Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 18 giugno 2015, n. 25748



Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 12.11.13 la Corte di Appello di Firenze pronunziava la parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Firenze in data 6.4.10 che aveva condannato B.P.P., quale responsabile del reato di lesioni colpose;- in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica di Firenze,-previa riqualificazione del reato ai sensi degli artt.582-583 comma I n.1 CP., con le già concesse attenuanti generiche, equivalenti alla contestata aggravante, la Corte determinava la pena in mesi 4 di reclusione e revocava le statuizioni civili, confermando le ulteriori disposizioni.
All’imputato era contestato di avere volontariamente inferto una spinta ad H.A., dopo che il predetto si era offerto di pulirgli il vetro dell’auto, cagionando in tal modo l’urto della parte lesa,(che si era avvicinata al veicolo condotto dall’imputato, fermo ad un semaforo),con altro veicolo che sopraggiungeva in senso opposto di marcia; la persona offesa aveva riportato fratture giudicate guaribili in un periodo superiore ai 40 giorni-
-La Corte territoriale aveva escluso la configurabilità dei presupposti per applicare l’esimente di cui all’art.52 CP.(che la difesa aveva prospettato, in quanto secondo le dichiarazioni dell’imputato, il predetto era stato insultato ed aggredito dalla persona offesa, onde era stato costretto a reagire per difendersi, ed in tale frangente la persona offesa era caduta inciampando accidentalmente su di un cordolo ivi esistente, onde era caduta urtando contro un furgone che circolava su opposta corsia).
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo:
1-inosservanza della legge penale, in riferimento agli artt. 521 e 597 CPP. Preliminarmente il ricorrente dava conto della originaria contestazione che riguardava gli artt.581 e 586 CP, osservando che il giudice di appello non si era limitato ad attribuire al fatto diversa qualificazione, ma aveva attribuito alla condotta illecita maggiore gravità, ritenendo sussistente l’ipotesi di lesioni volontarie aggravate, alla quale corrispondeva l’applicazione di pena più grave.
In tal senso rilevava che il giudice di secondo grado, in presenza di un “fatto diverso” da quello contestato avrebbe dovuto trasmettere gli atti al PM per le iniziative di competenza;-censurava altresì la decisione che aveva ritenuto insussistente il vizio dedotto sul punto dall’appellante.
2-contraddittorietà ed illogicità della motivazione .
A riguardo evidenziava che la Corte pur avendo escluso che il Tribunale avesse violato il principio di correlazione, era incorsa nel vizio denunciato dalla difesa, per avere applicato una pena più grave di quella sarebbe stata applicabile in relazione all’originaria imputazione(che riguardava l’art.586 CP) –
3-l’erronea qualificazione giuridica della condotta delittuosa ai sensi dell’art.582 CP. ritenendo peraltro che il giudice avrebbe dovuto dichiarare l’improcedibilità per il fatto contestato, a seguito di remissione di querela, intervenuta nella fase di appello. A sostegno dei gravame la difesa rilevava che la condotta dell’imputato doveva essere qualificata come “colposa” ai sensi dell’art.590 CP. Sul punto rilevava che il giudice aveva ritenuto inattendibile la persona offesa, e che l’unico teste che era persona estranea ai fatti(teste Cavani)aveva riferito-pur senza aver potuto udire le parole pronunciate dalla persona offesa- che il predetto aveva assunto atteggiamento provocatorio verso l’imputato, ed aveva sputato contro il B.,(circostanza confermata da altra deposizione).
Inoltre il ricorrente evidenziava che dalle dichiarazioni testimoniali era emerso che l’alterco era degenerato in un comportamento minaccioso ed aggressivo della persona offesa, richiamando al riguardo le risultanze dibattimentali(l’imputato era sceso dalla macchina per chiarire la questione, e la persona offesa aveva alzato le mani: due si erano spintonati, a vicenda ed il soggetto parte lesa era inciampato sul marciapiede, ed era stato investito dal veicolo proveniente in senso opposto).
-In base a tali elementi la difesa riteneva che la condotta ascritta all’imputato fosse tale da non rivelare gli estremi del dolo, sia pure eventuale, facendo riferimento alle lesioni quali “conseguenza non voluta” dall’imputato-negando che nella specie fosse evidente un nesso di causalità diretto tra la condotta e l’evento.
Da ultimo veniva censurata la documentazione comprovante la gravità delle lesioni, evidenziando che la Corte territoriale aveva ritenuto priva di significato la circostanza che i certificati medici recassero l’indicazione di diversi nominativi della persona offesa(alla quale era stato attribuito anche di aver fornito false generalità ai pubblici ufficiali).
A riguardo la difesa riteneva dunque inidonea tale documentazione ad attestare la gravità dei fatto ritenuto in sentenza.
4-deduceva infine l’estinzione dei reato per decorrenza dei termine di prescrizione, trattandosi di fatto risalente alla data del 5/6/2006.

