GIORNALI

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 5 marzo 2014, n. 10594

Ritenuto in fatto

1. Nel procedimento a carico di M.T., Pa.M., P.A., i primi due indagati con riferimento al delitto di diffamazione a mezzo stampa in danno di C.A., il terzo con riferimento al delitto di cui all’articolo 57 cp, il tribunale del riesame di Roma, con il provvedimento di cui in epigrafe, ha confermato il decreto di sequestro preventivo degli articoli giornalistici pubblicati sulle pagine web www.ilfattoquotidiano.it e www.ilfattoquotidiano.it/category/saturno, dal titolo “A.C.: BENI CULTURALI, APPALTI E VECCHI BREVETTI”, nonché “LA CULTURA DELLA DOMENICA. LA CONOSCENZA: UN FINE O SOLO UN MEZZO PER FARE SOLDI?”.
Il P. è direttore responsabile del giornale “Il Fatto Quotidiano”, il Pa. è giornalista presso il predetto quotidiano, il M. è professore associato di storia dell’arte moderna presso l’Università Statale degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di studi umanistici.
2. Gli articoli erano relativi: a) al finanziamento di un documentario realizzato dalla casa di produzione della figlia del C., b) alla cessione – a titolo oneroso – di un brevetto allo stesso intestato, c) all’utilizzo di un finanziamento pubblico per il restauro del castello di Torre in Pietra, di proprietà del C. Quest’ultimo era, all’epoca, presidente dei Consiglio Superiore dei Beni Culturali.
2.1. Si legge nel provvedimento del collegio cautelare che, con i predetti articoli, si accusava – in sintesi – il C. di una gestione privatistica e personalistica della sua carica istituzionale, gestione che aveva dato luogo, reiteratamente, a veri e propri conflitti d’interesse.
3. Il tribunale del riesame, dopo aver escluso che alle notizie circolanti “in rete” si possa applicare la normativa sulla stampa, con conseguente divieto di sequestro di più di tre copie del giornale, ha ritenuto che il contenuto degli articoli predetti avesse natura diffamatoria e che il sequestro preventivo fosse stato ben disposto, in fase di indagini, e – quindi – che il provvedimento ablativo dovesse essere confermato, in quanto il giudice del procedimento incidentale era chiamato a compiere una mera delibazione sommaria della fondatezza della notitia criminis, essendogli impedito l’esercizio di una piena cognitio; ciò in quanto, altrimenti, l’organo predetto avrebbe sconfinato in una non consentita (e preventiva) verifica della fondatezza dell’accusa, verifica riservata all’eventuale fase dibattimentale.
3.1. Il tribunale, peraltro, pur ritenendo “la oggettiva esistenza dei fatti”, anche sulla base della documentazione offerta dalla difesa, opinava, tuttavia, di non essere in grado di apprezzare se gli episodi riferiti si fossero effettivamente verificati “secondo le dinamiche denunciate”.
4. Ricorre per cassazione il difensore dei tre indagati sopra indicati e deduce due censure.
4.1. Con la prima censura, si assume la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione di legge e, segnatamente, degli articoli 21 della Costituzione, 1 della legge n. 47 del 1948, 1 del regio decreto-legge n. 561 del 1946, 1 della legge n. 62 del 2001 e 12 delle preleggi, nonché per difetto di motivazione.
Sostiene il ricorrente che il giudice cautelare, pur dando atto dei divergenti orientamenti giurisprudenziali in tema di assimilazione, ai fini della tutela costituzionale, del giornalismo on­line, rispetto a quello sulla carta stampata, finisce poi, immotivatamente, per aderire alla tesi in base alla quale le notizie diffuse in rete godrebbero di una tutela minore rispetto a quelle pubblicate sui giornali “tradizionali”.
In merito, permanendo il contrasto, si chiede – preliminarmente – che la questione venga rimessa alle Sezioni Unite.
In realtà, la obiettiva discrasia di trattamento tra due condotte del tutto assimilabili non trova giustificazione alcuna nell’ordinamento e autorizza l’interprete a fare ricorso alla analogia in in bonam partem, certamente ammissibile anche in sede processuale e non solo per gli istituti di diritto sostanziale. Al proposito, il tribunale romano, pur sollecitato in tal senso, ha fornito una risposta incongrua, sostenendo che l’applicazione della legge sulla stampa del 1948 ai giornali telematici e anche la versione internet dell’edizione cartacea costituirebbe un’estensione analogica in maiam partem. Esso, in realtà, da un lato, è caduto in un equivoco logico, dall’altro, ha fatto riferimento a una isolata pronunzia del giudice di legittimità.
