Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza n. 22013 del 22 maggio 2013
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha assolto M.A. dal reato di cui all’art. 660 cod. pen. e ha confermato l’affermazione di responsabilità della stessa per il reato di ingiurie rivolte attraverso sms.
2. Nell’interesse della A. è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., che l’originaria contestazione di altri reati, oltre quello di ingiuria per il quale soltanto era stata condannata, l’aveva privata del proprio giudice naturale (il giudice di pace) e della più favorevole disciplina prevista dagli artt. 34 e 35 del d.lgs. n. 274 del 2000, con riguardo alla causa di non procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto e all’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie.
2.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), e), cod. proc. pen., che la Corte abbia ritenuto l’offensività del fatto, nonostante innocuità delle espressioni adoperate, peraltro circoscritte nella diffusione al nucleo familiare della persona offesa. Inoltre, il tenore dei messaggi dimostrerebbe che non vi era intento offensivo nei confronti della destinataria, ma, al limite, nei confronti di altre persone a quest’ultima legate.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è infondato, dal momento che l’individuazione del giudice
competente per materia deve essere operata alla stregua della fattispecie incriminatrice
contestata all’imputato. Peraltro, tale soluzione neppure comporta in astratto il pregiudizio
lamentato, dalla ricorrente nel caso di specie, dal momento che, ai sensi dell’art. 63 del d.lgs. n. 274 del 2000, nel caso in cui i reati indicati nell’art. 4, commi 1 e 2 del medesimo d. lgs., siano giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace, si osservano le disposizioni del titolo II del medesimo d. lgs., nonché, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli artt. 33, 34, 35, 43 e 44.
2. Anche il secondo motivo è infondato, dal momento che il Tribunale, con motivazione che non esibisce alcuna manifesta illogicità, ha ritenuto di contenuto offensivo i messaggi inviati attraverso sms alla persona offesa, i quali recano il seguente contenuto: “siete una famiglia di troie…” (01/09/2008), “sei una troia come tua zia…”; “io lo so che tuo padre si fa anche i figli” (07/09/2008).
Anche le critiche concernenti l’assenza di intento offensivo sono infondate, per l’assorbente ragione che in tema di delitti contro l’onore, non è richiesta la presenza di un animus iniuriandi vel diffamandi, ma appare sufficiente il dolo generico, che può anche assumere la forma del dolo eventuale, in quanto basta che l’agente, consapevolmente, faccia uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere (Sez. 5, n. 7597 del 11/05/1999, Beri Riboli, Rv. 213631).
3. Alla decisione di rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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