Suprema Corte di Cassazione
sezione V
sentenza 6 agosto 2015, n. 34390
Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza confermata dalla Corte di appello di Napoli in data 14/11/2013, ha ritenuto C.A. responsabile di lesioni personali gravi in danno di A.V. , ripetutamente picchiata – fino a compromettergli la funzione uditiva – all’interno dell’abitazione in cui convivevano, e lo ha condannato a pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’imputato, l’avv. Giuseppe Ferrara, con due motivi.
Col primo lamenta una contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo all’affermazione della responsabilità, fondata sulle sole dichiarazioni della persona offesa, contraddittorie e inverosimili e non sottoposte a rigoroso vaglio di attendibilità.
Col secondo lamenta un vizio di motivazione con riguardo alla durata della malattia e all’esistenza di postumi permanenti, a cui è connessa l’aggravante dell’art. 583 cod. pen., pure – secondo il ricorrente – malamente interpretato. Deduce, sotto il primo aspetto, che la persona offesa è guarita, sia pure dopo un intervento chirurgico, in brevissimo tempo; sotto il secondo aspetto, che l’acufene non è una malattia, ma un sintomo, che non è segno di indebolimento dell’organo uditivo.
Considerato in diritto
I motivi di ricorso attinenti al fondamento della responsabilità sono infondati, ma la sentenza va annullata per prescrizione del reato, intervenuta prima della sentenza d’appello.
1. Le censure concernenti la prova della responsabilità sono immediatamente contraddette dalla semplice lettura delle sentenze di primo e secondo grado (quest’ultima rimanda espressamente alla prima, più minuziosa e articolata), che si diffondono in una specifica e approfondita valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, di cui sono state rilevate le caratteristiche di spontaneità, pacatezza e congruenza e la loro perfetta compatibilità con le lesioni certificate, nonché il fatto che non risultano nemmeno smentite dall’imputato, il quale si è preoccupato di smentire la gravità delle lesioni, piuttosto che la loro sussistenza. D’altra parte, la riconducibilità all’imputato delle plurime lesioni riscontrate sul corpo della ragazza è stata logicamente affermata non solo in base” alle dichiarazioni della donna, ma anche in base alle dichiarazioni della madre di quest’ultima (che la trovò – alla fine della storia – in “condizioni pessime”) e alla constatazione – dotata di inequivocabile forza dimostrativa – che esse furono certificate poche ore dopo l’abbandono della casa che condivideva con C. : segno inconfutabile che furono prodotte in quella casa e dall’imputato, in mancanza di elementi – di qualsiasi natura – idonei a legittimare il dubbio che possano aver avuto una diversa origine.
2. Quanto alla qualificazione delle lesioni (se semplici o gravi), va rilevato che l’acufene, o tinnitus, è un disturbo caratterizzato dalla percezione di suoni non legati a stimoli esterni. Chi ne è affetto è disturbato da rumori di diverso tipo (ronzii, fischi, scrosci) avvertiti in modo continuo o intermittente e con diversa intensità, per effetto di processi patologici di varia natura interessanti l’orecchio interno, il nervo acustico o strutture anatomiche vicine. Essi possono indurre talora – a seconda della intensità – vere e proprie disabilità o alterazioni psichiche.
Non v’è dubbio che, allorché l’affezione sia conseguente a traumi prodotti dall’azione dell’uomo, essa possa rientrare nel concetto di malattia rilevante ai sensi degli artt. 582 e 583 cod. pen., comportando – nei casi più gravi – un indebolimento dell’udito, compromesso dalla percezione di rumori endogeni, conseguenti alla provocata alterazione anatomica. Nella specie, la sentenza impugnata – a parte l’erroneo riferimento alla valutazione ex-ante della lesione -non ha mancato di rilevare (col rimando a quella di primo grado) che ciò si è – in concreto – verificato, dal momento che i colpi inferti sul viso della donna hanno provocato a quest’ultima una “perforazione della membrana timpanica nei quadranti posteriori con otoematoma ed ecchimosi dei padiglioni auricolari”, nonché una “microfrattura dell’apofisi posteriore della matoide di destra”; lesione cha ha richiesto, per essere ridotta, un intervento di chirurgia ricostruttiva che non ha consentito di eliminare del tutto i disturbi dell’udito, essendo conseguito un “indebolimento anatomico per perdita irreversibile della elasticità della membrana” e “un sibilo permanente e fastidioso”, che è destinato ad aggravarsi col tempo.
La sentenza impugnata – che ha tenuto conto dei dettami della scienza medica ed ha fatto puntuale applicazione dei principi giuridici che regolano la materia, secondo cui si ha indebolimento di un organo allorché si verifica- una diminuzione, anche minima purché apprezzabile, della sua capacità funzionale, e che, in presenza di una debilitazione funzionale, è del tutto irrilevante il maggiore o minore grado dell’indebolimento, trattandosi di circostanza che può (e deve) essere apprezzata ai fini della determinazione della pena e della quantificazione del danno (ex multis, Cass., 7/10/2014, n. 4177) – è, pertanto, del tutto esente dal vizio di legittimità lamentato ed immune da quello motivazionale.
3. Tanto premesso, va però rilevato che il reato, commesso il 5/3/2004, si è prescritto, anche tenuto conto di sessantuno giorni di sospensione intervenuti in appello, il 6 febbraio 2013; vale a dire, prima della sentenza d’appello (che è del 14/11/2013). La sentenza impugnata va pertanto annullata agli effetti penali, rimanendo salve – stante l’infondatezza del ricorso – le statuizioni civili.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili.
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