Partendo da tali erronei presupposti, il collegio cautelare ha ritenuto applicabile il sequestro preventivo alle pagine web di un giornale, esistente anche in versione cartacea. In realtà, un articolo pubblicato in rete, che abbia contenuto riconoscibilmente informativo, non differisce in nulla da un articolo pubblicato su di un giornale che può essere acquistato in edicola. Nel caso di specie, poi, gli articoli pubblicati sui siti web oggetto di sequestro altro non sono che le copie informatiche degli articoli pubblicati sulla versione cartacea, di talché il sito web in nulla differisce da un archivio “fisico”, nel quale siano doverosamente conservate, giorno per giorno, le varie copie del quotidiano.
Le altre sentenze del giudice di legittimità citate nel provvedimento impugnato non sono affatto congruenti con la tesi sostenuta dal tribunale del riesame. Esse si limitano a sostenere che il sequestro preventivo non è ipotizzabile in tema di reati a mezzo stampa, proprio per la tutela costituzionale che la stampa riceve dall’articolo 21 della Carta fondamentale. Invero, tranne che si tratti di pubblicazioni oscene, di pubblicazioni attraverso le quali si faccia apologia di fascismo, ovvero di pubblicazioni che integrino gli estremi del plagio, non è consentito, per esplicito dettato di legge, il sequestro di più di tre copie del giornale. Secondo la dominante giurisprudenza, quindi, l’unico sequestro eseguibile con riferimento al delitto di diffamazione è quello probatorio, sia perché, oggettivamente, un sequestro limitato a sole tre copie non potrebbe avere alcuna efficacia preventiva, sia perché in senso contrario va letto l’esplicito divieto costituzionale, il quale, limitando, comunque, la possibilità di sequestro di stampati alle ipotesi esplicitamente previste dalla legge, non consente – in assenza appunto di una specifica norma in tal senso – la esecuzione di sequestro diverso da quello (probatorio) che può cadere sul numero limitato di copie di cui sopra si faceva riferimento.
Diversamente opinando, si introdurrebbe una forma di censura indiretta sulla stampa, violando apertamente il dettato costituzionale. Si deve dunque giungere alla conclusione che, contrariamente a quello che ha ritenuto il tribunale romano, la tutela costituzionale della stampa è forte e significativa anche sotto il profilo cautelare e che il sequestro preventivo di giornali non può trovare spazio prima della eventuale definitività della sentenza.
Il collegio cautelare, tuttavia, rovesciando arbitrariamente i presupposti logici del ragionamento, ha ritenuto (correttamente) che il limite delle tre copie valesse solo per il sequestro probatorio, ma ha anche ritenuto (erroneamente) che, essendo ammissibile il sequestro preventivo, esso possa trovare applicazione senza limiti numerici.
Ebbene, è agevole replicare che così non è, in quanto il principio costituzionale ha riferimento a qualsiasi manifestazione del pensiero, di talché la valenza e la portata del divieto di sequestro imposto dall’articolo 21 della costituzione, avendo carattere ampio, non trova ostacolo nell’interpretazione letterale del termine “stampa”, e deve applicarsi anche ai giornali telematici e, a maggior ragione, alla versione internet dell’edizione cartacea. Invero, una lettura storicizzata della normativa sulla stampa e dei principi costituzionali in materia non potrà che orientare l’interprete verso una concezione onnicomprensiva del concetto di informazione – e dunque di stampa – anche in considerazione del fatto che nel periodo in cui, tanto la legge n. 47 del 1948, quanto la Costituzione vedevano la luce, l’unico mezzo di diffusione delle notizie, delle opinioni e del pensiero era caratterizzato, appunto, dalla stampa. Lo sforzo di preveggenza, dunque, del legislatore non può essere frustrato da una visione formalistica e ossessivamente ancorata al dato letterale. Non è, d’altra parte, senza significato che la cosiddetta commissione Bozzi, già molti anni addietro, avesse proposto l’introduzione nella Carta costituzionale dell’articolo 21 bis, attraverso il quale estendere le garanzie, già applicate alla stampa, anche ad altri mezzi di informazione, quali in particolare quelli televisivi. Nel caso di specie, poi, è di tutta evidenza che gli articoli comparsi sui siti oscurati non rappresentano prodotti nati e diffusi via internet, ma veri e propri prodotti editoriali, dei quali in rete esiste semplicemente una copia. D’altra parte, la stessa imputazione formulata dal PM fa chiaro riferimento alla legge sulla stampa, in quanto essa contiene l’aggravante di cui all’articolo 13 della legge n. 47 del 1948.
