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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 28 maggio 2015, n. 22933

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BEVERE Antonio – Presidente

Dott. ZAZA Carlo – Consigliere

Dott. MICCOLI Grazia – rel. Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 589/2011 CORTE APPELLO di CALTANISSETTA, del 19/11/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI;

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Dott. Francesco SALZANO, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio in ordine alla concessione delle attenuanti generiche. Ha poi rettificato le conclusioni, chiedendo l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione del reato, ferme restando le statuizioni civili;

Per la parte civile, l’avv. (OMISSIS) ha evidenziato che nel giudizio di appello vi sono stati dei rinvii delle udienze con sospensione del termine di prescrizione; ha quindi chiesto il rigetto del ricorso con la conferma della sentenza impugnata;

Per la ricorrente, l’avv. (OMISSIS) ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19 novembre 2013 la Corte di Appello di Caltanisetta ha confermato la pronunzia di primo grado del Tribunale monocratico di Gela, con la quale (OMISSIS) era stata dichiarata colpevole del reato di diffamazione, per aver offeso la reputazione di (OMISSIS), di anni 17, divulgando immagini pornografiche di due persone, due di sesso maschile e una di sesso femminile, quest’ultima identificata mediante la scritta (OMISSIS), mediante la immissione del file contenente tali immagini sul sito eDonkey, di libero accesso, e cosi’ comunicando con piu’ persone. Con l’aggravante di avere commesso il fatto mediante la rete telematica e quindi con un mezzo di estesa pubblicita’.

2. Propone ricorso l’imputata, con atto sottoscritto dal suo difensore, deducendo i seguenti quattro motivi.

2.1 Violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b e c, per erronea applicazione della legge penale (articolo 595 c.p.) e per vizio di motivazione. Si censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto configurabile nel caso di specie il reato di cui all’articolo 595 c.p., non avendo i giudici di merito analizzato la differenza tra “condivisione” e “divulgazione” di materiale pornografico.

Secondo la ricorrente la Corte territoriale ha implicitamente ritenuto che la sola condotta di essersi procurata i file pornografici mediante l’utilizzazione del programma di condivisione Emule integri il reato di diffamazione, e cio’ per la ragione che tale programma (come altri similari) ha la caratteristica di mettere automaticamente in condivisione i file man mano che singole parti degli stessi vengono scaricati. Sostiene, quindi, che non sarebbe ravvisabile il reato di diffamazione ne’ quello di divulgazione di materiale pedopornografico, per il solo motivo (e sulla base della sola prova) che i file illeciti sono stati procurati attraverso un programma di condivisione tipo eMule.

Contesta, peraltro, la sussistenza dell’elemento soggettivo, non essendovi la prova di una volonta’ diretta a divulgare o diffondere il file.

La Corte avrebbe con motivazione apodittica ritenuto sussistente tale volonta’ dalla circostanza che l’imputata aveva inviato un sms ad un’amica, nonche’ dall’ulteriore circostanza che nel telefono cellulare era stata ritrovata una foto ritraente un articolo di giornale che faceva riferimento ad un video hard di una ragazza di (OMISSIS).

Nella sentenza non si e’ tenuto conto – secondo la ricorrente – del fatto che la Polizia Postale aveva riferito con riferimento a lei, che “questo compartimento non ha potuto accertare se quest’ultimo abbia immesso per primo il materiale diffamatorio oggetto delle indagini”. La Corte di Appello ha invece riportato nella sua motivazione una circostanza diversa ovvero che “era difficile individuare il soggetto che per primo aveva immesso sulla rete internet il file in modo da diffamare la denunciante”.

Deduce infine la ricorrente che la comunicazione in via confidenziale e riservata ad una sola persona, ossia a (OMISSIS), fa si’ che la condotta contestata all’imputata perda il suo carattere criminoso.

2.2. Con il secondo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla valutazione della prova indiziaria. La ricorrente censura ancora una volta la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che sia stata lei a immettere sul web il file, traendo la convinzione da elementi indiziari non valutati correttamente.

2.3. Con il terzo motivo sono stati dedotti violazione di legge e vizio di motivazione per omessa pronunzia sia su quanto dedotto nella memoria difensiva depositata in data 6 giugno 2012, sia su quanto dedotto nelle note tecniche depositate all’udienza del 19 novembre 2013.

