Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza 11 febbraio 2016, n. 5800

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente

Dott. DE BERARDINIS Silvana – Consigliere

Dott. SAVANI Piero – Consigliere

Dott. MICHELI P. – rel. Consigliere

Dott. DEMARCHI ALBENGO Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano;

avverso la sentenza emessa il 06/12/2014 dal Gip del Tribunale di Busto Arsizio nel processo penale iscritto nei confronti di:

(OMISSIS), nato in (OMISSIS);

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. MICHELI Paolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il 06/12/2014, il Gip del Tribunale di Busto Arsizio dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS), imputato di un tentato furto aggravato, consistito nell’avere cercato di impossessarsi di un orologio analogico in acciaio, di un anello di bigiotteria, di un bracciale in plastica e di un secondo bracciale (parimenti di bigiotteria); gli oggetti in questione erano custoditi nell’area predisposta e adibita a “piattaforma ecologica” dal Comune di (OMISSIS). In ordine al reato sopra descritto, che non era stato consumato perche’ i Carabinieri della locale stazione avevano sorpreso il (OMISSIS) sul posto, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Busto Arsizio aveva esercitato l’azione penale con richiesta di decreto penale di condanna, che tuttavia il giudice non accoglieva rilevando l’insussistenza del fatto, sul presupposto che i beni de quibus non avessero – come emerso nel corso delle indagini – alcun valore commerciale. In particolare, il Gip sottolineava:

– il difetto di prove di sorta sulla circostanza che fosse stato l’imputato (per quanto trovato dai militari all’interno della piattaforma ecologica) a scardinare la recinzione dell’area;

che, “pur in assenza di specificazione sul valore dei quattro oggetti sottratti, e’ chiaro che questo si assesta su una decina di euro al massimo”;

la necessita’ di fare riferimento al principio di offensivita’, che, “pur non espressamente disciplinato dalla legge, tuttavia, secondo la prevalente dottrina, costituisce uno dei principi immanenti del nostro sistema penale, che richiede in ogni caso, perche’ possa ritenersi concretizzato l’illecito penalmente rilevante, che sia leso o posto in pericolo il bene giuridico protetto, a meno che la norma non preveda espressamente una fattispecie tipica di natura formale che consenta di affermare che la legge ha voluto riaffermare una idoneita’ lesiva normativamente presunta”; come la giurisprudenza di legittimita’, per quanto con alcune oscillazioni interpretative, si fosse gia’ orientata in senso conforme (richiamando a tal fine pronunce di questa Corte intervenute, fra l’altro, in tema di tenuta delle scritture contabili e di detenzione di sostanze stupefacenti);

– che doveva ritenersi ovvia l’assoluta inidoneita’ della condotta in rubrica, esauritasi nel tentativo di asportare pochissimi oggetti abbandonati di nessun valore, a ledere od esporre a pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Milano, deducendo erronea applicazione della legge penale, nonche’ mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata. Il P.M. ricorrente segnala che “il giudizio che riguarda il piu’ o meno modesto valore economico della cosa sottratta riguarda la concedibilita’ o meno dell’attenuante del danno di speciale tenuita’, ma non puo’ investire la rilevanza penale del fatto, pacificamente accertato come rispondente alla contestazione mossa nell’imputazione.

Ne’ e’ consentito prendere in esame il mero valore dei “quattro oggetti sottratti” senza tener conto, nell’ambito di una valutazione globale del fatto e della lesione all’interesse protetto dalla norma, del danno arrecato alla recinzione della piazzola ecologica, divelta dal suo basamento”.

Ad avviso del P.g. milanese, che fa presente come lo stesso giudicante abbia riconosciuto la non determinabilita’ del valore intrinseco dei beni descritti nel capo d’imputazione, “nemmeno la circostanza attenuante prevista dall’articolo 62 codice penale, n. 4 sarebbe – allo stato – tout court applicabile al caso concreto, perche’, per costante giurisprudenza di legittimita’, essa sarebbe ravvisabile, nel delitto tentato, solo ove risultasse provato, rigorosamente ed univocamente, che se il reato fosse stato portato a compimento ne sarebbe derivato un danno di speciale tenuita’”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene il collegio che, nella fattispecie concreta, debba trovare applicazione l’istituto di cui all’articolo 131 bis codice penale, introdotto nell’ordinamento per effetto del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28; norma, dunque, entrata in vigore in data posteriore sia all’emissione della pronuncia oggetto di ricorso, sia dello stesso atto di impugnazione appena illustrato, e che implica pertanto una questione su cui il giudice di legittimita’ deve intendersi chiamato a decidere ai sensi dell’articolo 609, comma 2.

2. L’articolo 131 bis codice penale, la cui rubrica recita “esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto”, stabilisce al comma 1 che “nei reati per i quali e’ prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilita’ e’ esclusa quando, per le modalita’ della condotta e per l’esiguita’ del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, comma 1, l’offesa e’ di particolare tenuita’ e il comportamento risulta non abituale”. Ai fini della determinazione della pena detentiva da riguardare, in vista dell’applicazione della norma de qua, soccorrono i criteri dettati dal successivo comma 4, secondo cui “non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale” (con la precisazione che, in quest’ultimo caso, non puo’ rilevare il giudizio di comparazione fra circostanze di segno contrario, disciplinato dall’articolo 69 codice penale).

Il comma 2 chiarisce che “l’offesa non puo’ essere ritenuta di particolare tenuita’ (…) quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudelta’, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’eta’ della stessa, ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona”. La nozione di non abitualita’ si ricava invece, a contrario, dalla previsione del comma successivo, secondo cui “il comportamento e’ abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso piu’ reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuita’, nonche’ nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”.

2.1 In una delle prime e piu’ significative occasioni nelle quali questa Corte ha avuto modo di affrontare le tematiche sottese alla novella, si e’ precisato che “la rispondenza ai limiti di pena rappresenta (…) soltanto la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilita’, che infatti richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuita’ dell’offesa e la non abitualita’ del comportamento. Il primo degli “indici-criteri” (cosi’ li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati (particolare tenuita’ dell’offesa) si articola, a sua volta, in due “indici-requisiti” (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la modalita’ della condotta e l’esiguita’ del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 codice penale (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalita’ dell’azione, gravita’ del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensita’ del dolo o grado della colpa). Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due “indici-requisiti” della modalita’ della condotta e dell’esiguita’ del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui all’articolo 133 codice penale, comma 1, sussista l'”indice-criterio” della particolare tenuita’ dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualita’ del comportamento. Solo in questo caso si potra’ considerare il fatto di particolare tenuita’ ed escluderne, conseguentemente, la punibilita’”(Cass., Sez. 3, n. 15449 dell’08/04/2015, Mazzarotto).