4.2. Con la seconda censura, si deduce la nullità dell’ordinanza per violazione degli articoli 21 della Costituzione, 595, 51 cp e 13 della legge n. 47 del 1948, nonché per mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione.
In relazione al fumus commissi delicti, la motivazione del provvedimento impugnato è meramente apparente oltreché assunta in violazione di legge. Secondo il tribunale del riesame, in sede di valutazione incidentale della sussistenza dei presupposti per l’applicazione di una misura cautelare reale (sequestro), dovrebbe farsi luogo a una delibazione sommaria, essendo impedito l’esercizio di una piena cognitio che determinerebbe una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell’accusa. Si tratta di un orientamento del giudice di legittimità in tema di sequestro preventivo ormai del tutto superato, un orientamento in base al quale si riteneva che il controllo del giudice del riesame non potesse investire la concreta fondatezza dell’accusa (nel caso di specie: verifica del fumus della falsità della notizia), ma dovesse limitarsi all’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito a un soggetto in una determinata ipotesi di reato. In tale ottica, si riteneva potessero essere rilevati solo eventuali difformità tra fattispecie concreta e fattispecie legale ravvisabili ictu oculi.
Il principio è però stato precisato (e corretto) dai successivi arresti giurisprudenziali, in base ai quali si è chiarito che il giudice del riesame non può aver riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto delle concrete risultanze processuali e della situazione effettiva, quale emerge dagli elementi forniti dalle parti. Non occorre – dunque – la sussistenza di indizi di colpevolezza a carico del soggetto in cui danno viene eseguito il sequestro, ma è bastevole che emergano elementi concreti che denuncino la sussistenza del reato ipotizzato.
Ebbene, con riferimento al caso in esame, era stato posto in evidenza come il provvedimento impugnato difettasse di qualsiasi apparato motivazionale degno di tale nome in ordine all’aspetto della sussistenza del reato. E invero, appare evidente che il collegio cautelare si sia “accontentato” della sola querela della presunta persona offesa, atteso che nessun altro elemento risulta evidenziato nel provvedimento che si impugna. Contraddittoriamente, poi, gli stessi giudici del riesame ammettono che i fatti illustrati negli articoli pubblicati sui siti web oscurati rispecchiano sostanzialmente il vero, ma aggiungono che, allo stato, non è possibile accertare se detti fatti si siano verificati secondo le dinamiche denunciate dal giornalista. In realtà si tratta di fatti dei quali i documenti prodotti attestano la reale esistenza. Non si vede, dunque, quale ulteriore verifica fosse necessaria per affermare la rispondenza al vero di ciò che negli articoli di giornale si sosteneva, vale a dire che il C. versasse in palese conflitto di interessi nel momento in cui partecipava, peraltro con una carica apicale, alla deliberazione di atti amministrativi dai quali egli stesso e i suoi familiari avrebbero ricevuto evidenti vantaggi, anche economici.
Posto dunque che, come lo stesso tribunale dei riesame finisce per ammettere, i fatti riferiti rispondono al vero, deve ritenersi, contrariamente a quello che si legge nel provvedimento impugnato, che sia stato rispettato anche il limite della continenza verbale. Sostiene il collegio cautelare che i fatti sono stati descritti con espressioni che devono ritenersi lesive della reputazione alla persona offesa; in realtà il precedente giurisprudenziale citato è del tutto inconferente perché esso si riferisce alla attribuzione di una connotazione negativa ad un soggetto in quanto tale e non alla censura dell’operato dello stesso (scil. di quella determinata condotta, tenuta in quel determinato frangente), come viceversa è avvenuto nel caso di specie. Il tribunale romano, peraltro, sembra ignorare anche la raffinata evoluzione giurisprudenziale in tema di satira.

