Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza n. 12587 del 18 marzo 2013
Svolgimento del processo
1. D.I.M.A. è stata dichiarata colpevole del reato di cui all’articolo 582 del codice penale dal giudice di pace di Casacalenda; il tribunale di Larino, quale giudice di appello, ha confermato la sentenza di primo grado, dichiarando interamente condonata la pena ai sensi della legge 241 del 2006.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputata per i seguenti quattro motivi:
a. inosservanza degli artt. 507 e 125 c.p.p., nonchè D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 32. Secondo la ricorrente vi sarebbe un difetto assoluto di motivazione in ordine alla assunzione del teste R.V. ai sensi dell’art. 507 c.p.p., nonchè violazione della norma di legge che consente l’assunzione d’ufficio del teste solo al termine dell’istruttoria dibattimentale.
b. Travisamento della prova; contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Sotto tale profilo si lamenta che la sentenza abbia escluso che le lesioni riportate dalla signora M. potevano essere state causate dal R.; la ricorrente indica come dovrebbero essere ricostruiti i fatti.
e. Violazione e falsa applicazione dell’art. 160 c.p.; secondo la ricorrente il termine di prescrizione del reato non è interrotto dall’emissione del decreto di citazione a giudizio, ma dalla sua notifica (nel caso di specie avvenuta dopo il decorso del termine prescrizionale).
d. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2947 c.c.;
secondo la ricorrente il diritto al risarcimento del danno si prescrive indipendentemente da eventuali cause di interruzione o sospensione della prescrizione relative al reato.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità, in quanto non introduce elementi significativi di novità rispetto alle questioni già sollevate con l’appello, sulle quali ha fornito adeguata risposta il tribunale di Larino (cfr. pagg. 2-3 della sentenza). In ogni caso, si deve ricordare che il giudice ha l’obbligo di ricorrere al potere che l’art. 507 c.p.p., gli conferisce in ordine all’acquisizione anche d’ufficio di mezzi di prova quando ciò sia indispensabile per decidere, non essendo rimessa alla sua mera discrezionalità la scelta tra disporre i necessari accertamenti e prosciogliere l’imputato (Sez. 3, n. 5747 del 13/05/1997, Fani, Rv. 208207). Inoltre, si ricorda che con il primo motivo di ricorso è stata dedotta una violazione di legge, per cui è del tutto irrilevante che a sostegno dell’ordinanza di ammissione della prova vi sia stata una motivazione concisa, che peraltro deve ritenersi più che sufficiente. Quanto al momento in cui è stata disposta la prova testimoniale, si ricorda che il ricorso all’integrazione probatoria d’ufficio, ex art. 507 c.p.p., effettuato prima che sia terminata l’acquisizione delle prove costituisce una mera irregolarità procedimentale che, in mancanza di una specifica previsione, non determina alcuna sanzione di nullità o inutilizzabilità (cfr. Sez. 5, n. 26163 del 11/05/2010, Bontempo, Rv. 247896).
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si rivolge contro valutazioni di merito delle quali i giudici hanno fornito adeguata motivazione (si vedano le pagine tre e quattro della sentenza impugnata). La ricorrente propone semplicemente una costruzione alternativa dei fatti, non consentita in questa sede di legittimità.
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato. Il decreto di citazione a giudizio interrompe il corso della prescrizione dalla data della sua emissione, coincidente con quella in cui l’atto si è perfezionato con la sottoscrizione del P.M. e dell’ausiliario che lo assiste, e non già da quella, successiva, della sua notificazione all’interessato (cfr. Sez. 1, n. 13554 del 26/02/2009, P.G. in proc. Mihaiu, Rv. 243137).
