Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 15 ottobre 2012 n 40393

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 21 dicembre 2010 il Tribunale di Torino ha assolto, per insussistenza del fatto, G.G. , Gr.St.Fr. e M.V. dall’imputazione di manipolazione del

mercato ex art. 135 della legge 24 febbraio 1998, n. 58; con la stessa sentenza ha dichiarato insussistente l’illecito amministrativo di cui agli artt. 5 e 25-sexies d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231, contestato alle società IFIL Investments s.p.a. e Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a. in relazione all’operato, per la prima, di G.G. e Gr.St.Fr. e, per la seconda, di G.G. e M.V.

1.1. La vicenda posta a fondamento dell’imputazione aveva avuto i seguenti sviluppi: nei primi mesi dell’anno 2005, in vista della scadenza di un finanziamento bancario contratto dalla Fiat s.p.a., con clausola di convertibilità in azioni della stessa società, era insorto per la controllante IFIL Investments il problema di mantenere la posizione di controllo, che solo la titolarità di un pacchetto azionario superiore al 30% del capitale sociale avrebbe potuto assicurarle, mentre la più ridotta partecipazione del 22%, derivante dalla diluizione che sarebbe conseguita all’aumento di capitale reso necessario dalla conversione del prestito, avrebbe esposto la società alla scalata di terzi.

Il rimedio ideato era consistito nella stipulazione con la banca Merrill Lynch International (MLI) di un contratto derivato, denominato equity swap, in forza del quale la banca avrebbe acquistato sul mercato 90 milioni di azioni Fiat, cioè il numero necessario a coprire il divario rispetto alla quota complessiva del 30,6% del capitale sociale, con successiva regolazione in contanti, verso la MLI o a carico di essa, della differenza di valore raggiunto dalle azioni rispetto alla quotazione prefissata di 6 Euro ciascuna. Così concepito, secondo la tipica struttura delle operazioni su derivati, il contratto non avrebbe assicurato alla IFIL la titolarità delle azioni acquistate dalla MLI: ma una clausola appositamente aggiunta introduceva la possibilità di rinegoziare il rapporto, lasciando aperta la possibilità della consegna fisica delle azioni dietro corrispettivo.

L’intervento della MLI sul mercato azionario, in esecuzione dell’accordo, aveva provocato un rapido innalzamento della quotazione del titolo Fiat, destando l’attenzione della Consob; questa aveva pertanto richiesto alla IFIL Investments s.p.a., e alla capo-gruppo Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a., di diffondere informazioni in merito ad eventuali iniziative intraprese e/o allo studio, in relazione alla imminente scadenza del prestito convertendo.

A seguito di ciò la IFIL aveva diffuso in data 24 agosto 2005 un comunicato del seguente tenore: “Su richiesta della Consob – ai sensi dell’art. 114 comma 5 del d. lgs 58/1998 – con riferimento all’andamento delle quotazioni e ai rilevanti volumi scambiati delle azioni emesse da Fiat s.p.a. nelle ultime sedute di mercato, nonché alle ipotesi di stampa diffuse in data 23 agosto 2005 riguardanti un rafforzamento della quota di IFIL in vista del prestito convertendo da tre miliardi di Euro, IFIL precisa di non aver intrapreso né studiato alcuna iniziativa in relazione alla scadenza del prestito convertendo e ribadisce di non disporre di alcun elemento utile a spiegare tale andamento, né di informazioni relative a nuovi fatti rilevanti che possano aver influito sull’andamento stesso. Peraltro IFIL ribadendo quanto già espresso in sede di assemblea degli azionisti del 27 giugno 2005 conferma l’intenzione di rimanere azionista di riferimento di Fiat. Al riguardo IFIL valuterà eventuali iniziative al momento opportuno”.

Nella stessa data la società Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a. aveva emesso a sua volta un comunicato confermativo di quello or ora visto.