Va chiarito, peraltro, che nulla autorizza a ritenere tassative le elencazioni di cui al primo e secondo capoverso dell’articolo 131 bis codice penale: gia’ il rilievo che ci si trova dinanzi a “indici-criteri” rende evidente che si tratta di ipotesi tipizzate dal legislatore, dove sono esclusi margini di discrezionalita’ nella valutazione del giudice, da intendersi vincolata e da realizzare attraverso un’attivita’ di mero accertamento. Tuttavia, quelli ivi contemplati non possono considerarsi gli unici casi di condotte recanti offese non tenui, ovvero di comportamenti abituali. Sara’ dunque precluso ex lege ritenere di particolare tenuita’ un reato in cui il soggetto attivo sia stato animato da motivi abietti o futili, ovvero commesso da chi si trovi nella condizione per vedersi contestare la recidiva specifica; ma, qui anticipando problematiche immanenti al giudizio di impugnazione, potra’ senz’altro escludersi l’applicabilita’ della norma (sia stata essa valutata o meno nel processo di primo grado) laddove risulti inflitta una condanna a pena che si discosti dal minimo edittale, od in ipotesi nelle quali le circostanze attenuanti generiche, seppure concesse, debbano intendersi minusvalenti rispetto ad eventuali circostanze di segno contrario (v. Cass., Sez. 5, n. 44387 del 04/06/2015, Trischitta).

2.2 E’ da ricordare, infine, la previsione dell’articolo 131-bis, comma 5, secondo cui l’istituto trova applicazione “anche quando la legge prevede la particolare tenuita’ del danno o del pericolo come circostanza attenuante”. Cio’ comporta che un fatto, da considerare attenuato in ragione della modestia del danno arrecato (intuitivo ed immediato si palesa, ad esempio, il richiamo all’ipotesi di cui all’articolo 62 codice penale, n. 4), dunque meritevole di una pur meno rigorosa sanzione, ben puo’ ritenersi caratterizzato da modesta offensivita’ all’esito di una valutazione complessiva, si’ da non giustificare – malgrado ci si trovi al cospetto di un fatto che integra illecito penale – alcuna risposta sanzionatoria.

Rinviando al prosieguo del presente excursus una piu’ analitica disamina dei temi sottesi alla natura del nuovo istituto, la previsione dell’articolo 131 bis codice penale, comma 5 rende gia’ evidente la necessita’ di una chiarificazione preliminare: un conto e’ discutere di tenuita’ del danno stricto sensu, che – segnatamente laddove evocata per descrivere le conseguenze di una condotta criminosa sul piano patrimoniale – si esaurisce in una connotazione del fatto; ben altro e’ invece affrontare il problema della sussistenza (e dell’eventuale tenuita’) dell’offesa, che involge problemi di tipicita’ e di qualificazione giuridica. Il fatto offensivo – di beni giuridici di rango costituzionale – e’ comunque un fatto tipico, anche nelle ipotesi in cui l’offesa si riveli particolarmente tenue: e, mentre la dimensione quantitativa del danno puo’ individuarsi soltanto all’esito di una indagine di merito, l’individuazione di un minimum di offesa attiene alla ricerca degli elementi necessari per sussumere la fattispecie concreta sub judice nel disegno astratto contemplato dalla norma incriminatrice (attivita’ cui e’ certamente chiamato anche il giudice di legittimita’).

Va del resto ricordato, e sempre rinviando alle pagine successive per una piu’ articolata analisi, che la conferma della tipicita’ del fatto di particolare tenuita’ sul piano dell’offesa si ricava dal nuovo articolo 651 bis codice procedura penale, introdotto a sua volta dal Decreto Legislativo n. 28 del 2015: vi si prevede che la sentenza irrevocabile di proscioglimento per particolare tenuita’ del fatto, ove pronunciata a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato (in quest’ultimo caso, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito speciale), “ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceita’ penale ed all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale”. Una pronuncia, quindi con implicazioni parzialmente negative, normalmente non correlate a decisioni tout court liberatorie; tanto piu’ che la novella ha parimenti introdotto alcune ipotesi di iscrizione nel Casellario giudiziale delle sentenze con cui si dichiari la non punibilita’ dell’imputato dell’articolo 131-bis codice penale.

2.3 Tanto premesso, va subito chiarito che non si rinvengono ostacoli all’applicazione dell’istituto in argomento al caso di specie (salvo doversi soffermare in seguito sulla possibilita’ in genere che l’articolo 131 bis codice penale trovi ingresso nel giudizio di cassazione, e se la valutazione della particolare tenuita’ del fatto possa essere compiuta ex officio da parte del giudice di legittimita’, tenendo conto degli elementi gia’ evidenziati nelle fasi di merito).

Quanto ai limiti edittali di pena, ci si trova dinanzi ad un furto tentato, in ordine al quale una delle due aggravanti in rubrica (l’avere il (OMISSIS) agito con violenza sulle cose) appare gia’ esclusa senza che, in parte qua, vi sia un’effettiva impugnazione.

Infatti, il giudice di merito ha motivatamente rilevato che nulla depone nel senso che la rottura della recinzione fosse da ricondurre alla condotta dell’imputato: cio’, evidentemente, sul ragionevole presupposto che la rete di quella piattaforma ecologica fosse stata gia’ danneggiata in precedenza, in ipotesi anche in occasione di furti diversi e dei quali non erano mai stati identificati gli autori. A riguardo, vale a dire al fine di sostenere invece la sicura od almeno verosimile riferibilita’ di quella violenza alla mano del (OMISSIS), in base alle risultanze del procedimento, il P.g. territoriale nulla deduce: nel ricorso viene evidenziato soltanto – ed in termini apodittici – che nella valutazione del grado dell’offesa sarebbe stato necessario tenere conto anche del danno arrecato alla struttura.

Ergo, i limiti della presente regiudicanda riguardano in concreto un tentato furto aggravato ex articolo 625 codice penale, n. 7, perche’ commesso su cose esistenti presso stabilimenti pubblici; e, pur tenendo conto della minima riduzione di un terzo ai sensi dell’articolo 56 codice penale, il fatto non appare sanzionabile con pena eccedente i limiti previsti dal nuovo articolo 131 bis, comma 1.

Non risulta, inoltre, che ricorrano le ipotesi previste dal comma 2, e neppure che il (OMISSIS) – al quale non vengono ascritti piu’ reati della stessa indole, ne’ addebiti connotati da pluralita’ o reiterazione di condotte – rientri nelle peculiari categorie soggettive di cui al successivo capoverso.

D’altro canto, l’impugnazione proposta dal Pubblico Ministero esclude implicazioni in termini di possibile reformatio in peius: cio’ in quanto il Gip, sul presupposto di una mancanza in radice dell’offesa immanente al fatto tipico, ha pronunciato una formula liberatoria che – per le ragioni appresso evidenziate – e’ certamente piu’ favorevole di quella che ritenga invece l’imputato non punibile per la particolare tenuita’ del fatto addebitatogli. Va peraltro tenuto presente che gli effetti pregiudizievoli di una sentenza che applichi l’istituto in parola si producono soltanto in situazioni determinate, come ricordato poco fa: il che neppure puo’ verificarsi nel caso in esame, dove la pronuncia impugnata appare emessa ex articolo 459, comma 3, e articolo 129, non gia’ all’esito di un giudizio dibattimentale od abbreviato.