4. Anche il quarto motivo di ricorso è infondato; ritiene questo collegio, pur consapevole di un orientamento contrario, peraltro non ancora consolidato (Sez. 5, n. 14460 del 02/02/2011, Nanni, Rv. 249846, che richiama Sez. U civile, n. 1479 del 18/02/1997, Rv. 502506; conf. Sez. 1 civile, Sentenza n. 5009 del 02/03/2009, Rv. 607109) che l’azione civile esercitata nel processo penale soggiace alle regole proprie della prescrizione penale, di guisa che ad essa sono applicabili anche gli istituti della sospensione e della interruzione di cui agli art. 159 e 160 c.p., con la conseguenza che fruisce non solo del termine di prescrizione quinquennale (o superiore se per il reato è previsto un più lungo termine), ma anche del prolungamento dei termini conseguenti ad eventi interruttivi e sospensivi della prescrizione penale, (cfr. Sez. 4, n. 38773 del 12/07/2011, Fantozzi, Rv. 251432; nella specie la costituzione di parte civile era avvenuta oltre il termine di cinque anni, ma a seguito dell’interruzione della prescrizione ad opera della notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio).
5. E’ conforme a questo orientamento sez. 1, n. 3601 del 20/12/2007 – dep. 23/01/2008, Gallo, Rv. 238369, la quale ha preso
in esame la pronuncia delle sezioni unite civili, osservando che il principio contrario “… è stato affermato da Cass. Sez. Un. Civili 18.2.1997 n. 1497, rv. 502506, con riguardo alla prescrizione della azione di risarcimento del danno da reato esercitata in sede civile, per cui è stato ritenuto che, anche se il giudizio penale non sia stato promosso, l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato si applica anche all’azione di risarcimento del danno, a condizione che il giudice accerti incidenter tantum la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto reato in tutti i suoi elementi costitutivi, ma non assumono in tal caso rilievo eventuali cause di interruzione o sospensione della prescrizione relative al reato, essendo ontologicamente diversi l’illecito civile e quello penale. Nel caso in esame però la situazione appare diversa poichè la azione civile è stata esercitata nell’ambito del processo penale ed in tal caso la giurisprudenza è costante nell’affermare che, se vi sia stata costituzione di parte civile nel processo penale, si verifica la interruzione della prescrizione con effetto permanente per tutta la durata del processo e tale termine rincomincia a decorrere dalla data in cui diviene irrevocabile la sentenza penale che ha dichiarato di non doversi procedere per essere il reato estinto per prescrizione (…) Una volta che la azione civile è innestata nel processo penale la stessa soggiace, anche in punto di prescrizione, alle regole della prescrizione penale e quindi anche alla sospensione ed alla interruzione dei termini. Non appare infatti consentita una interpretazione dell’art. 2947 c.c., comma 3, per cui il riferimento alla più lunga prescrizione penale debba avvenire soltanto con riguardo al termine base e non anche a tutti gli istituti della prescrizione penale, poichè ciò comporterebbe il rischio inaccettabile di fare prescrivere la azione civile nel caso di scelta di innestarla nel processo penale, che pure è prevista dalla legge come regola e che non può danneggiare colui che ha già subito un danno. D’altronde il momento di costituzione quale parte civile, nel caso di reato per cui è prevista la citazione diretta, come nella fattispecie in esame, non può precedere quello della conoscenza della citazione a giudizio da parte della persona offesa, mentre l’atto interruttivo della prescrizione penale è integrato dalla emissione del decreto di citazione, il che consente alla parte civile di avvalersi dell’effetto interruttivo integrato dalla emissione della citazione a giudizio qualora abbia scelto di esercitare la azione civile nell’ambito del processo penale, non potendo essere imposto alla parte di esercitare obbligatoriamente la azione civile in sede civile, per evitare la prescrizione, quando ha facoltà di scelta”.
6. E’ conforme all’orientamento cui aderisce questo collegio anche Sez. 3, n. 9725 del 13/04/1992, Arduini, Rv. 191911, secondo cui in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, il termine ordinario civile di cinque anni, qualora il fatto sia considerato come reato, e sostituito da quello corrispondente previsto per l’illecito penale. Il richiamo operato alla disciplina penale è ampio e deve intendersi riferito anche alla interruzione, che va quindi computata: l’art. 2947 c.c., nel far coincidere le due prescrizioni, da luogo infatti ad una disciplina unitaria dei due istituti (civile e penale).
7. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; alla declaratoria di rigetto segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2013.
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