Sul presupposto – da ritenersi ormai incontestato in questa sede – che il testo del comunicato non rispondesse a verità, e nel convincimento – invece oggetto del dibattito giuridico attuale – che le false informazioni così diffuse fossero idonee ad alterare i corsi del titolo Fiat, lasciando intendere come contendibile il controllo della società, che invece tale non era in quanto escluso dall’iniziativa assunta con l’equity swap innanzi descritto, il Procuratore della Repubblica di Torino ha esercitato l’azione penale nei confronti di G.G., quale presidente e amministratore delegato della IFIL Investments s.p.a. e presidente della Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a.; di Gr.St.Fr., quale amministratore della IFIL Investments s.p.a. e consulente legale di tutte le società del gruppo; di M.V., quale amministratore della Exor Group s.a., formale contraente dell’equity swap, e procuratore della Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a.; al contempo ha contestato i corrispondenti illeciti amministrativi alle società responsabili della condotta degli imputati.

2. La pronuncia assolutoria emessa dal Tribunale di Torino si è fondata su una serie di passaggi argomentativi che di seguito si sintetizzano.

2.1. Il delitto contestato agli imputati è inquadrabile nella categoria dei reati di pericolo concreto: i quali, secondo la tradizionale ripartizione, si distinguono da quelli di pericolo astratto per essere questi ultimi caratterizzati dalla presunzione legale secondo cui la messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma si realizza per il solo compimento della condotta: mentre ad integrare il reato di pericolo concreto si richiede l’accertamento della causazione effettiva dello stato di pericolo.

Senonché – così si osserva nella sentenza – la più recente giurisprudenza, riconoscendo la necessità che anche in tema di pericolo astratto sussista l’offensività specifica della singola condotta in concreto accertata, ha introdotto il principio per cui non è sufficiente la sola presunzione prevista dal legislatore, ma è necessario che sia accertata in concreto la pericolosità della condotta.

2.2. Correlativamente a tale mutamento di prospettiva, e considerata la necessità di mantenere la distinzione fra il delitto qui contestato e l’illecito amministrativo di cui all’art. 187-ter della legge n. 58 del 1998, che può concorrere con esso, secondo il Tribunale nel reato di cui all’art. 185 della stessa legge la situazione di pericolo concreto assume il carattere di evento naturalistico, quale elemento costitutivo del reato.

2.3. Ciò si riflette sulle modalità di accertamento, in quanto la verifica circa la realizzazione effettiva del pericolo deve essere svolta con valutazione ex post: il che, in relazione alla tipologia del reato contestato, si traduce nella analisi della reazione del mercato alla diffusione del falso comunicato.

2.4. Ancora, la diagnosi circa l’alterazione del prezzo dei titoli deve prescindere da qualsiasi verifica controfattuale in quanto, appartenendo alla struttura del reato una condotta commissiva e non omissiva, non si può addebitare agli imputati di aver omesso di comunicare la notizia vera, la cui ricostruzione, si osserva nella sentenza, richiederebbe un intricatissimo percorso e avrebbe carattere solo virtuale e del tutto soggettivo; a tutto concedere si potrebbero confrontare gli effetti prodotti dalla falsa notizia con la situazione che si sarebbe avuta sul mercato in assenza di essa.

2.5. Essendo emerso dall’accertamento peritale, espletato in funzione dei principi suesposti, che il mercato aveva dapprima atteso ulteriori notizie chiarificatrici, e aveva poi finito per ignorare il comunicato, sicché il corso del titolo Fiat aveva ripreso lo stesso andamento ascendente che già gli era proprio anteriormente a quella data, il Tribunale ne ha tratto la conseguenza che non si fosse realizzato il pericolo concreto di una sensibile alterazione del prezzo, concludendo quindi per l’insussistenza del reato.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso immediato per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, affidandolo a tre motivi.

3.1. Col primo motivo il P.M. ricorrente impugna il primo passaggio argomentativo (dianzi sintetizzato al paragrafo 2.1.), osservando che la giurisprudenza formatasi in tema di reato di pericolo astratto consente, bensì, di vincere la presunzione di pericolosità della condotta attraverso la prova della inoffensività nel caso specifico, ma ciò non consente di sostenere che sia onere dell’accusa la dimostrazione della pericolosità in concreto. Deduce al contempo – e consequenzialmente – l’erroneità dell’affermazione (di cui al paragrafo 2.2.) secondo cui nei reati di pericolo concreto, quale quello di cui ci si occupa, il realizzarsi dello stato di pericolo costituirebbe un evento naturalistico, da accertarsi con valutazione ex post; restando l’idoneità a crearne i presupposti un connotato proprio della condotta, da verificarsi avendo riguardo al momento in cui questa si compie, attraverso un giudizio di prognosi postuma.