3. Come sopra accennato, dinanzi ad un fatto caratterizzato da un’offesa (particolarmente tenue, ma) esistente, si e’ al cospetto di un fatto tipico, la cui pur lieve offensivita’ deve intendersi oggetto di accertamento: una volta riscontrata esistente, il fatto rimarra’ antigiuridico ma – per scelta di politica criminale operata dal legislatore a fini eminentemente deflattivi – non andra’ incontro a sanzione. La sussistenza dei presupposti per l’applicazione della norma in esame, in definitiva, esclude l’assoggettabilita’ dell’autore di un fatto-reato alla pena che dovrebbe conseguirne, ma non l’antigiuridicita’ del fatto-reato medesimo: del resto, si e’ gia’ sottolineato che le “disposizioni di coordinamento processuale” previste dall’articolo 3 del suddetto Decreto Legislativo prevedono, attraverso l’introduzione dell’articolo 651 bis, l’efficacia di giudicato della sentenza di proscioglimento ex articolo 131 bis (in sede civile od amministrativa) non solo in punto di sussistenza del fatto e della sua riferibilita’ all’imputato, ma anche della sua “illiceita’ penale”.

La contrarieta’ all’ordinamento del fatto, seppure non punibile, implica altresi’ la sua “ingiustizia” ai sensi dell’articolo 52 codice penale, con la conseguente impedibilita’ della condotta, nei limiti della proporzionalita’ fra (modesta) aggressione e successiva reazione, da parte di chi versi nella necessita’ di difendere un correlato diritto proprio od altrui: situazione, questa, che appare comune alle cause di esclusione della punibilita’, nozione che sembra potersi evocare anche nel caso di specie, alla luce del tenore letterale della rubrica di cui al citato articolo 131-bis. (ma si vedra’ piu’ avanti che, con riguardo all’inquadramento dogmatico dell’istituto, occorrera’ tenere conto anche della peculiare disciplina in rito dettata dalla novella). Impedibile, ad esempio, deve ritenersi il fatto antigiuridico posto in essere da un soggetto che goda di uno status di immunita’ sancito dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale: cosi’ rilevandosi, su un piano generale, che le cause di esclusione della punibilita’ hanno quale comune presupposto l’attuale rilevanza penale di un fatto che il legislatore, per le piu’ svariate ragioni di opportunita’, rinuncia a sanzionare. La condotta che realizza un’offesa particolarmente tenue, in definitiva, non puo’ intendersi assunta nella ricorrenza di una causa di giustificazione (in quel caso, ne verrebbe esclusa l’antigiuridicita’), ma integra invece un reato esistente in tutte le sue dimensioni e componenti: oggettive, soggettive e di (modesta) lesivita’. Giustificata puo’ essere, invece, la eventuale reazione che a quella si contrapponga.

3.1 La relazione allo schema di decreto legislativo, poi sfociato nella stesura definitiva del Decreto Legislativo n. 28 del 2015, avverte che il testo normativo, “nell’attuare l’indicazione del legislatore, muove dall’implicita ma ovvia premessa che la c.d. “irrilevanza del fatto”sia istituto diverso da quello della c.d. “offensivita’ del fatto”.

Quest’ultimo, come recepito dalla giurisprudenza costituzionale e comune ormai largamente prevalente, attiene alla totale mancanza di offensivita’ del fatto, che risulta pertanto privo di un suo elemento costitutivo e in definitiva atipico e insussistente, come reato. Com’e’ noto, l’ipotesi della inoffensivita’ del fatto e’ stata ricondotta normativamente all’articolo 49 codice penale, comma 2,; diversamente, l’istituto in questione della “irrilevanza”per particolare tenuita’ presuppone un fatto tipico e, pertanto, costitutivo di reato ma da ritenere non punibile in ragione dei principi generalissimi di proporzione e di economia processuale. Ne viene che la collocazione topografica della sua disciplina non puo’ che essere quella delle determinazioni del giudice in ordine alla pena: e, pertanto, lo schema di decreto delegato ha ritenuto di inserire la disciplina sostanziale del nuovo istituto in apertura del Titolo 5 del Libro 1 del codice penale, subito prima degli articoli concernenti l’esercizio del potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena”.

A sua volta, la relazione della commissione ministeriale di studio per l’elaborazione delle proposte ai fini dell’attuazione della Legge Delega n. 67 del 2014 ricordava che nel caso di specie la non punibilita’ “comporta comunque un’affermazione di responsabilita’, dalla quale tuttavia non derivano effetti e conseguenze penali diversi da quello della iscrizione del provvedimento nel Casellario giudiziale”.

3.2 Una significativa conferma della correttezza dell’approccio ermeneutico appena illustrato si ricava da una delle decisioni di questa Corte che hanno avuto modo di occuparsi del nuovo istituto, secondo la quale “la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto di cui all’articolo 131-bis codice penale sia perche’ diverse sono le conseguenze che scaturiscono dai due istituti, sia perche’ il primo di essi estingue il reato, mentre il secondo lascia inalterato l’illecito penale nella sua materialita’ storica e giuridica”(Cass., Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, Sorbara, Rv 263885). In applicazione degli stessi principi, deve poi ritenersi che l’introduzione dell’articolo 131 bis codice penale non determini alcuna abolitici criminis, si’ da comportare una possibilita’ di revoca di precedenti pronunce definitive ai sensi dell’articolo 673; se il presupposto per ritenere operante il nuovo istituto e’ che il fatto concreto debba avere rilevanza penale, attraverso una pur marginale lesione od esposizione a pericolo del bene protetto dalla norma incriminatrice, i piu’ favorevoli effetti della novella soggiacciono ai limiti di cui all’articolo 2 codice penale, comma 4, mentre un’eventuale abrogazione inciderebbe sul disvalore della fattispecie astratta ex se, piuttosto che sulla sola punibilita’ in concreto di un fatto determinato.

3.3 Per rilevare la particolare tenuita’ dell’offesa, in definitiva, e’ necessario ritenere configurabile – a carico di un soggetto cui la condotta sia ascrivibile, secondo gli ordinari canoni di riferibilita’ materiale e psichica – una fattispecie astratta tipica e lesiva, con un grado di offensivita’ minimo ma comunque apprezzabile: situazione che, per quanto si e’ sopra evidenziato, il giudice di merito non ha inteso individuare nel caso oggi in esame, giungendo (in termini assai piu’ radicali) ad escludere in radice l’offesa, e dunque la tipicita’ stessa del fatto.

Non vi e’ dubbio, al riguardo, che il principio di offensivita’ abbia oggi, per effetto di numerosi interventi del giudice delle leggi, un chiaro fondamento costituzionale: cio’ a partire dalla sentenza n. 360/1995, dove si afferma che “la verifica del rispetto del principio dell’offensivita’ come limite di rango costituzionale alla discrezionalita’ del legislatore ordinario, nel perseguire penalmente condotte segnate da un giudizio di disvalore, implica la ricognizione dell’astratta fattispecie penale, depurata dalla variabilita’ del suo concreto atteggiarsi nei singoli comportamenti in essa sussumibili.

Operata questa astrazione degli elementi essenziali del delitto in esame”(il caso oggetto della questione di legittimita’ riguardava un addebito di coltivazione di piante da cui si ritenevano estraibili principi attivi di sostanze stupefacenti) “risulta una condotta (…) che ben puo’ valutarsi come “pericolosa”, ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente piu’ occasioni di spaccio di droga; tanto piu’ che (…) l’attivita’ produttiva e’ destinata ad accrescere indiscriminatamente i quantitativi coltivabili. Si tratta quindi di un tipico reato di pericolo, connotato dalla necessaria offensivita’ proprio perche’ non e’ irragionevole la valutazione prognostica – sottesa alla astratta fattispecie criminosa – di attentato al bene giuridico protetto”.

