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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 31 marzo 2016, n. 13057

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. SETTEMBRE A. – rel. Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo G. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3771/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 28/05/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/10/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE;

– Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione dei reati;

– Udito, per l’imputato, l’avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza impugnata, in parziale riforma di quella emessa dal locale Tribunale, ha confermato la condanna di (OMISSIS) – responsabile dell’Ufficio di Polizia Provinciale di Bologna, sezione distaccata di Montorio-Monzuno – per accesso abusivo alla posta elettronica del dipendente (OMISSIS) (reato di cui all’articolo 615/ter c.p., comma 2, n. 1), nonche’ per aver preso visione di messaggi contenuti nella casella di posta elettronica di quest’ultimo, riqualificando il suddetto reato ai sensi dell’articolo 616 cod. pen. (in primo grado (OMISSIS) era stato condannato per il reato di cui all’articolo 617 cod. pen.). Per l’effetto, lo ha condannato alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito, il (OMISSIS), approfittando della sua qualita’ di responsabile dell’Ufficio di Polizia Provinciale e dell’assenza temporanea del titolare della casella, si introdusse, in data 21/4/2007, in due orari diversi (alle 16,43 e alle 16,52), nel sistema di posta elettronica – protetto da password – del (OMISSIS), operante con la qualifica di assistente nel medesimo ufficio, e, dopo aver preso visione del contenuto di numerosi documenti, aprendoli, scarico’ due di essi (il file, in formato doc, intitolato “bozza relazione” e il file, anch’esso in formato doc, intitolato “relazione bozza”).

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse dell’imputato, l’avv. (OMISSIS), avvalendosi, con un primo ricorso, di nove motivi, con cui solleva censure in rito e in merito.

2.1. Col primo lamenta un difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, in relazione al secondo reato a lui addebitato. Deduce che, in imputazione, era stato contestato a (OMISSIS) di aver preso visione del documento intestato “(OMISSIS)”, laddove in sentenza e’ stato condannato per aver preso visione di file intestati “bozza relazione” e “relazione bozza”. Sottolinea che lo scostamento ha riguardato non solo il “file”, ma anche la condotta (il file in contestazione – “(OMISSIS)” – era stato solo selezionato, ma non letto) e il tempo del commesso reato (la selezione di detto file era avvenuta tempo prima).

2.2. Col secondo contesta che vi sia stato accesso a un “sistema informatico”, per l’inesistenza di un “sistema” coincidente con la posta elettronica. Deduce che – sulla base delle testimonianze raccolte, riportate anche in sentenza – il “sistema informatico” rilevante ai sensi dell’articolo 615/ter cod. pen. era quello dell’ufficio, a cui era possibile accedere con password non personalizzate, mentre la casella personale di posta rappresentava una “entita’” estranea alla nozione sottesa all’articolo citato.

2.3. Col terzo motivo ripropone – sotto il profilo della violazione di legge – la medesima doglianza, in quanto – deduce – la casella di posta elettronica non rappresenta il “domicilio informatico” tutelato dalla legge, perche’ “non e’ uno spazio di riservatezza autonomo rispetto al vero sistema informatico”, essendo solo un “contenitore”. L’illecito, aggiunge, “scatta nel momento in cui si legge la singola e-mail”.

2.4. Col quarto deduce – in relazione al secondo reato contestato e ritenuto – la riferibilita’ della casella di posta elettronica alla Provincia e non al singolo dipendente; pertanto, persona offesa sarebbe la Provincia, con i conseguenti riflessi sulla titolarita’ del diritto di querela; con riflessi, aggiunge, sulla stessa esistenza del reato, giacche’ (OMISSIS) era un superiore gerarchico di (OMISSIS) e aveva facolta’ di libero accesso alla posta dell’Ente.