3.2. Col secondo motivo contrasta l’affermazione del Tribunale secondo cui la diagnosi della pericolosità dovrebbe effettuarsi prescindendo dalla verifica controfattuale (paragrafo 2.4.); osserva, in proposito, che l’accertamento della idoneità della condotta ad alterare il prezzo dei titoli richiede necessariamente il confronto con un ipotetico andamento alternativo del prezzo dello strumento finanziario, ciò essendo postulato dal concetto stesso di “alterazione”; in tale ottica sostiene che il raffronto va fatto non già con la situazione che si sarebbe creata in assenza del falso comunicato, ma con quella che sarebbe conseguita alla diffusione della notizia vera, atteso che l’informazione del mercato era resa obbligatoria dalla richiesta rivolta dalla Consob ai sensi dell’art. 114, comma 5, della legge n. 58 del 1998, sotto la comminatoria di cui all’art. 193 della stessa legge.

3.3. Col terzo motivo impugna l’affermazione secondo cui non vi sarebbe alterazione del prezzo del prodotto finanziario quando sia riscontrabile una stabilizzazione del suo andamento: ben potendo, ai contrario, riscontrarsi siffatta alterazione in virtù della differenza fra il prezzo potenzialmente stabile conseguente all’intervento manipolativo e quello che si sarebbe formato in assenza di esso.

4. Sostanzialmente coincidenti con le suesposte censure sono quelle dedotte dalla parte civile Consob nei primi due motivi del ricorso da essa proposto ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen.; nel terzo motivo la ricorrente si inoltra nella disamina del significato dell’aggettivo “sensibile”, che deve connotare l’alterazione del prezzo secondo il dettato della norma incriminatrice, pervenendo alla conclusione che il termine debba considerarsi sinonimo di “percettibile”, non evocando in sé il concetto dell’eccezionalità, né dell’anomalia.

5. Anche il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino ha proposto ricorso per saltum, muovendo analoghe critiche avverso l’adozione del criterio di accertamento ex post, che informa la decisione impugnata. Sostiene, in aggiunta, la tesi secondo cui la forma di aggiotaggio consistente nella diffusione di notizie false si realizzerebbe anche senza la necessità di una concreta idoneità della condotta.

6. Si sono gravate, infine, con separati ricorsi anche le parti civili B.M. e Z.P., motivando in termini di totale adesione al ricorso del Pubblico Ministero.

7. Vi è agli atti una memoria depositata dal difensore nell’interesse dell’imputato G.G., con la quale sono argomentatamente contrastate le ragioni esposte nei ricorsi, di cui viene chiesto il rigetto.

7.1. Analogamente la difesa dell’imputato Gr.St.Fr. ha depositato memoria recante argomenti a sostegno della determinazione del Tribunale.

Considerato in diritto

1. In via del tutto prioritaria va rilevata l’inammissibilità dei ricorsi proposti dalle parti civili B. e Z.

1.1. Questa Corte Suprema ha già avuto modo di affermare, in suoi precedenti arresti, la necessità che l’atto di impugnazione contenga un’esplicita ed autonoma esposizione delle ragioni di critica mosse alla sentenza fatta segno a gravame: di talché è stato dichiarato inammissibile non soltanto l’appello del pubblico ministero che si limiti a rinviare per relationem alle censure mosse nell’impugnazione presentata dalla parte civile (Sez. 6, n. 43207 del 12/11/2010, T., Rv. 248823), ma anche l’impugnazione proposta dall’imputato, che si limiti a richiamare semplicemente i motivi dedotti in appello o presentati dal coimputato o dal responsabile civile o, fuori termine, dal suo difensore, nonché quella proposta dalla Procura Generale, che si limiti al nudo rinvio alla motivazione formulata dalla Procura della Repubblica o dalla parte civile (Sez. 5, n. 3608/97 del 12/12/1996, Tizzani, Rv. 207389; Sez. 5, n. 116 del 19/01/1995, Pescante, Rv. 200661).