2.4. Con il quarto motivo e’ stato dedotto il vizio di motivazione per omessa pronuncia sulla richiesta di riapertura dell’istruttoria e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.

La ricorrente si duole della mancata motivazione sulla richiesta di una perizia informatica da attuarsi con la riapertura dell’istruttoria dibattimentale.

Censura altresi’ la sentenza per omessa motivazione sull’altro motivo di appello con il quale era stato richiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va rigettato.

1. In primo luogo va rilevato che sebbene la data di commissione del reato sia indicata in quella del 10 dicembre 2006, risulta dagli atti che nel giudizio di appello vi siano stati tre rinvii disposti su richiesta dei difensori e in ragione della loro adesione ad astensioni proclamate da organismi del settore.

Ne deriva che il termine prescrizionale ha subito plurime sospensioni, per cui alla data della presente sentenza il reato non e’ ancora estinto ex articolo 157 c.p..

2. Infondati sono i primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente perche’ censurano tutti la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto configurabile il reato di cui all’articolo 595 c.p..

Secondo la ricorrente la Corte territoriale ha implicitamente ritenuto che la sola condotta di essersi procurata i file pornografici mediante l’utilizzazione del programma di condivisione eMule integri il reato di diffamazione, e cio’ per la ragione che tale programma (come altri similari) ha la caratteristica di mettere automaticamente in condivisione i file man mano che singole parti degli stessi vengono scaricati. Sostiene, quindi, che non sarebbe ravvisabile il reato di diffamazione ne’ quello di divulgazione di materiale pedopornografico, per il solo motivo (e sulla base della sola prova) che i file illeciti sono stati procurati attraverso un programma di condivisione tipo eMule.

Contesta, peraltro, la sussistenza dell’elemento soggettivo, perche’ non vi sarebbe la prova di una volonta’ diretta a divulgare o diffondere il file.

2.1. E’ necessario premettere quanto risulta accertato dai giudici di merito, con la precisazione che a questa Corte e’ inibita una diversa lettura dei fatti, cosi’ come implicitamente sembra sostenere la ricorrente.

Ne’ va trascurato nel caso in esame che la sentenza impugnata in punto di responsabilita’ ha confermato quella di primo grado, sicche’ vanno ribaditi i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioe’ a una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento puo’ essere rilevato in sede di legittimita’ solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Rv. 258438).

Nella sentenza di primo grado e in quella impugnata in questa sede, che per la ricostruzione della vicenda ha fatto legittimamente rinvio alla prima, si evidenzia che gli esiti dell’istruttoria dibattimentale hanno consentito di “affermare che l’odierna imputata, che si rivelava un’abile utilizzatrice dei sistemi informatici, utilizzava i software di file – sharing eMule e bearshare che consentono di scaricare e divulgare files di varia natura con tutti gli utenti connessi alla rete P2P, scaricando e contestualmente divulgando a tutti i frequentatori della rete materiale di carattere pornografico, tra cui il video….riguardante (OMISSIS), con la quale in precedenza aveva intrattenuto rapporti di amicizia, mediante l’immissione dei relativi files sul sito eDonkey. Quest’attivita’ di condivisione di cartelle telematiche, di per se’, ci consente di ritenere la (OMISSIS) la divulgatrice per finalita’ diffamatorie del materiale pornografico riguardante la (OMISSIS) – peraltro rivelatosi falso e suggestivo non riprendendo la persona offesa ma solo una ragazza vagamente somigliante – e ci permette di ritenere dimostrata la sua condotta illecita, atteso che l’inserimento del file relativo alle immagini pornografiche intitolate (OMISSIS) permette a tutti i frequentatori dello stesso sito di condivisione telematica di accedere a tali immagini e di eventuali frequentatori della rete telematica che accettassero le condizioni di accesso al sito in questione, propagandole sull’intera rete telematica…” (pag. 6 della sentenza di primo grado).

E che la (OMISSIS) abbia non solo scaricato ma volutamente condiviso il file contenente le immagini falsamente ritraenti la (OMISSIS) e’ provato, secondo i giudici di merito, dagli accertamenti irripetibili svolti dalla Polizia Postale, che aveva rilevato l’ubicazione in cartelle di sistema delle immagini. “In particolare la foto gia’ rilevata nelle pregresse attivita’ investigative ((OMISSIS).jpg) e la foto denominata (OMISSIS) whit (OMISSIS).jpg, la quale risulta stata creata in data (OMISSIS) ma rinominata diverse volte e spostata in varie cartelle del sistema dell’utente” (pagg. 7-8 della sentenza di primo grado).