La Corte Costituzionale rileva inoltre, nella pronuncia appena richiamata, che non appare “irragionevole od arbitraria la valutazione, operata dal legislatore nella sua discrezionalita’, della pericolosita’ connessa alla condotta di coltivazione”, avvertendo al contempo che “diverso profilo e’ quello dell’offensivita’ specifica della singola condotta in concreto accertata; ove questa sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato (come nel caso – prospettato dal giudice rimettente – della coltivazione in atto, e senza previsione di ulteriori sviluppi, di un’unica pianta da cui possa estrarsi il principio attivo della sostanza stupefacente in misura talmente esigua da essere insufficiente, ove assunto, a determinare un apprezzabile stato stupefacente), viene meno la riconducibilita’ della fattispecie concreta a quella astratta, proprio perche’ la indispensabile connotazione di offensivita’ in generale di quest’ultima implica di riflesso la necessita’ che anche in concreto la offensivita sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente, in difetto di cio’ venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile (articolo 49 codice penale).

La mancanza dell’offensivita’ in concreto della condotta dell’agente non radica pero’ alcuna questione di costituzionalita’, ma implica soltanto un giudizio di merito devoluto al giudice ordinario”.

Con la sentenza n. 263/2000, la Corte ritorna sul profilo di distinzione tra offensivita’ in astratto ed in concreto, osservando come la norma penale censurata (l’articolo 120 c.p.m.p.) miri alla tutela del bene giuridico costituito dalla funzionalita’ e dall’efficienza di determinati servizi: avendo il legislatore inteso dettare, a salvaguardia di quel bene, regole secondo cui il militare comandato si intende chiamato a rispettare rigide e tassative modalita’ di esecuzione delle disposizioni impartitegli, “non vi e’ ragione di dubitare che la violazione della consegna sia di per se’ suscettibile di ledere interessi di rilievo costituzionale riconducibili ai valori espressi dall’articolo 52 Cost. L’accertamento in concreto della sussistenza dei presupposti che identificano la consegna e’ invece compito dell’autorita’ giudiziaria militare, alla quale spetta altresi’ valutare se tutte le prescrizioni impartite siano, nei singoli casi, finalizzate al corretto svolgimento del servizio comandato; se, cioe’, l’eventuale inadempimento del militare ad alcuna di esse sia idoneo a pregiudicare l’integrita’ del bene protetto ed abbia quindi carattere di offensivita anche in concreto. L’articolo 25, quale risulta dalla lettura sistematica a cui fanno da sfondo, oltre ai parametri indicati dal remittente, l’insieme dei valori connessi alla dignita’ umana, postula, infatti, un ininterrotto operare del principio di offensivita’ dal momento della astratta predisposizione normativa a quello dell’applicazione concreta da parte del giudice, con conseguente distribuzione dei poteri conformativi tra giudice delle leggi e autorita’ giudiziaria, alla quale soltanto compete di impedire, con un prudente apprezzamento della lesivita’ in concreto, una arbitraria ed illegittima dilatazione della sfera dei fatti da ricondurre al modello legale”.

Proseguendo lungo l’identico percorso argomentativo, la sentenza n. 225/2008 (sulla non fondatezza della questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 707 codice penale) ribadisce la gia’ descritta “ripartizione di competenze tra giudice costituzionale e giudice ordinario (…): spetta, in specie, alla Corte -tramite lo strumento del sindacato di costituzionalita’ – procedere alla verifica dell’offensivita’ “in astratto”, acclarando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo; esigenza che, nell’ipotesi del ricorso al modello del reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolosita’ del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all’id quod plerumque accidit (…). Ove tale condizione risulti soddisfatta, il compito di uniformare la figura criminosa al principio di offensivita’ nella concretezza applicativa resta affidato al giudice ordinario, nell’esercizio del proprio potere ermeneutico (offensivita’ “in concreto”). Esso – rimanendo impegnato ad una lettura “teleologicamente orientata” degli elementi di fattispecie, tanto piu’ attenta quanto piu’ le formule verbali impiegate dal legislatore appaiano, in se’, anodine o polisense – dovra’ segnatamente evitare che l’area di operativita’ dell’incriminazione si espanda a condotte prive di un’apprezzabile potenzialita’ lesiva”.

3.4 Alla luce delle indicazioni appena richiamate, si puo’ convenire con il P.M. ricorrente nel senso che la decisione del Gip di Busto Arsizio (chiamato a valutare la “offensivita’ in concreto” del comportamento ascritto al (OMISSIS)) comporti una indebita dilatazione di quest’ultima nozione, non foss’altro perche’ – stante la gia’ sottolineata differenza ontologica fra danno ed offesa, di cui si e’ data contezza pagine addietro – giunge ad introdurre nell’ambito dell’offensivita’ profili che attengono strettamente alla valutazione delle mere conseguenze della condotta sul piano patrimoniale. Fermo restando che un furto, sul piano dell’offensivita’ astratta, rimane un fatto meritevole di sanzione penale perche’ pacificamente aggressivo di beni di valore costituzionale, le categorie logiche utilizzate dal giudicante per escludere l’offensivita’ in concreto (segnatamente, la speciale modestia del valore della refurtiva, quantificato in una decina di euro) non sembrano riguardare ex se la lesione o la messa in pericolo del bene tutelato, ma piuttosto – nel quadro di riferimento normativo vigente al momento della decisione – la ravvisabilita’ dell’attenuante di cui all’articolo 62 codice penale, n. 4.

4. Oggi, oltre ai parametri normativi menzionati, l’interprete e’ chiamato a confrontarsi anche con il nuovo articolo 131 bis codice penale, che – come parte della dottrina ha avuto modo di sottolineare in sede di primi commenti – si segnala non soltanto per meritorie finalita’ pratiche, volte a sottrarre alla pretesa punitiva dello Stato fattispecie ictu oculi bagatellari, ma anche e soprattutto per avere inserito per la prima volta nel corpo della parte generale del codice penale, la nozione di offesa, con la necessita’ conseguente di richiamare il principio costituzionale a questa sotteso, in termini ben piu’ pregnanti di quanto fosse gia’ desumibile dall’articolo 49 codice penale.

Alcune previsioni di natura certamente sostanziale, peraltro, richiamavano gia’ il concetto di tenuita’ in relazione non al danno (come il piu’ volte ricordato articolo 62, n. 4, e le previsioni a questo omologhe, quale la L.F. articolo 219, comma 3), bensi’ al “fatto” complessivamente considerato (si pensi all’articolo 323 bis codice penale), ovvero alla “offesa” (l’articolo 2640 codice civile, con scelta terminologica da leggersi tuttavia nel senso di intendere i reati societari posti a tutela di interessi di natura non esclusivamente patrimoniale: v. Cass., Sez. 5, n. 5848/2013 del 13/11/2012, Corallo); tuttavia, come detto, cio’ non era mai accaduto per una disposizione di parte generale.