L’identità della ratio decidendi, che impone di considerare carente del requisito di specificità qualsiasi atto di impugnazione che si traduca in una mera adesione alle ragioni di critica esposte da un’altra parte processuale, senza contenere “l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli argomenti di fatto che sorreggono ogni richiesta”, secondo il lessico dell’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., fa sì che i principi suesposti debbano trovare applicazione anche nell’ipotesi (a parti invertite rispetto ad alcuni dei casi precedentemente giudicati) in cui sia la parte civile a motivare il proprio gravame rinviando per relationem ai motivi d’impugnazione proposti dal pubblico ministero, in assenza di un proprio autonomo apporto argomentativo.

1.2. Ciò è per l’appunto quanto si riscontra nel caso di specie, in cui le parti civili B. e Z. non hanno esplicitato, nei rispettivi ricorsi, alcuno specifico motivo di doglianza, essendosi limitati a una generica adesione ai motivi di ricorso del Procuratore della Repubblica, richiamati per relationem.

S’impone, pertanto, per entrambi la declaratoria di inammissibilità, con le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen.

2. Sono invece ammissibili e, per quanto si vedrà appresso, fondati i ricorsi proposti dal P.M., dal Procuratore Generale distrettuale e dalla parte civile Consob nei confronti degli imputati G. e Gr.St., nonché delle persone giuridiche soggette a responsabilità amministrativa per il loro operato. Infatti la statuizione assolutoria adottata dal Tribunale nei confronti di costoro è il risultato di un percorso motivazionale i cui principali capisaldi sono carenti di pregio giuridico.

2.1. Ciò è a dirsi, innanzi tutto, della tesi esposta in apertura con la quale, in vista della definizione di una nuova linea di demarcazione fra i reati di pericolo astratto e quelli di pericolo concreto, nella sentenza è prospettata la necessità, ad integrare i primi, che sia dimostrata l’effettiva messa in pericolo dell’interesse tutelato; a tanto il collegio di prima istanza si è indotto in considerazione di un arresto giurisprudenziale che, nell’affermare l’immanenza all’intero sistema penale del c.d. principio di offensività, ha escluso la configurabilità del reato di cui agli artt. 11, 18 e 59 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, in una fattispecie in cui la condotta degli imputati era risultata inidonea ad incidere sull’integrità del bene di interesse storico-artistico (Sez. 3, n. 2733/00 del 26/11/1999, Gajo, Rv. 215868).

La conclusione così raggiunta dal collegio torinese non è giuridicamente corretta, atteso che tende a rimuovere, escludendola dalla struttura del reato, la presunzione di pericolo che, invece, anche il precedente giurisprudenziale evocato ha tenuto per ferma. Di contro si può ben affermare, in linea con la motivazione di quel deliberato e tenuta presente l’esigenza – ivi sottolineata – di un’interpretazione adeguatrice al dettato costituzionale, che la cennata presunzione non può ritenersi operante iuris et de iure, ma è suscettibile di prova contraria da ritenersi raggiunta ogniqualvolta l’azione compiuta si riveli inidonea ex se ad offendere il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, secondo il generale principio codificato nell’art. 49, comma secondo, cod. pen.

Non ne risulta, pertanto, alterata la struttura del reato di pericolo astratto, onde si rende superflua la ricerca di nuovi elementi di differenziazione dal reato di pericolo concreto, nel quale l’attributo di idoneità appartiene invece, quale modo di essere della condotta, al modello descrittivo dell’illecito sanzionato.

2.2. Consequenziale è l’erroneità del successivo passaggio motivazionale, nel quale il giudice di merito, postosi alla ricerca di altri elementi caratterizzanti il proprium del reato di pericolo concreto, stante la ritenuta insufficienza del requisito di idoneità della condotta (reputato comune ai reati di pericolo astratto, come dianzi si è visto), si è indotto a configurare la realizzazione effettiva dello stato di pericolo quale evento naturalistico, in funzione di ulteriore elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 185 della legge 24 febbraio 1998, n. 58: ciò al fine di tracciare una linea di demarcazione rispetto alla violazione amministrativa di cui all’art. 187-ter della stessa legge, ad integrare la quale basta la diffusione della falsa notizia.

