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Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza  13 settembre 2013, n. 37686

Ritenuto in fatto

Il difensore di A.R..G. ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale risulta essere stata confermata la condanna dell’imputato, di cui alla pronuncia del Giudice di pace di Agropoli emessa il 10/06/2009, per il reato di ingiurie (in danno di F..M. , costituitosi parte civile).
Il ricorrente lamenta:
violazione di legge processuale (con riferimento agli artt. 431, 526 e 529 del codice di rito), nonché inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 120, 594, 595 e 597 cod. pen., evidenziando che il M. sporse a suo tempo querela per il reato di minaccia, dal quale il G. era stato poi assolto, ritenendosi pertanto la stessa parte offesa estranea alle frasi asseritamente offensive che l’imputato avrebbe pronunciato con riguardo alla figlia del M. . Le espressioni irriguardose contestate in rubrica (“tua figlia se la fottono tutti e perciò è una puttana, e tu saresti un cornuto”) si riferivano infatti in prima battuta ad altra persona, e non risultavano istanze punitive di sorta avanzate dalla figlia del denunciante; peraltro, in sede di testimonianza, il M. non aveva neppure confermato di essere stato apostrofato con l’epiteto di “cornuto”, formulato in ogni caso al condizionale già secondo il capo d’imputazione e perciò consistente in una espressione “blandamente ingiuriosa”.

L’affermazione di penale responsabilità era stata formulata, in definitiva, ricorrendo il giudicante al contenuto della querela iniziale, non utilizzabile se non ai fini della verifica della condizione di procedibilità: analogamente era accaduto in ordine all’offesa rivolta alla figlia del M. (che secondo il ricorrente avrebbe dovuto qualificarsi, al più, come diffamazione) – contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per il travisamento di risultanze processuali pacificamente acquisite. La madre dell’imputato aveva infatti dichiarato che il G. si era trattenuto con lei per l’intera giornata del *30/12/2005*, escludendo così che potesse essersi verificato l’episodio contestato (che il M. aveva collocato in altra località, a 15 km. di distanza): il Tribunale, come già il Giudice di pace, aveva tuttavia posticipato di un giorno il ricordo della donna, avendo ella parlato del giorno precedente il Capodanno e dei relativi festeggiamenti da preparare, ma secondo la difesa si tratterebbe di pura illazione essendo noto che nel frasario comune la festa di Capodanno deve individuarsi nel 31 dicembre e non già nel 1 gennaio mancata assunzione di una prova decisiva, con riferimento alla testimonianza del sindaco di (…). La necessità di tale deposizione era infatti emersa nel corso della escussione del M. , dipendente di quella amministrazione, avendo egli narrato che si era trovato – in orario di servizio – presso il locale mercato perché il primo cittadino gli aveva dato l’incarico di comperare dei gancetti per appendere quadri: la difesa intendeva così accertare la falsità di quell’assunto, reputando del tutto inverosimile che il sindaco potesse aver dato mandato ad un impiegato per svolgere quella mansione, richiedendosi per gli acquisti di un ente ben altre procedure e comunque esistendo uffici a ciò preposti, cui il M. non apparteneva.

Considerato in diritto

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, perché fondato su doglianze manifestamente infondate.
Quanto alla veste di persona offesa in capo al M. , è di palese evidenza che il contesto della frase rivolta a quest’ultimo fosse ingiuriosa proprio nei suoi confronti, avendo l’imputato inteso colpire direttamente la parte civile nei suoi affetti familiari e costituendo il riferimento alla figlia proprio lo strumento per ledere l’onorabilità del padre: peraltro, è del tutto inconsistente la tesi secondo cui un epiteto formulato al condizionale perderebbe valenza offensiva, mentre sul piano processuale il contenuto della deposizione del M. deve intendersi risultare anche dal complessivo riferimento all’atto di querela, richiamato nel corso dell’esame incrociato delle parti.
Il secondo motivo, sull’apprezzamento del materiale probatorio acquisito (la testimonianza della madre dell’imputato), riguarda aspetti relativi alla ricostruzione del fatto, da riservare alla esclusiva competenza del giudice di merito.
Alla Corte di Cassazione deve invece ritenersi preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendo il giudice di legittimità soltanto controllare se la motivazione della sentenza di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito. Quindi non possono avere rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, e la verifica della correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite: la Corte, infatti, “non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento” (v., ex plurimis, Cass., Sez. IV, n. 4842 del 02/12/2003, Elia).
Né i parametri di valutazione possono dirsi mutati per effetto delle modifiche apportate all’art. 606 cod. proc. pen. con la legge n. 46 del 2006, essendo stato affermato e più volte ribadito che anche all’esito della suddetta riforma “gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e […], pertanto, restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio” (Cass., Sez. V, n. 8094 dell’11/01/2007, Ienco, Rv 236540).
Nella fattispecie, alla luce della plausibile motivazione esposta anche in base al senso comune (i preparativi per la festa di Capodanno, comunque serale, si fanno di norma durante la stessa giornata), non vi sono spazi per un sindacato di legittimità.
Quanto alla mancata assunzione della testimonianza del sindaco è assolutamente pacifica, fin da epoca remota, la giurisprudenza di legittimità secondo cui “il giudice di secondo grado non ha l’obbligo di esaminare un motivo di appello manifestamente infondato” (v., ex plurimis, Cass., Sez. III, n. 8851 del 25/05/1982, Garraffo, Rv 155462). È da notare, peraltro, che secondo il tenore del ricorso sarebbe stato il giudice di primo grado ad ignorare colpevolmente quella sollecitazione istruttoria, senza precisare se detta doglianza venne a costituire oggetto di un motivo di gravame: in vero, l’impugnazione avverso la sentenza del Giudice di pace venne formulata come ricorso per Cassazione, poi convertito in appello.
In ogni caso, non è chi non veda che un conto è l’attendibilità del teste nel momento in cui fornisce una giustificazione alla propria presenza in un dato luogo, ben altro è ritenere provato che egli – per quanto una giustificazione non l’avesse – si trovasse comunque nel contesto indicato.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del G. al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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