Considerato in diritto

1. La prima censura è infondata. Essa parte dal presupposto errato della assimilabilità dei siti web, alla stampa “tradizionale”.
1.1. Questo giudice di legittimità ha avuto modo di chiarire (cfr. ASN 200910535-RV 243085) che gli spazi comunicativi sul web, “non essendo giornali”, non godono della speciale protezione prevista per la libertà di stampa.
La libera manifestazione del pensiero, invero, è categoria più ampia (e meno efficacemente tutelata) rispetto alla specifica manifestazione che si estrinseca, appunto, con la parola stampata. L’art. 21 Cost., dopo l’affermazione di carattere generale (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di comunicazione”), riserva la disposizione sul sequestro alla sola manifestazione del pensiero che avvenga attraverso la stampa. Conseguentemente – si sostiene nella pronunzia di questa corte appena citata – i messaggi che appaiono sui forum di discussione sono equiparabili a quelli che possono esser lasciati in una bacheca, pubblica o privata. Come questi ultimi, anche i primi sono strumenti di comunicazione del pensiero, ovvero di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dall’art. 21 Cost.
Insomma, tali messaggi non sono tutelati dalla legge sulla stampa del 1948.
1.2. Non trova pertanto applicazione per blog, mailing list, chat, newsletter, e-mail, newsgroup, ecc. la tutela costituzionale di cui al terzo comma dell’art. 21 della Carta fondamentale. I predetti “siti” conseguentemente sono sequestrabili.
L’assunto rappresenta una rilevante conferma della non assimilabilità del mondo telematico a quello della carta stampata (e contribuisce, non poco, a una lettura “ortopedica” della legge 7.3.2001 n. 62).
1.3. D’altronde, la stessa mancanza di una res extensa (se per tale non si vuole intendere il supporto sul quale la comunicazione è – eventualmente – registrata) renderebbe di per sé improprio persino l’uso del termine “sequestro”. Al proposito, questa sezione ha avuto modo di precisare ulteriormente (ASN 200807319- RV 239103) che il termine “stampa” è dizione tecnica, e, come tale, fu assunto nella norma costituzionale, ai commi secondo e terzo dell’art. 21 Cost. e nella legge sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, (art. 1); la stessa Corte costituzionale, d’altronde, ha, fino a tempi recenti (sent. n. 115 del 2002, e, prima, n. 225 del 1974, n. 148 del 1981, n. 826 del 1988), valorizzato la ontologica diversità, ad es., della comunicazione televisiva rispetto a quella della carta stampata.
Ed è noto, poi, che nessun esito ha avuto la proposta di revisione dell’art. 21 Cost., contenuta nella relazione finale della c.d. Commissione bicamerale per le riforme istituzionali (istituita il 14.4.1983), presentata alle Presidenze delle Camere il 29.1.1985 (la c.d. relazione “gozzi” della quale è parola nel ricorso), proposta che, con la riscrittura dell’art. 21 Cost. e con la introduzione di un art. 21 ter, intendeva omologare le manifestazioni del pensiero espresse con altri “mezzi di diffusione dell’informazione” a quelle a mezzo stampa, anche ai fini della eseguibilità del sequestro. In altre parole: proprio la avvertita necessità di una revisione o integrazione costituzionale sta (ulteriormente) a testimoniare che la nostra Carta fondamentale non tutela alla stessa maniera la manifestazione del pensiero che ha trovato ospitalità sulla “carta stampata” e quella che si diffonde attraverso altri media., che, all’epoca in cui fu redatta la Costituzione erano certamente esistenti (basti citare la radio e il cinema).
1.4. Allo stato, dunque, la diversità ontologica e strutturale del mezzo non consente una automatica estensione della specifica garanzia negativa apprestata dall’art. 21 Cost., comma terzo alle manifestazioni del pensiero, destinate ad essere trasmesse per via telematica.
Resta da chiarire però se la mera riproduzione sul web di articoli già pubblicati sulla carta stampata – tale è il caso in scrutinio – possa essere assimilata, sotto l’aspetto della garanzia della sua sottrazione al sequestro preventivo, alla copia cartacea che di tale garanzia indubitabilmente fruisce (è ovvio che, da un punto di vista tecnico, quello che impropriamente si chiama “il sequestro” di un giornale telematico non possa realizzarsi che attraverso il suo oscuramento).
