Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza del 31 ottobre 2012, n. 42478

Ritenuto in fatto

1. Il 22/02/2011 il Tribunale di Trapani riformava la sentenza emessa dal Giudice di pace della stessa città il 01/04/2010 nei confronti di P.P.e. G.P. , condannati in primo grado alla pena di Euro 1.000,00 di multa ciascuno, per il delitto di cui agli artt. 110 e 595 cod. pen., che si assumeva commesso in pregiudizio di F.M. (gli imputati erano stati altresì condannati a rifondere i danni morali subiti dallo stesso M. , costituitosi parte civile). A differenza da quanto valutato dal giudice di prime cure, il Tribunale riteneva che le affermazioni lesive dell’onore della persona offesa, in ipotesi ascrivibili al P. ed al Po. , costituivano esercizio del diritto di manifestazione del pensiero: ciò in quanto – stando allo stesso tenore della rubrica – gli imputati avevano realizzato la condotta nell’ambito di una iniziativa di carattere sindacale, organizzata da un movimento del quale il P. era segretario provinciale, esponendo nell’occasione un manifesto riferibile alla persona del M. (C), in cui si poneva l’interrogativo se costui avesse speso denaro spettante ai lavoratori, o comunque ai contribuenti in genere, “per farsi la campagna elettorale”.
Il Tribunale dava atto che sulla sussistenza del fatto materiale non vi erano discussioni, reputando però che nel caso di specie gli imputati si fossero limitati ad un quesito di carattere meramente provocatorio, giustificato dalla esasperazione del sindacato (e dei lavoratori che vi si riconoscevano) per una “situazione di obiettivo e prolungato disagio retributivo, tale da legittimare una modulazione in senso meno rigoroso e più comprensivo dei parametri ordinari di riprovevolezza normalmente invocabili ove non vi siano tali condizioni estreme, così da potersi e doversi tenere senz’altro conto del clima generale di esacerbazione emotiva che gravava sul tessuto sociale di riferimento”. Inoltre, ad avviso del giudice di appello le presunte frasi diffamatorie, nel “contesto contingente ed estemporaneo” in cui si era “esaurita la sua blanda portata comunicativa”, erano rimaste prive di vis lesiva, oltre che di concreti collegamenti con vicende personali attinenti il querelante.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani propone ricorso per cassazione, articolato in un motivo unico.
Il ricorrente deduce errata applicazione della legge penale, nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata: contesta in particolare la presunta vaghezza e genericità delle accuse formulate nel manifesto, da ritenere al contrario insinuanti un fatto ben determinato, e idoneo ad ingenerare in chi lo leggeva la fondata supposizione che il M. avesse attinto a denari pubblici per mire di carriera politica, così finanziandosi illecitamente la campagna elettorale.
Premessa una compiuta distinzione fra diritto di cronaca e diritto di critica, rileva il ricorrente che “nell’esercizio del diritto di critica ben potrà il soggetto elaborare tesi o supposizioni purché queste traggano spunto da accadimenti reali e documentati”, mentre nella fattispecie concreta l’insinuazione concernente la persona offesa risultava non supportata da pur minimi elementi di prova: né avrebbe potuto negarsi la valenza diffamatoria di quella insinuazione, trattandosi di “espediente espressivo atto a deformare la verità introducendo un’opzione (origine delittuosa delle finanze usate dal M. in campagna elettorale) che prima della pubblicazione del manifesto non avrebbe avuto cittadinanza alcuna nella discussione politica”. Al contrario, “l’esercizio del diritto di critica postula, oltre al rispetto del limite della continenza, la stigmatizzazione di un fatto obiettivamente vero nei suoi elementi essenziali oppure ritenuto tale per errore assolutamente scusabile”.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.
Sostenere infatti che taluno, investito di una pubblica funzione, abbia utilizzato indebitamente risorse economiche a lui non spettanti per fini personali di carattere politico, ha valenza sicuramente offensiva della reputazione di quel soggetto, soprattutto laddove l’affermazione lesiva venga utilizzata in un contesto che ne consenta l’immediata riferibilità alla persona offesa. Ciò è senz’altro accaduto nel caso in esame, visto che il manifesto risultava esposto nell’ambito di attività sindacali svolte anche nell’interesse dei lavoratori della ASL di cui il M. era direttore generale: si rivela pertanto obiettivamente contraddittoria ed illogica la motivazione della pronuncia impugnata, nella parte in cui esclude che la frase in questione avesse concreta valenza lesiva e diretta attinenza con vicende personali della parte civile.
Appare altresì incongruo riconoscere portata di mera provocazione alla frase suddetta, solo perché rappresentata in forma interrogativa, risolvendosi al contrario in una vera e propria insinuazione sfornita di riscontri di sorta: va peraltro considerato che, stando alla istruttoria dibattimentale svolta dinanzi al Giudice di pace, il M. aveva dichiarato di non aver mai realizzato campagne in vista di consultazioni elettorali, mentre nella sentenza impugnata non si da contezza di come sia stata provata o ritenuta supposta la contraria ricostruzione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Trapani per nuovo esame.

Depositata in Cancelleria il 31.10.2012

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