cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 22 ottobre 2014, n. 44022

Fatto e diritto

1. Con sentenza pronunciata il 17.7.2012 la corte di appello di Salerno confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Salerno, in data 17.5.2010, procedendo in sede di giudizio abbreviato, aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di I.M. , imputato del delitto di cui agli artt. 110, 81, cpv., 480, c.p., di cui al capo b) dell’imputazione, in quanto, in qualità di professore universitario, aveva iscritto nel libretto universitario della studentessa M.G. l’avvenuto superamento dell’esame di lingua inglese, che, in realtà, la stessa non aveva sostenuto, perché estinto per prescrizione.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei suoi difensori di fiducia, Giovanni Falci e Sergio Perongini, del Foro di Salerno, l’I. , lamentando: 1) i vizi di cui all’art. 606, co. 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 480, c.p., alla l. n. 341 del 1990, al d.m. n. 509 del 1999 ed al r.d. n. 1269 del 1938, per non avere la corte territoriale considerato, da un lato che il libretto universitario non costituisce un certificato amministrativo, bensì un mero prospetto riassuntivo della carriera universitaria dello studente, al quale il r.d. n. 1269 del 1938 non attribuisce nessuna funzione di certificazione, restando esso estraneo al processo di verbalizzazione e di certificazione del superamento degli esami universitari, come confermato dallo stesso regolamento adottato dall’università degli studi di (…), nell’esercizio dei poteri di autonomia ad essa riconosciuti dall’ordinamento universitario, che non riconosce al libretto universitario alcun valore certificativo o di identificazione dello studente; dall’altro la mancanza dell’elemento soggettivo del reato ed il carattere innocuo del falso, in quanto, in realtà, apponendo sul libretto della studentessa M. la dicitura “superato”, con riferimento al superamento della prova di lingua inglese, il professore I. non avrebbe fatto altro che anticipare un risultato dovuto, poiché, come chiarito dal teste C. , la studentessa era in possesso di tutti i requisiti per potere godere dei crediti formativi previsti per il superamento della prova di lingua inglese, avendo frequentato un corso formativo, che la delibera n. 3 del 28.1.2003 della facoltà di economia dell’università degli studi di (…) prevedeva come alternativo al superamento dell’esame, donde la buona fede dell’imputato; 2) il vizio di cui agli artt. 415 bis, 416, 373, 178, c.p.p.; 6, convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in quanto la corte di appello ha fatto riferimento nella sua decisione ad una ripresa audiovisiva dell’incontro tra l’I. e la M. , che sarebbe contenuta in una delle trentadue videocassette indicate nell’informativa della polizia giudiziaria, in realtà mai depositate dal pubblico ministero, con conseguente inosservanza del disposto degli artt. 415 bis, n. 2, e 416, c.p.p., che determina la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e la violazione del principio del giusto processo.
3. Il ricorso non può essere accolto.
4. Con riferimento al primo motivo di impugnazione, evidente appare l’errore in cui sono incorsi i difensori del ricorrente nel desumere la natura non certificativa del libretto universitario dall’essere il suddetto documento, come da essi affermato, “semplicemente un prospetto riassuntivo della carriera scolastica dello studente” (cfr. p. 2 del ricorso).
Come affermato, infatti, dalla Corte di Cassazione in un condivisibile arresto, di cui pure i difensori dell’imputato dimostrano di avere contezza (cfr. p. 1 del ricorso), in tema di falso, al libretto universitario istituito a norma del r.d. 4 giugno 1938 n. 1269 deve riconoscersi natura di atto pubblico fidefaciente limitatamente alle attestazioni ivi contenute relative alla frequenza dello studente alle lezioni, mentre gli va attribuita natura meramente certificativa con riguardo alle attestazioni concernenti l’avvenuto superamento degli esami, atteso il carattere derivativo di queste ultime dai verbali di esame, che costituiscono gli atti pubblici originali, destinati ad essere conservati, a fini di prova, negli uffici di segreteria dell’università. Il libretto, dunque, precisa la Suprema Corte, proprio perché si configura come un prospetto riassuntivo della carriera scolastica dello studente universitario, ha natura certificativa degli esami sostenuti e dei voti riportati, in quanto, riproducendo in sintesi il verbale dell’esame, che costituisce l’atto pubblico originario e preesistente, è un documento “derivato” o “secondario”, che contiene dichiarazioni di scienza, ossia attesta fatti e dati, noti al pubblico ufficiale per la loro provenienza da altri documenti ufficiali (cfr. Cass., sez. V, 23/06/2004, n. 31533). Ciò consente, in tutta evidenza, di configurare sia il reato di cui all’art. 477, c.p., che quello di cui all’art. 480, c.p., quando le diverse attività di falsificazione previste in tali disposizioni normative abbiano ad oggetto (come nel caso in esame in cui si tratta di falso ideologico) un libretto universitario.