1.5. In merito, la più autorevole dottrina ha da tempo sostenuto che la “telematica non è stampa” e in questo è stata coerentemente seguita dalla giurisprudenza di legittimità.
Tanto che, ad esempio, per quel che riguarda la posizione del direttore di un giornale telematico, si è chiarito (ASN 201035511-RV 248507 + ASN 201144126-RV 251132) che il direttore di un giornale on-line non può rispondere, ex art. 57 cp di omesso controllo sui contenuti pubblicati, non solo per l’impossibilità di impedire le pubblicazioni di contenuti diffamatori “postati” direttamente dall’utenza (e non4questo il caso che occupa), ma anche e principalmente per l’impossibilità di ricomprendere detta attività on-line nel concetto di stampa periodica.
1.6. La (arbitraria) assimilazione tra stampa e telematica, invero, almeno in tal caso, sarebbe da considerare analogia in malam partem. Ne consegue, innanzitutto, che, in ossequio ai principi di determinatezza, tassatività, frammentarietà, che connotano il diritto penale sostanziale, la formulazione della imputazione ex art 57 cp a carico del P. (con riferimento agli articoli pubblicati sul web) appare impropria, così come impropria appare la menzione dell’aggravante di cui all’art. 13 della legge 47/48.
1.7. Ne deriva però anche (ubi commoda, ibi incommoda) che, come anticipato, un articolo giornalistico pubblicato sul web non gode della stessa tutela riservata, per volontà del Costituente, agli articoli pubblicati “a stampa”.
1.8. Né può ragionevolmente sostenersi, come si fa nel ricorso, che la copia web altro non rappresenti che “l’archiviazione informatica” dell’articolo stampato. La ragione è evidente: la immissione di un documento sul web costituisce il presupposto tecnico per la sua diffondibilità in rete. Visitando il sito, moltissime persone leggono il documento che, dunque, non è, in tal modo, archiviato, ma – anzi – divulgato; d’altra parte, nessuno dubita che internet costituisca uno di quei mezzi di diffusione di cui al terzo comma dell’art. 595 cp e al primo comma dell’art. 21 Cost.
1.9. Dunque, quella che nel ricorso viene indicata come una isolata pronunzia di questa sezione (ASN 201107155-RV 249510) tale non è, in quanto si inserisce armonicamente in un coerente filone giurisprudenziale che ormai ritiene pacificamente legittimo il sequestro preventivo di un articolo pubblicato su un sito internet contenente espressioni ritenute lesive dell’onore e del decoro, qualora la sua adozione sia giustificata da effettive necessità e da adeguate ragioni che si traducono nella sussistenza del fumus commissi delicti e del pericolo di aggravamento delle conseguenze del reato a cagione del mantenimento in rete delle predette espressioni.
1.10. È ovvio, però (e lo si sostiene apertamente nel ricorso), che il giornale telematico, pur non rientrando nel concetto di stampa, è comunque funzionalmente un giornale.
In merito, non ci si può nascondere che certamente si viene a creare una “situazione di tensione” con il principio di eguaglianza, di cui all’art. 3 Cost., ma, a ben vedere, una differenza (sostanziale e non solo formale) tra stampa e informatica esiste ed è data da quella che è stata definita, con espressione suggestiva, la “eternità mediatica”, cui fa cenno anche la sentenza da ultimo citata. A differenza di quanto avviene per una notizia diffusa attraverso la “carta stampata”, la notizia immessa in rete, rimane fruibile a tempo indeterminato (finché non sia rimossa, ammesso che lo sia) e per un numero indeterminato di fruitori. La diffamazione realizzata attraverso i giornali ha certamente impatto minore e durata limitata, atteso che, a meno di ulteriori ri-pubblicazioni, la sua diffusione (e la sua lesività) si esauriscono in breve spazio di tempo.
1.11. La distinzione (e l’esclusione del mondo del web dalle tutele riservate alla stampa) non è dunque né irragionevole, né iniqua, fermo restando che un interevento del legislatore (anche a livello costituzionale, come “tentato” negli anni passati) sarebbe quanto mai auspicabile.