E un teste della Polizia postale ha spiegato le modalita’ con le quali la (OMISSIS) ha appositamente creato le cartelle di condivisione, confermando che i file di sistema, inequivocabilmente denominati con i riferimenti alla (OMISSIS), erano stati messi a disposizione della rete telematica dall’imputata, con la costituzione delle suddette cartelle che potevano essere condivise da parte di tutti i potenziali frequentatori della rete.

E’ stato, peraltro, accertato che alcune delle immagini, contenute sui file di sistema rinvenuti sul disco rigido del computer della (OMISSIS), erano presenti anche nel telefono cellulare della donna e che una delle immagini trovate nel computer era stata scattata da un cellulare dello stesso tipo di quello in possesso dell’imputata (pag. 9 della sentenza di primo grado). La Polizia postale ha ulteriormente accertato che la (OMISSIS), con numerosi short messages System (sms) inviati a una amica, aveva divulgato notizie riguardanti le immagini riferite alla (OMISSIS) e presenti in rete. Significativo per i giudici di merito e’ il messaggio inviato il 4 gennaio 2007 nel quale la (OMISSIS) aveva scritto: “dobbiamo scrivere la sua storia e la mettiamo su internet tipo melissa p.”; e in un altro sms la (OMISSIS) aveva mostrato l’intento di coinvolgere pure la madre della (OMISSIS) ( (OMISSIS)), scrivendo: “ci vulissi na foto da sig. (OMISSIS)”.

2.2. Tale articolata ricostruzione dei fatti, recepita correttamente dalla Corte territoriale, consente di confutare le doglianze difensive in base alle quali non sarebbero sussistenti gli elementi oggettivo e soggettivo del reato contestato alla (OMISSIS).

Invero, in primo luogo e’ evidente che l’imputata non si e’ limitata a scaricare e a “condividere” le immagini pornografiche in questione, ma ha svolto tutta un’attivita’ finalizzata alla divulgazione delle suddette immagini, attribuendole falsamente alla (OMISSIS). Come si e’ visto, infatti, le immagini risultano create in data 2 settembre 2006, ma sono state rinominate piu’ volte e spostate dalla (OMISSIS) in varie cartelle condivise su eDonkey. La presenza di alcune delle suddette immagini sul cellulare della (OMISSIS) e i messaggi inviati alla amica, poi, sono un ulteriore elemento a sostegno della tesi accusatoria, che ha rappresentato un ruolo attivo e consapevole nella divulgazione con finalita’ diffamatorie delle stesse immagini.

Non e’ rilevabile, quindi, alcun vizio di motivazione della sentenza impugnata, che correttamente ha valorizzato tutti gli elementi di prova sopra indicati anche al fine di ritenere configurato il dolo necessario ad integrare l’elemento psicologico del reato contestato. Il fatto che l’imputata abbia agito allo scopo di condividere, divulgandole e pubblicizzandole, le immagini con altri, proprio per screditare la (OMISSIS) ed addirittura la madre di costei, e’ sufficiente ad integrare tutti gli elementi costitutivi del delitto di cui all’articolo 595 c.p..

Nel caso in esame, come si e’ visto, non si puo’ affermare – come fa la difesa dell’imputata – che la (OMISSIS), utilizzando il programma eMule, si sia limitata a scaricare le immagini e a condividerle proprio in ragione delle caratteristiche del suddetto programma.

E’ noto che eMule sia uno dei piu’ efficienti programmi di condivisione (file sharing) e che esso e’ compatibile con eDonkey, migliorando, peraltro, in maniera determinante alcune caratteristiche: aggiornamento automatico dei server, facilita’ nel trovare file rari ed ottimizzazione del rapporto upload/download.

Ma proprio per questo eMule e eDonkey conservano traccia di quanto si e’ dato agli altri (sotto forma di crediti automatici) e conferisco una priorita’ nello scaricare.