2.5. Col quinto lamenta che siano stati utilizzati contro l’imputato – in violazione dell’articolo 360 cod. proc. pen. – accertamenti irripetibili svolti dall’agente (OMISSIS) e dalla Polizia Postale, i quali hanno operato al di fuori di qualsiasi “delega” (si presume, dell’Autorita’ Giudiziaria) e senza alcuna competenza tecnica. Tale motivo e’ stato ulteriormente approfondito con memoria del 12 ottobre 2015, a cui sono state allegate – per l’autosufficienza del ricorso – le dichiarazioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS), che avrebbero confermato l’irripetibilita’ degli accertamenti.

2.6. Col sesto lamenta la violazione dell’articolo 415/bis cod. proc. pen., per i motivi gia’ esposti nelle memorie del 16 luglio 2012 e del 31 dicembre 2012. Tali memorie sono state allegate a “motivi nuovi” depositati il 12 ottobre 2015.

2.7. Col settimo lamenta l’erronea applicazione dell’articolo 61 c.p., n. 9 e articolo 645/ ter c.p., comma 2, n. 1, perche’ non si vede di quale potere (OMISSIS) abbia abusato e non si dice quale dovere abbia violato. Tale motivo e’ stato approfondito con memoria del 9 ottobre 2015, a firma dell’avv. (OMISSIS), ove si fa rilevare che la violazione dei doveri non e’ minimamente trattata dalla Corte d’appello, mentre l’abuso dei poteri presuppone una connessione strumentale – mancante, nella specie – col fatto di reato.

2.8. Con l’ottavo deduce un vizio di motivazione con riguardo all’attribuzione all’imputato delle condotte contestate, posto che l’inimicizia esistente tra i due non prova alcunche’ e posto che (OMISSIS) non aveva alcun interesse a violare la posta del dipendente. Lamenta, inoltre, che la Corte di merito non abbia tenuto conto della facilita’ con cui era possibile violare il sistema dall’esterno.

2.9. Col nono si duole della mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.

4. Con memoria depositata il 12 ottobre 2015 l’avv. (OMISSIS) ha insistito sulla nullita’ – dedotta col sesto motivo di ricorso – derivante dal fatto che la Procura della Repubblica di Bologna non aveva, a seguito della notifica dell’avviso di cui all’articolo 415/bis cod. proc. pen., messo a disposizione della difesa l’intero fascicolo. Inoltre, a integrazione dell’ottavo motivo di ricorso, ha lamentato il silenzio serbato dalla Corte d’appello sulle risultanze dell’esame del consulente tecnico dr. (OMISSIS) e il mancato approfondimento delle tematiche relative al movente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I motivi di ricorso sono tutti manifestamente infondati o altrimenti inammissibili.

1. Non sussiste, innanzitutto, la dedotta violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza. Il principio di correlazione tra contestazione e sentenza e’ funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato; ne consegue che la violazione di tale principio e’ ravvisabile quando il fatto ritenuto nella decisione si trovi, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneita’, ovvero quando il capo d’imputazione non contenga l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, ne’ consenta di ricavarli in via induttiva (ex multis, Cass. N. 10140 del 18/2/2015). Tanto e’ stato correttamente escluso nella sentenza impugnata, avendo la Corte di merito sottolineato che a (OMISSIS) era stato contestato di aver preso visione della posta elettronica di (OMISSIS), per cui nessuna sostanziale immutazione e’ ravvisabile nel fatto che i file visionati siano due anziche’ uno e siano diversi da quello indicato in imputazione. Peraltro, non e’ nemmeno vero che la condanna sia intervenuta in relazione ad un file diverso da quello denominato “vicenda della lupa”, poi che in sentenza si da’ atto che gli accessi abusivi erano stati almeno due: nella prima occasione era stato aperto il file suddetto; nella seconda occasione erano stati aperti numerosi file ed erano stati altresi’ scaricati i file denominati “relazione bozza” e “bozza relazione”.