Rileva in diritto

Il ricorso risulta privo di fondamento.
In primo luogo si osserva che dal provvedimento impugnato si evince la corretta analisi delle risultanze dibattimentali, dalle quali viene desunta la sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie di lesioni volontarie ritenuta dal giudice di appello, restando tale qualificazione della condotta enunciata in epigrafe, rispondente alla res in judicium deducta, ovvero riferibile alla condotta originariamente contestata.
Non ricorrono dunque i presupposti della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza richiamato dal ricorrente ai sensi dell’art.521 CPP., atteso che tale violazione si configura 2-3-Va escluso il fondamento del motivo che deduce la natura colposa delle lesioni, che la difesa prospetta sostenendo che nella specie si sarebbe verificato l’evento lesivo quale conseguenza non voluta dall’imputato.
Orbene, si osserva in proposito che la difesa prospetta l’accidentalità della lesione patita dal soggetto passivo, che sarebbe inciampato in un marciapiede, e pertanto era stato investito da altro veicolo. La versione difensiva non era suffragata da valide risultanze dibattimentali, dal momento che il giudice di merito ha specificato la fonte testimoniale attendibile dalla quale si desumeva con certezza che l’imputato aveva inferto una spinta decisiva alla persona offesa ,che era andata ad urtare contro il veicolo che proveniva da altra corsia di marcia.
Sul punto il ricorrente formula censure dal contenuto non idoneo a smentire la certezza del dato probatorio, e pertanto al limite della ammissibilità.
Tali elementi consentono dunque di ritenere correttamente escluso dal giudice di merito il verificarsi di un evento che esula dalla volontà dell’agente, inteso come evento non prevedibile dall’agente o l’intervento dei caso fortuito, dato che come stabilito da questa Corte(Sez. IV 19.3.2010-n.10823-l’accadimento fortuito per produrre il suo effetto di escludere la punibilità dell’agente-sul comportamento dei quale viene ad incidere-deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta del soggetto agente sia dalla sua colpa).
-Si ritengono ugualmente esenti da vizi di legittimità le considerazioni svolte dalla Corte territoriale (a fl.6-7-8-) ove esclude la configurabilità dei presupposti della esimente prevista dall’art.52 CP., atteso che la condotta illecita si è estrinsecata nell’avere inferto una spinta al soggetto passivo del reato, e da quanto illustrato dal giudice di merito e rilevato dalla stessa difesa nei motivi di ricorso- l’imputato, posto al cospetto del comportamento della persona offesa palesatosi come provocatorio e minaccioso, aveva deliberatamente affrontato il predetto soggetto, scendendo dall’autovettura in cui si trovava, pur senza essere costretto da assoluta necessità ed essendo consapevole della eventuale degenerazione dei contrasto in corso.
-In conclusione si deve ritenere correttamente inquadrata la condotta ascritta al ricorrente secondo l’ipotesi enunciata dall’art.582-CP .,conforme al dettato giurisprudenziale di questa Corte(avendo richiamato a fl.12 Sez.I,n.796 del 24.5.1967,che stabiliva come -ad integrare ‘l’elemento psicologico dei delitto di lesioni personali non è necessario che la volontà dell’agente sia diretta alla produzione di determinate conseguenze lesive, ma è sufficiente la volontà consapevole di far subire all’altrui persona fisica una violenza).
Nella specie vale evidenziare che in ogni caso il comportamento assunto dall’imputato, è idoneo a rivelare alla stregua di quanto illustrato dal giudice di merito con logiche argomentazioni, l’esistenza dei dolo eventuale, che secondo i principi enunciati da questa Corte è sufficiente a ritenere sussistente il reato di lesioni volontarie(v .Cass. Sez. V del 29-9-2010,n.35075-RV248394-ove si stabilisce che integra l’elemento psicologico dei delitto di lesioni volontarie anche il dolo eventuale, ossia la mera accettazione del rischio che la manomissione fisica della persona altrui possa determinare effetti lesivi.
Devono ritenersi peraltro ininfluenti le deduzioni difensive relative alla inadeguatezza dei certificati medici a costituire prova della gravità delle lesioni.
Sul punto la Corte territoriale ha reso ampia e dettagliata motivazione, con la quale ha illustrato le plurime fonti di prova documentale,(v.f1.10 della sentenza), rilevando che la persona offesa a seguito dell’episodio era stata ricoverata in ambiente ospedaliero, ove era stata riscontrata l’esistenza delle lesioni alla colonna vertebrale, ed era stato eseguito un intervento chirurgico.
Si era rilevato altresì che le discrasie nelle indicazioni del nominativo della persona offesa costituivano un refuso, non influente alla stregua dei numerosi certificati in atti.
Al cospetto di congrua e logica motivazione del provvedimento impugnato, devono ritenersi meramente ripetitivi e come tali privi di rilevanza i generici riferimenti fatti dal ricorrente alla difforme indicazione del nominativo dei soggetto parte lesa nella documentazione sanitaria.
Infine deve escludersi il verificarsi dell’estinzione del reato per decorrenza del termine di prescrizione, avente scadenza alla data del 6 marzo 2015.
Va dunque pronunziato il rigetto del ricorso, a cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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