Tale funzione certificativa appare, peraltro, confermata dal testo dello stesso art. 21 del regolamento degli studi dell’università di (…), parzialmente riportato nel ricorso dell’I. , secondo cui l’esito dell’esame è trascritto sul libretto universitario a cura della commissione esaminatrice, mentre i verbali cartacei delle prove d’esame sono consegnati all’ufficio amministrativo della facoltà immediatamente dopo la conclusione dell’appello.
4.1. Infondato appare anche l’ulteriore censura sull’elemento soggettivo del reato, in quanto, come chiarito da tempo dall’orientamento assolutamente pacifico del Supremo Collegio, ai fini dell’elemento soggettivo del delitto di falso ideologico è sufficiente il dolo generico, consistente nella rappresentazione e nella volontà dell’”immutatio veri”, mentre non è richiesto l’”animus nocendi” né l’”animus decipiendi”, con la conseguenza che il delitto sussiste non solo quando la falsità sia compiuta senza l’intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno (cfr., Cass., sez. V, 03/11/2010, n. 6182, rv. 249701; Cass., sez. V, 24/01/2005, n. 6820).
4.2. Nemmeno è possibile condividere la prospettazione difensiva in tema di “falso innocuo”.
Come chiarito da un condivisibile arresto del Supremo Collegio, infatti, nei delitti contro la fede pubblica l’innocuità del falso non va ritenuta con riferimento all’uso che si intende fare del documento, ma solo se si esclude l’idoneità dell’atto falso ad ingannare comunque la fede pubblica (cfr. Cass., sez. V, 30/09/1997, n. 11681).
Sussiste, pertanto, il falso innocuo solo quando esso si riveli in concreto inidoneo a ledere l’interesse tutelato dalla genuinità dei documenti e cioè quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico, nel senso che l’infedele attestazione o la compiuta alterazione appaiano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, inidonee al conseguimento delle finalità che con l’atto falso si intendevano raggiungere; in tal caso, infatti, la falsità non esplica effetti sulla funzione documentale che l’atto è chiamato a svolgere, che è quella di attestare i dati in esso indicati, con la conseguenza che l’innocuità non deve essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto (cfr. Cass., sez. V, 07/11/2007, n. 3564).
Alla luce di tali principi appare evidente che la falsità ideologica commessa facendo risultare nel corpo di un libretto universitario come superato da una studentessa un esame mai sostenuto o superato, non integra gli estremi del falso innocuo, stante l’idoneità del documento così falsificato ad ingannare la fede pubblica nel certificare per avvenuta una circostanza di fatto non verificatasi, indipendentemente dall’uso cui l’atto è destinato.
4.3 Manifestamente infondato e, quindi, inammissibile, va dichiarato l’ultimo motivo di ricorso, in quanto la scelta dell’imputato di definire il procedimento a suo carico in sede di giudizio abbreviato, che presuppone una preventiva conoscenza degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, non consente successive contestazioni sulla pretesa incompletezza del materiale probatorio utilizzato ai fini della decisione, incompletezza che, peraltro, la corte territoriale, con particolare riferimento alla posizione dell’I. , nega (cfr. p. 3 dell’impugnata sentenza), senza che sul punto il ricorrente, al di là della generica affermazione sul mancato deposito integrale delle trentadue cassette audio registrate, abbia dimostrato il contrario. Va, inoltre, rilevato che l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento che, in ipotesi, conseguirebbe all’accoglimento del ricorso, sarebbe comunque incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129, comma 1, c.p.p., per cui, anche sotto questo ulteriore profilo il suddetto motivo di ricorso è inammissibile.
5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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