2. La seconda censura è fondata.
2.1. Al proposito, va innanzitutto ribadito che le notizie di cronaca, le manifestazioni di critica, le denunzie civili (con qualsiasi mezzo propalate) restano comunque – e come si è anticipato – espressione di un diritto di libertà, direttamente tutelato nell’ordinamento. Se, dunque, la garanzia dell’art. 21, comma terzo Cost. -per il quale si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione del responsabile – non è estensibile alle manifestazioni del pensiero destinate ad essere trasmesse per via televisiva, radiofonica o telematica, non di meno le attività di informazione, denunzia e critica, comunque esternate e con qualsivoglia mezzo diffuse, trovano tutela (generica) anche esse ex art. 21, comma primo Costituzione.
2.2. Venendo al sequestro preventivo, va osservato che esso certamente dovrà cadere su di una res (il supporto magnetico, informatico, il server ecc.), ma, trattandosi di uno strumento destinato a comunicare fatti di cronaca o a criticare e denunziare aspetti della vita civile d’interesse pubblico, l’atto ablativo non viene a incidere solamente sulla disponibilità del supporto o del mezzo di comunicazione, ma, si diceva, su di un diritto di libertà che ha dignità pari a quello della libertà individuale (riguardando anzi, in astratto, non uno, ma molti soggetti: essenzialmente i destinatari). Occorre, perciò, che la sua imposizione sia giustificata da effettiva necessità e da ragioni adeguate.
2.3. Dunque, pur non vigendo, per quel che riguarda i media diversi dai giornali, alcuna riserva di legge, né essendo prescritto o individuato il numero di copie sequestrabili in via preventiva, non di meno, il giudice dovrà aver consapevolezza di star sequestrando non “cose”, ma, per così dire, informazioni e/o opinioni (ASN 200807319-RV 239103).
Orbene, se tali informazioni sono sfavorevoli a taluno, l’ordinamento ne consente la diffusione, innanzitutto a condizione che dette informazioni corrispondano al vero. La sussistenza dell’esimente del diritto di cronaca presuppone, per sua stessa natura, la diffusione di notizie “negative”, a volte inevitabilmente accompagnate dalla manifestazione di espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui.
2.4. Peraltro, nel verificare la sussistenza dei presupposti per l’emanazione del sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma primo cpp, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma nella valutazione del fumus commissi delicti, deve tenere conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione, emergente dagli elementi forniti dalle parti (ASN 200710979-RV 236193).
2.5. Pertanto: il giudicante richiesto di valutare la fondatezza di un provvedimento cautelare reale, non può, evidentemente, trascurare la valutazione di una causa di esclusione dell’antigiuridicità, quale certamente è l’esercizio di un diritto. Ne consegue che, in tema di diffamazione, il sequestro preventivo di un mezzo di comunicazione (diverso dalla stampa) in tanto potrà essere disposto, in quanto non emerga ictu oculi la probabile sussistenza di una causa di giustificazione e in particolare di quella ex art 51 cp, sub specie del diritto di cronaca e/o di critica.
2.6. Si deve allora rilevare che, sul punto, il provvedimento impugnato appare corredato da una giustificazione motivazionale decisamente incomprensibile, in quanto non ha – apparentemente – senso affermare, da un lato, che i fatti esposti corrispondono al vero e, dall’altro, che non ne è chiara la dinamica. Il resoconto di un avvenimento corrisponde, oppure no, allo svolgimento dei fatti. Affermare che i fatti (riferiti) sono veri, ma che la dinamica (e quindi il loro realizzarsi) non risulta accertata, vuol dire affermare una cosa e il suo contrario. Una motivazione di tal fatta non è contraddittoria, è apparente: è una non-motivazione, integrante violazione di legge.
3. Il provvedimento impugnato va dunque annullato con rinvio per nuovo esame al tribunale di Roma, che dovrà chiarire se i fatti riferiti sui siti web in sequestro siano veri e, ferma la indubbia rilevanza sociale degli stessi, se essi siano stati esposti con la dovuta continenza, vale a dire senza l’utilizzo di espressioni gravemente infamanti e inutilmente umilianti, che dunque trasmodano in una mera aggressione verbale dei soggetto criticato (ASN 201115060-RV 250174).

P.Q.M.

annulla il provvedimento impugnato, con rinvio al tribunale di Roma per nuovo esame.

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