Inoltre, va ricordato che, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’articolo 521 c.p.p., deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicche’ questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione. Il che e’ concretamente avvenuto, giacche’ l’imputato ha saputo fin dall’inizio del processo di quali “file” si trattasse e perche’ gliene veniva addebitata la visione, sicche’ ha potuto esplicare, ed ha esplicato, sul punto, tutte le opportune difese.

2. La casella di posta elettronica rappresenta, inequivocabilmente, un “sistema informatico” rilevante ai sensi dell’articolo 615/ter cod. pen.. Nell’introdurre tale nozione nell’ordinamento il legislatore ha fatto evidentemente riferimento a concetti gia’ diffusi ed elaborati nel mondo dell’economia, della tecnica e della comunicazione, essendo stato mosso dalla necessita’ di tutelare nuove forme di aggressione alla sfera personale, rese possibili dallo sviluppo della scienza. Pertanto, conformemente alle acquisizioni del mondo scientifico, il “sistema informatico” recepito dal legislatore non puo’ essere che il complesso organico di elementi fisici (hardware) ed astratti (software) che compongono un apparato di elaborazione dati. Anche per la Convenzione di Budapest, richiamata in sentenza e dal ricorrente, sistema informatico e’, infatti, qualsiasi apparecchiatura o gruppo di apparecchiature interconnesse o collegate, una o piu’ delle quali, in base ad un programma, compiono l’elaborazione automatica dei dati. La “casella di posta” non e’ altro che uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o informazioni di altra natura (immagini, video, ecc.), di un soggetto identificato da un account registrato presso un provider del servizio. E l’accesso a questo “spazio di memoria” concreta, chiaramente, un accesso al sistema informatico, giacche’ la casella non e’ altro che una porzione della complessa apparecchiatura – fisica e astratta destinata alla memorizzazione delle informazioni. Allorche’ questa porzione di memoria sia protetta – come nella specie, mediante l’apposizione di una password – in modo tale da rivelare la chiara volonta’ dell’utente di farne uno spazio a se’ riservato ogni accesso abusivo allo stesso concreta l’elemento materiale del reato di cui all’articolo 615/ter cod. pen.. I sistemi informatici rappresentano, infatti, “un’espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantita dall’articolo 14 Cost. e penalmente tutelata nei suoi aspetti piu’ essenziali e tradizionali dagli articoli 614 e 615” (Relazione al disegno di L. n. 2773, tradottosi poi nella L. 23 dicembre 1993, n. 547). Inaccettabile, pertanto, e’ l’equiparazione – fatta dalla difesa del ricorrente – della casella di posta elettronica alla “cassetta delle lettere” collocata nei pressi dell’abitazione, poiche’ detta “cassetta” non e’ affatto destinata a ricevere e custodire informazioni e non rappresenta una “espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato”, ma un contenitore fisico di elementi (cartacei e non) solo indirettamente riferibili alla persona.

Il secondo e il terzo motivo sono, pertanto, palesemente infondati.

3. Allorche’, in un sistema informatico pubblico (che serva, cioe’, una Pubblica Amministrazione), siano attivate caselle di posta elettronica – protette da password personalizzate – a nome di uno specifico dipendente, quelle “caselle” rappresentano il domicilio informatico proprio del dipendente, sicche’ l’accesso abusivo alle stesse, da parte di chiunque (quindi, anche da parte del superiore gerarchico), integra il reato di cui all’articolo 615/ter cod. pen., giacche’ l’apposizione dello sbarramento – avvenuto col consenso del titolare del sistema – dimostra che a quella “casella” e’ collegato uno ius excludendi, di cui anche i superiori devono tenere conto. Dimostra anche che la casella rappresenta uno “spazio” a disposizione – in via esclusiva – della persona, sicche’ la sua invasione costituisce, al contempo, lesione della riservatezza.