Ecco perche’ la Polizia postale, nel caso in esame, ha accertato non solo che le immagini in questione sono state scaricate dalla (OMISSIS), ma che la stessa le ha rinominate e a sua volta spostate in varie cartelle del sistema dell’utente, ponendo cosi’ in essere una condotta di illegittima divulgazione, giacche’ ha falsamente indicato la (OMISSIS) come la ragazza protagonista del video.

Essendo questi i fatti risultanti dalla sentenza impugnata, non si posso aver dubbi che la (OMISSIS) abbia agito col dolo di diffondere i file scaricati.

Certamente non e’ ravvisabile il reato di diffamazione per il solo motivo (e sulla base della sola prova) che i file siano procurati attraverso un programma di condivisione tipo eMule, essendo necessaria anche la prova di una volonta’ consapevole del soggetto diretta a divulgare o diffondere il file; nel caso di specie, pero’, tale prova e’ stata acquisita, giacche’ la (OMISSIS), dopo aver completamente scaricato le immagini pornografiche in questione, le ha volontariamente inserite in cartelle contenenti i file destinati alla condivisione, perfino rinominando le immagini con specifici riferimenti alla ignara (OMISSIS).

Nella sentenza impugnata e in quella di primo grado e’ stata resa congrua e logica motivazione su questi elementi essenziali per la qualificazione giuridica del fatto come reato di cui all’articolo 595 c.p., e si e’ data compiuta risposta a tutte le deduzioni della difesa dell’imputata.

3. Manifestamente infondate sono le doglianze di cui al quarto motivo, con il quale e’ stato dedotto il vizio di motivazione per omessa pronuncia sulla richiesta di riapertura dell’istruttoria e sulla mancata concessione delle attenuanti generiche.

3.1. La ricorrente si duole della mancata motivazione sulla richiesta di una perizia informatica da attuarsi con la riapertura dell’istruttoria dibattimentale.

Risulta nell’atto di appello che la (OMISSIS) aveva richiesto “la riapertura del dibattimento, al fine di provvedere alla nomina di un perito informatico, che possa meglio chiarire la differenza tra immissione e condivisione, nonche’ individuare (laddove sia possibile, posto che la Polizia postale di Catania non vi e’ riuscita) il soggetto che ha immesso le immagini in contestazione sulla rete”.

E’ evidente la genericita’ della richiesta ed e’ ancor piu’ evidente la sua superfluita’ alla luce di quanto rappresentato dai giudici di merito in ordine alle risultanze processuali, sopra specificamente riportate.

Va, a tal proposito, rammentato che, in tema di giudizio di appello, la rinnovazione del dibattimento, postulando una deroga alla presunzione di completezza dell’indagine istruttoria svolta in primo grado, ha caratteristica di istituto eccezionale, nel senso che ad essa puo’ farsi ricorso quando appaia assolutamente indispensabile, cioe’ nel solo caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. 5, n. 7569 del 21/04/1999, Rv. 213637; Sez. 4, n. 5550 del 13/01/1981, Rv. 149209).

Ne’ puo’ trascurarsi nel caso di specie che le valutazioni dei giudici di merito in ordine alla prova sono state fatte sulla base di rilievi irripetibili della Polizia postale, dovendo a tal proposito evidenziarsi che nel dibattimento del giudizio di appello la rinnovazione di accertamenti peritali puo’ essere disposta soltanto se il giudice ritenga di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (La S.C. ha precisato che, in caso di rigetto della relativa richiesta, la valutazione del giudice di appello, se logicamente e congruamente motivata, e’ incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto) (Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Rv. 257062).

3.2. Inammissibile e’ anche la censura della sentenza per omessa motivazione sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Va a tal proposito evidenziato che analogo motivo sul trattamento sanzionatorio e’ stato dedotto del tutto genericamente in appello, sicche’ legittimamente la Corte territoriale non lo ha vagliato.

Il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, proposti in concorso con altri motivi specifici, non puo’ formare oggetto di ricorso per Cassazione, poiche’ i motivi generici restano viziati da inammissibilita’ originaria anche quando la decisione del giudice dell’impugnazione non pronuncia in concreto tale sanzione. (Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, Rv. 262700; Sez. 2, n. 49007 del 16/09/2014, Rv. 261423).

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’imputata anche al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano nella misura qui di seguito indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al rimborso di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate in euro 2000,00, oltre accessori di legge.

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