamento sintetico -, in quanto rende impossibile, o eccessivamente difficoltoso, l’esercizio del diritto del contribuente di fornire la prova richiesta dal sesto comma del citato art. 38 del TU lR al fine di sottrarre dette spese dal computo del reddito complessivo accettabile in via sintetica.
Resta assorbito l’ottavo motivo.
4. Con il nono motivo, denunciando ancora le norme sopra indicate, si deduce che il giudice di merito non avrebbe considerato che non in tutti gli anni oggetto di contestazione era avvenuta la dichiarazione congiunta con il coniuge del contribuente T.M..
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
5. Con la decima doglianza, si insiste sulla genericità del riferimento alle abitazioni possedute dal contribuente, con conseguente impossibilità di fornmire la prova contraria.
La censura è infondata per le ragioni già espresse nel paragrafo 2.
6. Con l’undicesimo motivo, si rileva che nella specie alcuni fatti favorevoli al contribuente erano in realtà pacifici, per cui non occorreva fornire alcuna prova contraria.
ll motivo è inammissibile in quanto privo di autosufficienza.
7. lnfine, con la dodicesima e ultima censura, ci si duole del fatto che il giudice a quo abbia omesso di pronunciare sul motivo, riproposto in appello, con cui il contribuente aveva contestato la nullità degli avvisi per l’omessa indicazione dell’aliquota applicata.
Va premesso che, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ, ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su tma questione di mero diritto, che non richiede ulteriori accertamenti di fatto, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la questione nel merito, purché su di essa si sia svolto il contraddittorio, dovendosi ritenere che l’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ, come modificato dall’art. l2 della legge n. 40 del 2006, attribuisca alla Corte di cassazione una funzione non più soltanto rescindente ma anche rescissoria c che la perdita del grado di merito resti compensata con la realizzazione del principio di speditezza (Cass. nn. 5139 e 24914 del 2011, 8622 del 2012).
Ciò posto, il motivo è infondato, poiché dal testo degli avvisi di accertamento, riprodotto in ricorso, risulta chiaramente che l’Ufficio ha applicato l’aliquota del 16,2 per cento.
8. In conclusione, va accolto il settimo motivo di ricorso e rigettati i restanti; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, per nuovo esame, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia, la quale provvederà in ordine alle spese anche del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il settimo motivo del ricorso, che rigetta per il resto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2013.
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