4. Nessun accertamento irripetibile – nel senso sotteso all’art.360 cod. proc. pen. – e’ stato compiuto nel corso del procedimento. La sentenza chiarisce ampiamente che il 21/4/2007 l’agente (OMISSIS), richiesto da (OMISSIS) per la sua maggiore esperienza in materia, verifico’ quali erano stati gli ultimi accessi al sistema e scarico’ un elenco dei file aperti nell’ultimo periodo (tra cui erano compresi i file addebitati all’imputato). Trattasi di operazione nient’affatto irripetibile, perche’ avrebbe potuto essere tranquillamente ripetuta nei giorni successivi, se l’imputato l’avesse richiesta agli inquirenti, ritenendola necessaria alla sua difesa. In realta’, i file di cui parlano il vigile (OMISSIS) e l’ing. (OMISSIS) sono i file di registro (i “file log”), che – a quanto risulta dalla documentazione cui ha fatto riferimento il ricorrente – sono stati, anni dopo, persi o cancellati, oppure trasferiti un qualche server di cui i testi non hanno conoscenza. Ma e’ evidente che tutto cio’ non ha nulla a che vedere con gli accertamenti irripetibili di cui parla l’articolo 360 cod. proc. pen. e che devono svolgersi con la procedura prevista da detto articolo, trattandosi di evenienza successiva alla lettura fattane dall’agente (OMISSIS), non prevedibile e nemmeno necessaria per la ricostruzione dell’occorso, essendo il dato legittimamente entrato nel processo attraverso la prova testimoniale.

5. Il sesto motivo e’ inammissibile per genericita’. Il ricorrente si limita – per illustrare il motivo – ad operare un rimando alle memorie del 16 luglio 2012 e del 31 dicembre 2012, ove si parla, genericamente, di un interrogatorio svolto allorche’ “il fascicolo” era “ancora parzialmente in delega alla P.G.”. Emerge all’evidenza che nessuna delibazione e’ possibile sul punto, giacche’ non e’ detto di quale interrogatorio si tratti, quando e’ stato effettuato e da chi, quali fossero gli atti mancanti e quale pregiudizio sia derivato alla difesa. Peraltro, non e’ nemmeno spiegato perche’ il difensore non abbia chiesto un differimento dell’incombente, in modo da poterlo svolgere quando era preparato per affrontarlo. E cio’ senza considerare che non e’ spiegato quale conseguenza dovrebbe trarsi dalla violazione dell’articolo 415/bis cod. proc. pen., posto che l’articolo 416 cod. proc. pen. sanziona, con la nullita’, la richiesta di rinvio a giudizio in caso di omissione dell’avviso di conclusione delle indagini, ma nulla dice per l’ipotesi prospettata dal ricorrente; il che, stante il principio di tassativita’ delle nullita’, comporta che, ove anche la situazione prospettata fosse reale (ma e’ smentita dal giudice d’appello, che ha dato atto di una diversa attestazione della Segreteria del Pubblico Ministero, nemmeno presa in considerazione dal difensore), non se ne dovrebbe comunque tener conto per giudicare della legittimita’ della decisione.

6. (OMISSIS) si introdusse nella casella di posta elettronica di (OMISSIS) abusando dei poteri e in violazione dei doveri inerenti alla sua funzione. L’aggravante di aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio non presuppone necessariamente che il reato sia commesso in relazione al compimento di atti rientranti nella sfera di competenza del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, ne’ l’attualita’ dell’esercizio della funzione o del servizio, ma e’ configurabile anche quando il pubblico ufficiale abbia agito al di fuori dell’ambito delle sue funzioni, essendo sufficiente che la sua qualita’ abbia reso possibile o comunque facilitato la commissione del reato (Cass., n. 50586 del 13/12/2013; sez. 1, n. 24894 del 28/5/2009; sez. 2, n. 20870 del 30/4/2009; sez. 6, n. 4062 del 7/1/1999; sez. 6, n. 9209 del 1/6/1988). Di tanto e’ stato dato conto in sentenza, specificando che (OMISSIS) si servi’, per accedere alla casella di posta elettronica di (OMISSIS), di una password “generale” – che gli consenti’ di entrare in rete – e si avvalse della posizione di sovra ordinazione – in cui si trovava rispetto al dipendente – per allontanarlo dall’ufficio ed effettuare le operazioni che gli premevano. Tali elementi non rappresentano, quindi, “un presupposto del fatto” – come opinato dal ricorrente – ma elementi che hanno reso possibile l’accesso alla posta del dipendente e percio’ rientrano nelle modalita’ dell’azione prese in considerazione dalla norma incriminatrice.

