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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza  16 giugno 2014, n. 25772

Ritenuto di fatto

1. Con sentenza emessa in data 14 gennaio 2011, all’esito di giudizio abbreviato, il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta ha dichiarato non luogo a procedere, per concessione del perdono giudiziale, nei confronti di D.R. in ordine al reato di minaccia effettuata con una telefonata in orario notturno, presso la abitazione di F.G.. Il Tribunale non ha ravvisato i presupposti per la declaratoria di irrilevanza del fatto, ritenendolo non del tutto occasionale ed episodico.
2. Avverso tale sentenza ha proposto dichiarazione di appello la difesa dell’imputato rilevando che le modalità del fatto avrebbero consentito una sentenza di non luogo a procedere, perché il fatto non costituisce reato. In via subordinata, ha chiesto la pronunzia di irrilevanza del fatto ai sensi dell’articolo 27 del d.p.r. numero 448 del 1988 trattandosi di un fatto del tutto isolato. Da ultimo, ha censurato la contraddittorietà della motivazione che afferma contestualmente l’episodicità e la recidivanza della condotta.
3. Con atto di appello incidentale la Procura Generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta ha contestato i motivi di impugnazione rilevando che il fatto non riveste i caratteri della goliardata giovanile, trattandosi di reato di pericolo, che richiede solo la idoneità della condotta ad intimidire la persona offesa, rendendo irrilevanti i motivi che hanno indotto l’autore del reato ad effettuare la telefonata.
4. Con ordinanza del 20 maggio 2011 la Corte d’Appello di Caltanissetta ha rilevato che la sentenza di non luogo a procedere emessa in sede di udienza preliminare per perdono giudiziale è soggetta al ricorso per cassazione e non all’appello, con la conseguenza che, preso della rinuncia del Procuratore Generale all’appello incidentale, qualificata l’impugnazione principale come ricorso per cassazione, ha disposto la trasmissione degli atti davanti alla Suprema Corte .

Considerato in diritto

La sentenza impugnata non merita censura.
1. Con il primo motivo di impugnazione la difesa ha rilevato che le modalità del fatto avrebbero consentito una sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non costituisce reato. Si sarebbe trattato di una goliardata di cattivo gusto, mossa dallo spirito di emulazione di noti film horror, non potendosi diversamente qualificare la minaccia riferita alla presunta esistenza di una setta satanica in Caltanissetta, con la minaccia “morirai entro sette giorni”.
2. La tesi non appare condivisibile poiché, trattandosi di reato di pericolo, non è richiesta la concreta intimidazione della parte offesa, ma la comprovata idoneità della condotta ad intimidire una persona normale (Cass. N. 47739 del 23 dicembre 2008). Nel caso di specie non essendo richiesta la intimidazione effettiva della persona offesa, deve prendersi atto che il male minacciato, in relazione alle circostanze del fatto, era tale da potere potenzialmente incidere nella sfera di libertà psichica della vittima.
3. In via subordinata, ha chiesto la pronunzia di irrilevanza del fatto ai sensi dell’articolo 27 del d.p.r. numero 448 del 1988 che richiede i tre requisiti, della lievità del fatto, dell’occasionalità del comportamento e del pregiudizio per il minore, derivante dall’ulteriore corso del procedimento. Nel caso di specie si tratterebbe di un fatto del tutto isolato che, per sfortunate coincidenze, ha avuto un esito diverso da quello di un semplice scherzo telefonico. La censura è infondata poiché la motivazione adottata dal Tribunale sul punto è assolutamente adeguata, avendo preso in esame i presupposti previsti per l’irrilevanza del fatto, valutando la portata offensiva della condotta, la sua rilevanza sociale e le esigenze educative del minore precisando, altresì, che i fatti successivi alla commissione del reato consentono di parlare di condotta sostanzialmente recidivante, in contrasto, quindi, con il presupposto della episodicità del comportamento.
4. Riguardo a tale passaggio motivazionale il ricorrente ha ritenuto contraddittoria la motivazione nella parte in cui il Tribunale fa riferimento, in apparente assenza di precedenti, ad una condotta recidivante, successiva alla commissione del fatto. La doglianza è infondata poiché, nonostante la non lineare formulazione dell’espressione oggetto di censura, il significato del periodo in questione si spiega attraverso il contenuto di quello successivo nel quale il Tribunale dispone il perdono giudiziale “nonostante le attuali ulteriori pendenze processuali, apparendo verosimile che il minore si asterrà in futuro dalla commissione di altri reati”. Il ricorrente, a riguardo, nulla osserva, sebbene il Tribunale faccia specifico riferimento all’esistenza di ulteriori pendenze e quindi alla esistenza di carichi pendenti. Conseguentemente, sulla base della non contestata esistenza di ulteriori pendenze processuali, la motivazione del provvedimento appare, anche sotto tale profilo, assolutamente corretta e adeguata. Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso. Nulla per le spese attesa la minore età all’epoca dei fatti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi ai sensi dell’art. 52 dlgs 196/2003.
Così deciso in Roma il 23/04/2014

 

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