Per la prima volta, un fatto tipico, antigiuridico e colpevole puo’ intendersi contrassegnato da un quantum di lesivita’ di consistenza talmente modesta da rendere non proporzionata, e dunque non giustificata, la risposta sanzionatoria dell’ordinamento sul piano penale: viene cosi’ in rilievo la cosiddetta “concezione gradualistica” del reato, non solo in senso quantitativo (come gia’ autorizzavano a ritenere le previsioni analoghe all’articolo 62 codice penale, n. 4), ma altresi’ in senso qualitativo, sul piano di una valutazione complessiva del disvalore da ricollegare alla condotta ed all’evento cagionato. In tale prospettiva, la norma in esame assume una portata speculare a quelle che, nella medesima parte generale del codice penale, svolgono funzione estensiva, come gli articoli 56 o 110: in base a queste ultime previsioni, condotte altrimenti atipiche (perche’ non realizzative della fattispecie astratta disegnata dalla norma incriminatrice, ma solo connotate da idoneita’ ed inequivocita’ verso la commissione di un delitto, ovvero consistenti in forme di partecipazione materiale o psicologica al fatto tipico posto in essere da altri) divengono passibili di sanzione penale; l’articolo 131-bis, al contrario, presiede ad una funzione che sul piano sostanziale potrebbe definirsi riduttiva, non consentendo che la sanzione penali operi in ordine a condotte che sarebbero – e rimangono – tipiche.

In altri termini, la norma de qua, ove correlata a tutte le disposizioni di legge che ne rendano possibile l’applicazione in ragione delle previsioni sanzionatorie edittali, ne viene a tracciare – in punto di tipicita’ – una linea di confine inferiore, che la dottrina ha gia’ avuto modo di definire quale “limite tacito della norma penale”.

Il fatto ascritto al (OMISSIS), innegabilmente, presenta le caratteristiche appena illustrate: oltre alle considerazioni gia’ sviluppate dal giudice di merito sul piano del valore dei beni oggetto del tentato furto (come detto, due articoli di bigiotteria, un braccialetto di plastica e un orologio che in atti si indica “non funzionante”), deve infatti tenersi conto della assoluta grossolanita’ della condotta, realizzata presso un sito adibito a vera e propria discarica, e in difetto di qualsivoglia elemento che deponga per la non occasionante del comportamento, avuto riguardo alle condizioni soggettive del suo autore.

5. Deve ora affrontarsi il delicato tema di come, muovendo dall’appena evidenziato presupposto che la fattispecie concreta presenta tutti i connotati oggettivi e soggettivi per essere sussunta nell’ambito dell’istituto di nuova introduzione, sia consentito al giudice di legittimita’ prenderne atto.

Con un’ordinanza adottata ex articolo 618 il 07/05/2015, la Terza Sezione di questa Corte ha inteso rimettere alle Sezioni Unite (fra gli altri) quesiti relativi:

alla deducibilita’ in sede di legittimita’ (in ipotesi, attraverso la formulazione di motivi aggiunti o di memorie, ovvero oralmente in fase di discussione) della questione dell’applicabilita’ dell’articolo 131 bis codice penale nei procedimenti dove il ricorso risulti anteriore all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 28 del 2015;

– alla possibilita’ per la stessa Corte di Cassazione, dinanzi ad un’impugnazione non manifestamente infondata, di valutare d’ufficio l’applicabilita’ dell’istituto;

alla possibilita’ della Corte di procedere direttamente ad una valutazione dei presupposti applicativi della norma, e se tale giudizio debba essere espresso attraverso un annullamento con rinvio della sentenza impugnata o sia parimenti consentito, in casi peculiari, un annullamento senza rinvio.

Nell’ordinanza de qua, che non ha poi sortito l’effetto auspicato in quanto gli atti risultano essere stati restituiti alla Sezione rimettente, si legge che, “in estrema sintesi, il giudice e’ chiamato ad effettuare una specifica valutazione di meritevolezza verificando se sulla base dei due “indici-requisiti” (modalita’ della condotta ed esiguita’ del danno e del pericolo, valutati congiuntamente secondo i criteri direttivi di cui all’articolo 133 codice penale, comma 1), sussistano i due indici- criteri (particolare tenuita’ dell’offesa e non abitualita’ del comportamento). L’esito positivo di tale operazione consentira’ al giudice di considerare il fatto di particolare tenuita’ ed escluderne, conseguentemente, la punibilita’.

L’apparente semplicita’ di tali operazioni si scontra, pero’, con un testo che oltre a profilarsi non particolarmente specifico, induce alcune perplessita’. Anzitutto e’ da rilevare che si tratta, proprio perche’ entrano in gioco numerosi dati che debbono tra loro incrociarsi, di un giudizio complesso in cui muovendo dalla premessa che a dover essere analizzato e’ non tanto e non solo il reato, quanto il comportamento del reo (e dunque la condotta), deve anche tenersi presente la differenza che intercorre tra irrilevanza del fatto ed inoffensivita’ del fatto: in quest’ultimo caso, in realta’ ci si trova di fronte ad un non reato (articolo 49 codice penale, comma 2), mentre l’aspetto della irrilevanza attiene piu’ propriamente ad un giudizio di valore che presuppone l’esistenza di un fatto-reato ed il livello di offensivita’ misurato in rapporto alla abitualita’ del comportamento ed alle modalita’ della condotta”.

5.1 Tenendo conto dei contributi gia’ offerti da altre pronunce medio tempore intervenute in tema di interpretazione della novella, il collegio reputa necessario – anche al fine di prendere posizione sui delicati profili segnalati nell’ordinanza appena ricordata – soffermarsi sull’inquadramento sistematico dell’istituto in parola.

Non vi e’ dubbio che la norma, gia’ prima facie, evochi all’interprete la “esclusione della procedibilita’ per particolare tenuita’ del fatto” disegnata dal Decreto Legislativo n. 274 del 2000, articolo 34; in base a quest’ultima previsione, “il fatto e’ di particolare tenuita’ quando, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguita’ del danno o del pericolo che ne e’ derivato, nonche’ la sua occasionalita’ e il grado della colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto altresi’ del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento puo’ recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta a indagini o dell’imputato”.

Risulta peraltro evidente, almeno sul piano lessicale, l’apparente voluntas legis sottesa al Decreto Legislativo n. 28, tenendo peraltro conto che, in vista della introduzione della nuova ipotesi deflattiva (chiara essendo, sul punto, una comune finalita’ perseguita dal legislatore), si disponeva gia’ del modello elaborato in tema di definizioni alternative del procedimento penale per i reati di competenza del giudice di pace: ergo, da un lato emergono i comuni punti di contatto fra i due istituti, il secondo costituendo una prosecuzione di strategie di politica legislativa sottese al precedente intervento, dall’altro se ne debbono cogliere i profili di distinzione, tanto piu’ netti ove si consideri che (in linea di principio) nulla avrebbe impedito al legislatore, con gli opportuni adattamenti necessari anche alla luce di piu’ di un decennio di esperienza applicativa del menzionato articolo 34, di riprodurne lo schema.

Stando alla lettera della legge, sembrerebbe invece aver prevalso una opzione “sostanzialistica”, a dispetto della chiara natura processuale da riconoscere invece all’istituto di cui al citato articolo 34: come incidentalmente gia’ ricordato in precedenza, l’articolo 131-bis codice penale parrebbe disegnare una causa di esclusione della punibilita’ (con la conseguente, doverosa applicazione del principio della retroattivita’ della legge di favore, ai sensi dell’articolo 2 codice penale, comma 4). La norma de qua, pertanto, sembra dover trovare applicazione anche relativamente ai processi in corso e pure per reati commessi prima della sua entrata in vigore: in questo senso, del resto, si esprime la citata sentenza n. 15449/2015 della Sezione Terza, che afferma “la natura sostanziale dell’istituto di nuova introduzione”.