7. In relazione alle doglianze di difetto di motivazione, formulate da (OMISSIS) in ordine alla affermata penale responsabilita’, va osservato che esse sono fondate su motivi non specifici. Con consolidato orientamento, questa Corte ha avuto modo di precisare che “e’ inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni gia’ discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificita’ del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificita’….” (Cass., sez. 4, n. 5191 del 29/3/2000, Rv. 216473. Da ultimo, Cass., n. 28011 del 15/2/2013).

In particolare il giudice di merito ha evidenziato come la prova dell’ingresso abusivo nelle casella di posta elettronica di (OMISSIS) sia data dalle convergenti dichiarazioni della persona offesa e del teste (OMISSIS), i quali accertarono che il 21 aprile 2007, nel mentre si trovavano fuori della sede dell’ufficio, perche’ comandati da (OMISSIS), qualcuno si introdusse nella casella di posta di (OMISSIS) alle 16,22 e alle 16,52 e che pressoche’ contestualmente, alle ore 16,53, (OMISSIS) entro’, servendosi della stessa “macchina”, nella propria casella di posta. Tale ricostruzione degli accadimenti riconduce effettivamente – secondo ogni logica a (OMISSIS) come autore della violazione, giacche’ prova che solo chi conosceva la password di accesso al sistema era in grado di entrare, contemporaneamente, nella posta propria e in quella di (OMISSIS) e solo chi era presente in ufficio nelle ore (e nei minuti) sopra specificati poteva porre in essere le operazioni necessarie. Tanto e’ stato evidenziato in sentenza e tanto basta a ritenere logica la ricostruzione operata dai giudici di merito, anche a prescindere dal movente, che pure era presente in capo a (OMISSIS), essendo stato evidenziato – circostanza confutata solo genericamente dalla difesa – che l’imputato non era stato coinvolto in una indagine interna sui comportamenti di agenti della polizia provinciale: mancanza che, come puo’ facilmente intuirsi e come e’ stato sottolineato in sentenza, era sgradita al superiore gerarchico di (OMISSIS), anche in considerazione dei cattivi rapporti esistenti tra i due.

Ne’ giova al ricorrente appellarsi – sotto il profilo del vizio motivazionale – alla mancata considerazione delle “risultanze dell’esame del dr. (OMISSIS)”, le quali, a giudizio della difesa, “demolivano la ricostruzione dei fatti fatta in primo grado”, posto che non e’ minimamente illustrata la decisivita’ di quelle “risultanze”.

8. Inammissibile, infine, e’ il motivo sulla pena, posto che nemmeno il ricorrente dichiara di aver richiesto la sostituzione della pena detentiva (peraltro sospesa) con quella pecuniaria. Sebbene il giudice possa disporre d’ufficio la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria, non e’ tenuto – ove manchi la richiesta dell’imputato – a motivare le ragioni della mancata sostituzione, in quanto le valutazioni da lui fatte in ordine al trattamento sanzionatorio danno ragione – anche solo implicitamente – dei motivi per cui non ha ritenuto di disporre la prevista sostituzione.

9. Consegue a tanto che il ricorso, manifestamente infondato sotto ogni profilo, va dichiarato inammissibile. Consegue altresi’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto della natura delle doglianze sollevate, si reputa equo quantificare in Euro 1.000; nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 a favore della Cassa delle ammende, nonche’ alla rifusione delle spese di parte civile, che liquida in Euro 1.800, oltre accessori di legge.

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