Siffatta ricostruzione ermeneutica non ha ragion d’essere, atteso che il reato per cui si procede differisce già per la sola condotta dall’illecito amministrativo da ultimo menzionato; per il suo realizzarsi, infatti, non basta la diffusione di “informazioni, voci o notizie false o fuorvianti che forniscano o siano suscettibili di fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli strumenti finanziari” (il che è testualmente richiesto per l’applicabilità del citato art. 187-ter), ma è necessario altresì che la diffusione delle notizie false sia concretamente idonea a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari (v. Sez. 6, n. 15199 del 16/03/2006, Labella, Rv. 234508, citata anche nella sentenza impugnata); e proprio in tale idoneità consiste la messa in pericolo dell’interesse tutelato. Sussistono, dunque, nel tipo descrittivo della fattispecie delittuosa i tratti necessari a caratterizzare in modo autonomo il fatto-reato, senza che si renda necessaria l’introduzione per mano dell’interprete di un ulteriore elemento costitutivo quale l’evento naturalistico, che il testo della norma in nessun modo giustifica.

2.3. Il successivo passaggio argomentativo che struttura la motivazione della sentenza impugnata è, a sua volta, giuridicamente errato.

Secondo il Tribunale l’accertamento della consumazione del reato – che nell’ottica di quel deliberato consegue soltanto al verificarsi di un rischio effettivo di alterazione delle quotazioni – dovrebbe essere condotto con criterio ex post, in base alle reazioni concrete del mercato.

Premesso che, come poc’anzi si è avuto modo di evidenziare, il delitto di cui all’art. 185 l. 58/1998 è reato di mera condotta, che si consuma nel momento in cui ha luogo la diffusione della notizia, l’accertamento di esso richiede che la verifica del requisito di “idoneità” della falsa notizia a produrre gli effetti distorsivi sul mercato finanziario sia attuata, bensì, in termini di concretezza come impone la norma (il che comporta un’analisi della situazione complessiva del mercato), ma abbia comunque il suo riferimento cronologico al momento terminale del comportamento commissivo sub iudice: con la conseguenza per cui l’unico criterio utilmente applicabile è quello della prognosi postuma. In tal senso, del resto, si è già espressa la giurisprudenza di questa stessa sezione con la sentenza n. 28932 del 04/05/2011 (Tanzi, non massimata).

2.4. Essendosi discostata da tale criterio, la motivazione della sentenza impugnata già per ciò solo è deviante, rispetto al corretto percorso di valutazione giuridica del fatto. Per di più, anche nell’inoltrarsi sul terreno della constatazione ex post, il Tribunale è incorso in alcune affermazioni che non meritano consenso, là dove ha, innanzi tutto, escluso la possibilità di un raffronto tra gli effetti del comunicato diffuso e quelli che sarebbero potuti derivare dalla comunicazione del vero, sul presupposto per cui, trattandosi di giudicare un comportamento commissivo e non omissivo, non vi sarebbe spazio per una verifica controfattuale; in secondo luogo, là dove ha escluso la sussistenza di un obbligo per gli imputati di fornire notizie vere; e infine là dove ha negato l’utilità di una ricerca del contenuto che avrebbe dovuto connotare la notizia vera, la quale – a suo dire – potrebbe essere ricostruita in modo solo virtuale e, di conseguenza, del tutto soggettivo.