Va comunque chiarito che, in linea di principio, alla stessa conclusione dovrebbe pervenirsi laddove si ritenesse di valutare preminenti le eventuali implicazioni dell’istituto di nuova introduzione in punto di procedibilita’ : soluzione in linea con approdi cui la giurisprudenza di questa Corte e’ pervenuta gia’ da tempo, secondo i quali “il problema dell’applicabilita’ dell’articolo 2 codice penale, in caso di mutamento nel tempo del regime della procedibilita’ a querela, va positivamente risolto alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, di tale istituto, che costituisce nel contempo condizione di procedibilita’ e di punibilita’. Infatti, il principio dell’applicazione della norma piu’ favorevole al reo opera non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilita’ che inerisce alla fattispecie, dato che e’ inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto”(Cass., Sez. 3, n. 2733 dell’08/07/1997, Frualdo, Rv 209188, in tema di reati contro la liberta’ sessuale). Per converso, nessun dubbio vi sarebbe circa l’applicazione dell’articolo 2 codice penale, comma 4, ad ipotesi in cui un reato, procedibile ex officio al momento della commissione, divenga procedibile a querela in base ad una posteriore normativa di favore, e non sia presentata alcuna istanza punitiva nel termine eventualmente fissato dalla novella in questione.

Non va trascurato, inoltre, che l’operativita’ dell’istituto e’ espressamente contemplata dal Decreto Legislativo n. 28 del 2015 anche durante la fase delle indagini preliminari, potendo la particolare tenuita’ del fatto essere rilevata in sede di provvedimento di archiviazione. Tale esigenza era stata avvertita con chiarezza gia’ in un primo progetto di riforma dell’aprile 2013, dove si era suggerito di inserire l’articolo 131 bis quale ultima norma del Capo 4 del Titolo 4 del codice (piuttosto che, come poi accaduto, quale norma di apertura del successivo Titolo 5), recante la previsione che “non si procede quando (…) il fatto e’ di particolare tenuita’ “; nella relazione allegata al progetto de quo si dava atto di una espressa opzione volta a collocare la figura della tenuita’ del fatto nel quadro della procedibilita’ in modo da ottenere che risultati di “sbarramento” potessero realizzarsi gia’ all’atto di assumere le determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale. Analogamente, anche nella relazione inerente un secondo progetto del dicembre 2013 si avvertiva che, costruito come incidente sulla procedibilita’, l’istituto avrebbe avuto una maggiore capacita’ deflattiva, potendosene il P.M. avvalere ai fini della presentazione di una richiesta di archiviazione, mentre – ove strutturata come causa di non punibilita’ – la particolare tenuita’ del fatto avrebbe potuto essere dichiarata solo con sentenza.

Il legislatore del 2016, a ben guardare, ha licenziato una sorta di ibrido, tanto da aver determinato alcuni dei primi commentatori a segnalare che la particolare tenuita’ fungerebbe da causa di improcedibilita’ nel corso delle indagini preliminari (fino ad ipotizzare il diritto a rinunciarvi da parte dell’indagato, eventualmente interessato a far emergere la sua piena estraneita’ al fatto oggetto della notitia criminis) e da causa di non punibilita’ ad azione penale ormai esercitata. Soprattutto, appaiono di difficile interpretazione – nel doveroso tentativo di offrire una lettura unitaria delle varie implicazioni dell’istituto in argomento – le disposizioni aventi finalita’ adeguatrici della correlata normativa processuale.

Come detto, il Decreto Legislativo n. 28 del 2015 ha inserito fra le ipotesi di richiesta di archiviazione quella in cui la persona sottoposta a indagini non e’ punibile ai sensi del suddetto articolo 131-bis, subito dopo quella – gia’ contemplata nel testo previgente – della mancanza di una condizione di procedibilita’ : da un lato, potrebbe ritenersi che, se il nuovo istituto fosse stato da ricomprendere tra queste ultime, non vi sarebbe stata necessita’ di una simile specificazione; dall’altro, pero’, una espressa previsione in tal senso induce alla conclusione che, ove da intendere come causa di esclusione della punibilita’, il Pubblico Ministero possa chiedere l’archiviazione perche’ il fatto e’ particolarmente tenue (consentendoglielo la lettera del nuovo articolo 411 codice procedura penale) ma non altrettanto sia legittimato a fare al cospetto di altre, e magari ben piu’ evidenti, cause di non punibilita’ (si pensi al caso di un reato contro il patrimonio commesso in ambito endofamiliare). Cause, queste ultime, sinora agevolmente ricondotte nell’alveo onnicomprensivo delle ipotesi di infondatezza della notizia di reato: ed analogamente sarebbe stato possibile determinarsi, in presenza di un fatto di minima offensivita’, senza bisogno di apportare modifiche alla norma appena ricordata.

Inoltre, e’ necessario rilevare che la novella non ha interessato in alcun modo l’articolo 530, rimanendo percio’ identico il novero delle formule liberatorie ivi contemplate: soluzione, ancora una volta, che potrebbe apparire ragionevole, in quanto la sentenza di assoluzione era gia’ espressamente prevista – anche – nell’ipotesi del reato commesso da persona non imputabile o “non punibile per un’altra ragione”. Potrebbe percio’ ritenersi che, ove intervenga nel giudizio dibattimentale od a seguito dell’opzione dell’imputato per il rito abbreviato (stante il richiamo agli articoli 529 e ss., operato dall’articolo 442, comma 1), la pronuncia che rilevi la causa di esclusione della punibilita’ ex articolo 131 bis codice penale debba essere di assoluzione: del resto, una sentenza assolutoria ben puo’ intervenire anche nei confronti del soggetto immune, o della persona non imputabile, previo accertamento della responsabilita’, tant’e’ che -mentre nelle altre formule liberatorie di cui all’articolo 530 codice procedura penale viene evocato il “fatto” (che non sussiste, al quale l’imputato e’ estraneo, o non costituisce reato) – per la persona non imputabile o non punibile per altra ragione si parla di “reato commesso”.

Tuttavia, ed ancora una volta, l’adeguamento della normativa processuale risulta muoversi in direzione del tutto opposta, considerando le modifiche (qui si’) intervenute a proposito dell’articolo 469 codice procedura penale, nonche’ l’introduzione del gia’ ricordato articolo 651 bis.

L’articolo 469, comma 1 bis recita infatti che “la sentenza di non doversi procedere e’ pronunciata anche quando l’imputato non e’ punibile ai sensi dell’articolo 131 bis codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare”; la particolare tenuita’ del fatto viene dunque, apertis verbis, ricollegata ad ipotesi di improcedibilita’ (inequivoco risultando, a riguardo, il riferimento ad una pronuncia che dichiari il “non doversi procedere”). L’articolo 651 bis codice procedura penale, inoltre, prevede l’efficacia di giudicato – nei limiti sopra evidenziati – della sentenza irrevocabile di “proscioglimento” (non gia’ di assoluzione) emessa a seguito di dibattimento o di opzione dell’imputato per il rito abbreviato.

Sembra dunque innegabile che le formule contemplate dalla novella con riguardo alle sentenze emesse in applicazione della norma in esame (di “non doversi procedere”, con riferimento alle ipotesi predibattimentali, ovvero di “proscioglimento” nei casi di pronunce dibattimentali od ex articolo 442 codice procedura penale) evochino la dimensione processuale dell’istituto, come a rivelare il disegno del legislatore delegato di conferire ad un istituto di taglio dichiaratamente sostanziale una piu’ ampia portata applicativa sul piano processuale, per finalita’ di maggior deflazione.

Ritiene il collegio, allo stato delle attuali possibilita’ interpretative, che debbano trarsene le seguenti conclusioni:

a) la tenuita’ del fatto e’ una causa di non punibilita’, che tuttavia – a scopo deflattivo – viene disciplinata nelle sue implicazioni in rito come causa di improcedibilita’, salva la necessita’ in ipotesi peculiari del non dissenso dell’imputato;

b) il giudizio di tenuita’ in concreto dell’offesa ascrive una qualificazione giuridica al fatto contestato e puo’ pertanto essere compiuto anche d’ufficio dalla Corte di Cassazione, sulla base dell’accertamento in fatto compiuto dal giudice del merito;

c) ove il fatto sia particolarmente tenue, deve essere disposta l’archiviazione del procedimento a prescindere da un accertamento di responsabilita’ (come prescrive l’articolo 411 codice procedura penale): e poiche’ la tenuita’ non sopravviene, ma certamente preesiste, in qualsiasi momento la si accerti, occorre dichiarare che l’azione penale non poteva essere esercitata, come impone l’articolo 469 nel richiamare una sentenza di non doversi procedere e l’articolo 651 bis nell’evocare il proscioglimento dell’imputato;

d) l’accertamento della responsabilita’, non previsto per la fase delle indagini preliminari, e’ espressamente previsto dall’articolo 651 bis codice procedura penale solo per la dichiarazione di improcedibilita’ nella fase del giudizio, per ragioni di economia processuale.

5.2 Circa l’applicabilita’ della norma al giudizio di cassazione, deve prendersi atto che la legge non contiene una disciplina transitoria.

Le pronunce gia’ intervenute in materia, tuttavia, sembrano deporre univocamente per una chiara possibilita’ di applicazione dell’istituto: soluzione cui il collegio certamente aderisce. Si e’ gia’ avvertito, del resto, che l’istituto in parola attiene all’offesa, e non al danno (l’entita’ del danno, ricavabile solo da accertamenti di merito, e’ solo uno degli elementi dai quali puo’ desumersi la connotazione dell’offesa come tenue), sicche’ la verifica della particolare tenuita’ del fatto viene a riguardare una qualificazione giuridica compatibile con il giudizio di cassazione.

La piu’ volte citata sentenza Mazzarotto afferma che la causa di esclusione della punibilita’ ex articolo 131 bis codice penale “e’ applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli pendenti in sede di legittimita’, nei quali la Suprema Corte puo’ rilevare di ufficio ex articolo 609 codice procedura penale, comma 2, la sussistenza delle condizioni di applicabilita’ del predetto istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata e, in caso di valutazione positiva, deve annullare la sentenza con rinvio al giudice di merito”(RV 263308). Il caso riguardava una ipotesi di reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, commesso al fine di evadere le imposte dirette e sul valore aggiunto, per un importo complessivo di 466.953,95 euro: la valutazione negativa circa la prospettiva di un annullamento con rinvio al giudice di merito, al fine della verifica della concreta sussistenza degli elementi fondanti la peculiare tenuita’, risulta espressa sul rilievo che la Corte territoriale aveva ritenuto “pienamente giustificata l’irrogazione di una pena in misura superiore al minimo ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (…), operando quindi una valutazione che esclude a priori ogni successiva valutazione in termini di particolare tenuita’ dell’offesa”.

Analogamente, in un caso di lesioni colpose derivanti dalla contestata violazione della normativa antiinfortunistica, la Sezione Quarta ha ribadito che, in vista dell’applicazione della norma in argomento, la Corte di legittimita’ (dopo il primo riscontro afferente i limiti edittali di pena di cui alla norma incriminatrice) “deve verificare la ricorrenza congiunta della particolare tenuita’ dell’offesa e della non abitualita’ del reato. Nell’effettuare questo secondo apprezzamento, il giudice di legittimita’ non potra’ che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito, tenendo conto, in modo particolare, dell’eventuale presenza, nella motivazione del provvedimento impugnato, di giudizi gia’ espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuita’ del fatto”.

La conclusione, in quella vicenda, e’ stata quindi nel senso che “all’accoglibilita’ della richiesta ostano alcuni dati emergenti dalla decisione, indicativi di un apprezzamento sulla “gravita’ del fatto” che non consentono di ritenere astrattamente configurabili i presupposti per la non punibilita’ : e’ vero che e’ stata applicata la sola pena pecuniaria, previa concessione delle attenuanti generiche, ma questa e’ stata applicata partendo dal massimo edittale; inoltre, la connotazione della colpa addebitata al datore di lavoro, afferente la mancata fornitura ai lavoratori dei mezzi di protezione, presenta ex se profili di obiettiva rilevanza, ostativi alla astratta configurabilita’ della particolare tenuita’”(Cass., Sez. 4, n. 22381 del 17/04/2015, Mauri).

Sulla stessa linea, ancora la Sezione Terza ha avuto modo di rilevare che “la questione relativa alla esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, di cui all’articolo 131 bis codice penale, e’ rilevabile nel giudizio di legittimita’, a norma dell’articolo 609 codice procedura penale, comma 2, se non e’ stato possibile proporla in appello, ma la sua prospettazione non implica necessariamente l’annullamento della sentenza impugnata, dovendo invece la relativa richiesta essere rigettata ove non ricorrano le condizioni per l’applicabilita’ dell’istituto”(Cass., Sez. 3, n. 21474 del 22/04/2015, Fantoni, Rv 263693: il caso riguardava reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articoli 10 bis e 10-ter, per omesso versamento all’Erario di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti d’imposta, per un ammontare complessivo di 151.800,00 Euro).

Nella motivazione di una successiva pronuncia, gia’ menzionata con riguardo alla ritenuta prevalenza della prescrizione, quale causa di estinzione del reato, rispetto all’istituto introdotto dalla novella, la stessa Sezione Terza afferma che “il Decreto Legislativo in esame non contiene alcuna disciplina transitoria e (…), trattandosi di norma piu’ favorevole, va fatto richiamo ai principi generali in tema di successione delle norme nel tempo ex articolo 2 codice penale, comma 4 (…). Cosi’ come e’ vero che, in ipotesi siffatte, e’ da ritenersi consentita alla Corte di Cassazione la possibilita’ di intervenire ex officio, indipendentemente quindi dalla tardivita della memoria contenente la richiesta dell’imputato o anche in assenza di esso, in relazione al disposto di cui all’articolo 609 codice procedura penale, comma 2 che prevede un intervento decisorio della Corte Suprema su questioni (oltre che rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo) “che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello””(Cass., Sez. 3, n. 27055 del 26/05/2015, Sorbara).

Ferma restando la conferma della astratta rilevabilita’ della questione, altre pronunce hanno poi escluso la ravvisabilita’ di ipotesi di particolare tenuita’ del fatto ex articolo 131 bis codice penale in fattispecie concrete peculiari: ad esempio, in caso di gia’ negato riconoscimento della circostanza attenuante della lieve entita’, ai sensi della Legge n. 110 del 1975, articolo 4, comma 3, relativamente al porto di oggetti atti ad offendere (v. Cass., Sez. 1, n. 27246 del 21/05/2015, Singh), ovvero “in presenza di piu’ reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, configurando anche il reato continuato una ipotesi di “comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio”(v. Cass., Sez. 3, n. 29897 del 28/05/2015, Gau, Rv 264034).