La contrarietà di tali spunti argomentativi ai principi giuridici cui deve ispirarsi l’interprete richiede di essere rimarcata, stante la potenziale attitudine di essi, ove applicati, ad interferire nell’accertamento del reato anche se condotto secondo il corretto criterio della prognosi postuma. A confutazione, peraltro, sarà sufficiente osservare: 1) che l’individuazione del contenuto che avrebbe dovuto assumere la comunicazione, se fosse stata rispondente a verità, è un presupposto necessario non soltanto alla verifica di idoneità delle false notizie a recare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, ma – prima ancora di ciò – alla formazione del giudizio sulla falsità stessa delle notizie: giacché non è dato parlare di falsità, se non in esito ad un confronto col dato veridico e alla constatazione della relativa difformità; tant’è che lo stesso Tribunale di Torino, nell’affermare come dato certo che “non si può minimamente revocare in dubbio che il comunicato diffuso da IFIL s.p.a., e conseguentemente da G. Agnelli & C. s.ap.a., sia falso” (pag. 55 della sentenza, ultimo paragrafo), dimostra di avere ben chiaro quale sarebbe stato il suo tenore, se avesse rispettato la verità; 2) che l’alternativa alla diffusione delle false notizie non era costituita – come invece mostra di credere il giudice di merito – dal mero silenzio, essendovi invece un preciso obbligo giuridico di ottemperare alla richiesta di diffusione al pubblico di informazioni, rivolta dalla Consob alle società interessate ai sensi dell’art. 114, comma 5, della più volte citata legge n. 58/1998; 3) che non è dunque ardua, né tanto meno impossibile, ma invece doverosa ai fini dell’accertamento del reato, quella verifica che solo con accezione impropria può essere definita “controfattuale” (siffatta nozione appartenendo alla diversa problematica dell’accertamento del nesso eziologico fra condotta ed evento), diretta a stabilire, con giudizio ex ante, quali conseguenze avrebbe prodotto sul mercato finanziario la diffusione della notizia “vera”.

2.5. Conclusivamente la pronuncia di proscioglimento degli imputati G. e Gr.St., costituendo la risultante di molteplici inosservanze delle regole di diritto che presiedono alla materia trattata, non resiste al controllo di legittimità e deve essere annullata. Il giudice di rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Torino ai sensi dell’art. 569, comma 4, cod. proc. pen., procederà al relativo giudizio attenendosi ai principi suesposti; e consequenzialmente sottoporrà a rinnovata disamina la posizione delle società IFIL Investments s.p.a. e Giovanni Agnelli & C. s.a.p.a., quali enti amministrativamente responsabili della condotta degli imputati ai sensi degli artt. 5 e 25-sexies d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231.

3. A diversa conclusione deve pervenirsi per quanto riguarda la posizione dell’imputato M.V. Di costui il Tribunale ha disposto l’assoluzione sulla base di due autonome rationes decidendi, una sola delle quali – la stessa adottata per i due coimputati – ha valorizzato in via principale, ritenendo invece assorbita la seconda. Così si legge, invero, a pag. 72 della sentenza impugnata: “È evidente che, giungendo a tale conclusione (l’assenza di un’effettiva alterazione del prezzo degli strumenti finanziari), non riveste più alcuna autonoma rilevanza dichiarare l’estraneità al reato dell’imputato M. che, secondo quanto rilevato nella ricostruzione del fatto, effettivamente deve ritenersi non aver partecipato direttamente alla formazione ed alla diffusione del comunicato in contestazione”.

Orbene, malgrado il carattere secondario che, nella gerarchia delle ragioni assolutorie, il giudice di merito ha attribuito alla ratio decidendi basata sull’estraneità al fatto, è evidente come questa abbia acquisito rilevanza – e, potenzialmente, autosufficienza – nel momento stesso in cui, proponendo il ricorso per cassazione, l’accusa pubblica e quella privata hanno posto in contestazione il titolo di assoluzione considerato principale.

Ciò comportava la necessità che, per impedire il passaggio in giudicato della pronuncia liberatoria, venisse impugnata anche la seconda ratio decidendi: il che sarebbe stato processualmente possibile quand’anche la natura dei vizi denunciati avesse ecceduto i limiti del ricorso per saltum, provocandone la conversione in appello. La scelta contraria operata dai ricorrenti si traduce in un vizio di specificità del gravame (Sez. 3, n. 30021 del 14/07/2011, F., Rv. 250972), che lo rende inammissibile in parte qua.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi di B.M. e Z.P., che condanna singolarmente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende;

Dichiara inammissibili i ricorsi del P.G., del P.M. e della Consob nei confronti di M.V.;

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di G.G., Gr.St.Fr., IFIL Investments s.p.a. e Giovanni Agnelli e C. s.a.p.a., con rinvio alla Corte di appello di Torino per il giudizio di secondo grado.

 

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