5.3 Come appena visto, un costante parametro normativo per ritenere proponibile nel giudizio di legittimita’ la questione della particolare tenuita’ del fatto e’ costituito dall’articolo 609, comma 2; la sentenza Sorbara, peraltro, giunge alla condivisibile affermazione di principio che la Corte di Cassazione possa rilevare detta questione anche d’ufficio, pure in mancanza di sollecitazioni di parte o dinanzi a memorie tardive.

Se quello disciplinato dall’articolo 609 cpv. codice procedura penale e’, innegabilmente, lo strumento praticabile per consentire al giudice di legittimita’ – nel regime transitorio, non disciplinato ex lege – di affrontare il tema dell’applicabilita’ del nuovo istituto, occorre tuttavia verificare anche quali possano essere i conseguenti epiloghi decisori. In tutte le ipotesi affrontate da questa Corte nelle decisioni sopra passate in rassegna, la prospettiva paventata era senz’altro quella – ferma restando la possibilita’, generalmente emersa, di escludere la possibile ricorrenza della causa di esclusione della punibilita’ in virtu’ di elementi gia’ evidenziati nelle fasi di merito – del possibile annullamento con rinvio: soluzione che nella odierna fattispecie concreta non sembra necessario percorrere, dal momento che, come piu’ volte sottolineato, il Gip del Tribunale di Busto Arsizio ha gia’ abbondantemente valicato quella che si e’ sopra definita la linea di confine inferiore, in punto di tipicita’ correlata all’offesa, della norma incriminatrice del furto.

5.4 Deve notarsi che l’articolo 129 codice procedura penale (norma, a questo punto, di intuitivo richiamo) non risulta interessato da modifiche di sorta per effetto dell’intervento normativo in esame: ed il rilievo impone di tornare ancora una volta sull’inquadramento dogmatico dell’istituto oggetto di esame.

Si e’ avvertito in precedenza che, ad avviso del collegio, l’articolo 131-bis codice penale descrive una causa di esclusione della punibilita’ che e’ pero’ trattata come causa di improcedibilita’ : non e’, comunque, in senso tecnico, una condizione di procedibilita’, il che preclude la prospettiva di invocare il citato articolo 129 ai fini di una declaratoria immediata, atteso che quest’ultima norma contempla le ipotesi in cui il giudice “riconosce che il fatto non sussiste, o che l’imputato non lo ha commesso, o che il fatto non costituisce reato o non e’ previsto dalla legge come reato, ovvero che il reato e’ estinto o che manca una condizione di procedibilita’ “.

A identiche conclusioni, peraltro, dovrebbe pervenirsi anche laddove si ritenga che il nuovo istituto sia disciplinato come una causa di esclusione della punibilita’. Vero e’ che, secondo un approccio esegetico gia’ adottato in alcune pronunce di questa Corte, una decisione liberatoria ex articolo 129 potrebbe nondimeno essere assunta (anche dal giudice di legittimita’, ed ammettendosi una interpretazione estensiva od analogica della norma) in presenza di una causa di non punibilita’ : l’orientamento appena evocato e’ stato adottato, ad esempio, in tema di provocazione ex articolo 599 codice penale, comma 2, (v. Cass., Sez. 5, n. 25155 del 15/02/2005, Sampaolesi), ovvero in applicazione dell’articolo 598 codice penale, con una pronuncia (Cass., Sez. 6, n. 15955 del 01/03/2001, Fiori) nella cui motivazione si legge che “la formula “perche’ il fatto non costituisce reato” e’ stata sempre intesa come comprendente anche le cause di non punibilita’; e, d’altronde, un’interpretazione diversa comporterebbe (…) fondati dubbi sotto il profilo della legittimita’ costituzionale, traducendosi in disparita’ di trattamento difficilmente giustificabili sotto il profilo della logica e della razionalita’”. Tuttavia, non puo’ ritenersi che – con specifico riferimento all’istituto di cui all’articolo 131-bis codice penale, e comunque lo si voglia riguardare – tale percorso sia praticabile, dal momento che in sede di lavori preparatori all’emanazione del Decreto Legislativo n. 28 del 2015 era stata espressamente elaborata una modifica dell’articolo 129 codice procedura penale, proprio inserendo fra le altre ipotesi ivi contemplate quella disegnata dal nuovo articolo 131-bis: modifica, dunque, annunciata, ma poi abbandonata all’atto di licenziare il testo definitivo, e che non puo’ non valere quale precisa e consapevole opzione del legislatore nel senso di escludere la possibilita’ di fare ricorso all’articolo 129 al fine di rilevare la particolare tenuita’ del fatto come causa di non punibilita’ (prevedendo detta norma processuale, gia’ in rubrica, un obbligo di immediata declaratoria solo in ordine a “determinate” cause di non punibilita’).

5.5 Alla luce dei principi sopra affermati, lo strumento di immediata applicazione che il codice di rito fornisce a questa Corte, in vista di una pronuncia di annullamento senza rinvio che appare coerente alle piu’ volte sottolineate finalita’ deflattive della riforma, e’ soltanto uno. Ci si intende riferire all’articolo 620, che alla lettera a) – ancora una volta imponendo all’interprete di privilegiare le anzidette implicazioni processuali del nuovo istituto – contiene uno specifico riferimento ai casi in cui l’azione penale non avrebbe dovuto essere iniziata (o proseguita).

In definitiva, deve ritenersi che la particolare tenuita’ del fatto possa essere rilevata anche ex officio dalla Corte di Cassazione, con annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, laddove questa – come pacificamente si riscontra nella fattispecie odierna – consenta di ravvisare ictu oculi la sussistenza dei presupposti richiesti dall’articolo 131-bis codice penale: l’attivita’ richiesta al giudice di legittimita’, in tal caso, non puo’ intendersi verifica di merito, ma piuttosto semplice valutazione della corrispondenza del fatto, nel suo minimum di tipicita’, al modello legale di una fattispecie incriminatrice, come la disciplina del nuovo istituto impone nella fase del giudizio (prescindendone invece nel corso delle indagini preliminari).

5.6 Quanto, infine, al profilo della necessaria interlocuzione con le parti private, generalmente prevista dal Decreto Legislativo n. 28 del 2015 in vista dell’applicazione dell’articolo 131 bis codice penale, deve rilevarsi che il giudizio di cassazione si fonda comunque sul principio del contraddittorio, sia pure attraverso la partecipazione esclusiva dei difensori, senza dunque che si imponga l’adozione di specifiche formalita’ per consentire alla persona offesa una partecipazione ulteriore rispetto a quella gia’ garantita dalla generale facolta’ di depositare memorie.

Nel caso di specie, del resto, deve ribadirsi che non si determinano pregiudizi di sorta per alcuna delle parti, non essendosi celebrato un giudizio dibattimentale, ne’ svolto un processo nelle forme di cui all’articolo 438 e segg..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perche’ l’azione penale non poteva essere esercitata, trattandosi di persona non punibile ai sensi dell’articolo 131-bis codice penale.

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