Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 24 maggio 2016, n. 21696

Non applicabilità del più lieve delitto di “Abuso di mezzi di correzione” qualora sia stata adoperata, sia pur per finalità disciplinari, «un’azione non consentita, sia per la sua natura che per la sua potenzialità».

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 24 maggio 2016, n. 21696

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMO Maurizio – Presidente
Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere
Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1239/2014 CORTE APPELLO di GENOVA, del 1 luglio 2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16 ottobre 2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PEZZULLO ROSA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. BIRRITTERI Luigi che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 1.7.2014 la Corte di Appello di Genova in riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in data 22.5.2013 dichiarava (OMISSIS) responsabile del reato di cui agli articoli 582 e 585 in relazione all’articolo 577 c.p., n. 1 in danno della figlia (OMISSIS), cosi’ modificata l’originaria imputazione di cui all’articolo 572 c.p., e concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, lo condannava alla pena di mesi tre di reclusione, riducendo la provvisionale in favore della minore (OMISSIS) ad Euro 500,00 ed eliminando la provvisionale e la condanna al risarcimento dei danni nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).
2. Avverso tale sentenza l’imputato, a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, con i quali lamenta:
– con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita’, inutilizzabilita’, di inammissibilita’ o di decadenza, atteso che i Giudici d’appello hanno riformato totalmente la sentenza emessa dal Giudice di prime cure, ritenendo che l’imputato dovesse essere dichiarato responsabile del reato di cui agli articoli 582 e 585 c.p. in relazione all’articolo 577 c.p., n. 1 per uno solo degli episodi contestati nel capo d’imputazione integranti il reato di maltrattamenti di cui all’articolo 572 c.p., per il quale era intervenuta la sentenza di condanna di primo grado, ma nel far cio’ non hanno rispettato il principio della correlazione tra accusa e sentenza previsto dall’articolo 521 c.p.p. e conseguentemente la sentenza impugnata risulta affetta dalla nullita’ di cui all’articolo 522 c.p.p., comma 2 non risultando, tra il reato contestato all’imputato ed il reato per cui e’ intervenuta sentenza di condanna, un rapporto di genere a specie;
– con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e); in particolare, tutti i molteplici ed articolati comportamenti contestati all’imputato nel capo d’imputazione sono stati valutati dai Giudici di appello non dimostrati e, comunque, non idonei a costituire la condotta prevista per la configurabilita’ del reato di maltrattamenti in famiglia; da tali premesse, sarebbe stato legittimo, dunque, aspettarsi la pronuncia di una sentenza assolutoria in relazione all’unico reato contestato all’appellante, con formula ampia, o quantomeno ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, mentre la Corte di Appello di Genova e’, invece, incorsa in una erronea applicazione della legge penale e processuale, allorquando ha ritenuto di valutare come dolose le lesioni provocate alla figlia (OMISSIS), giudicate guaribili in cinque giorni, senza ritenerle assorbite nel reato di maltrattamenti contestato all’imputato; quest’ultimo, sottopostosi all’esame dibattimentale, affermava di aver preso la figlia (OMISSIS) per le spalle al solo fine di farle cessare un comportamento avvertito come eccessivamente scomposto e disturbante, ma i Giudici a quo hanno ritenuto che in tale occasione l’imputato avesse agito a titolo di dolo eventuale, al fine di cagionare alla figlia, una lesione personale giudicata poi guaribile in 5 giorni, giungendo ad una conclusione disancorata dalla realta’ processuale e dalle premesse in fatto ed in diritto espresse nella sentenza da loro pronunciata; invece, la citata ricostruzione dei fatti fornita dall’imputato e confermata dai testi presenti ai fatti, doveva essere considerata attendibile e la condotta tenuta dall’imputato doveva, pertanto, essere valutata come involontaria o al massimo come riconducibile al reato di abuso nei mezzi di correzione di cui all’articolo 571 c.p.; nella sentenza impugnata non viene fornita alcuna motivazione in merito agli elementi di prova che dimostrerebbero la sussistenza del dolo per il delitto di lesioni in capo all’imputato, sicche’ l’infondatezza dell’affermazione, secondo cui l’imputato avrebbe agito a titolo di dolo eventuale, appare evidente, anche solo dalla lettura dell’unico referto versato in atti, che riporta una diagnosi incompatibile con l’azione, mentre risulta compatibile con il racconto effettuato dall’imputato e dai testi presenti ai fatti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non merita accoglimento.
1.Con il primo motivo di ricorso l’imputato si duole della sua condanna per il reato di lesioni aggravate, cosi’ qualificata l’originaria ipotesi di reato a lui ascritta di maltrattamenti ex articolo 572 c.p., lamentando la violazione del principio di cui all’articolo 521 c.p.p., ma tale deduzione si presenta priva di fondamento, atteso che, sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di incompatibilita’ ed eterogeneita’, verificandosi un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa, a fronte dei quali l’imputato e’ impossibilitato a difendersi (Sez. 1, n. 28877 del 4 giugno 2013; Sez. 5, n. 37532 del 17 aprile 2015). In particolare, come recentemente evidenziato dalle S.U. di questa Corte, l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’articolo 521 c.p.p., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’articolo 111 Cost., comma 2 e dell’articolo 6 EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato sia, comunque, prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novita’ che da quel mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26 giugno 2015).
1.1. Nel caso di specie non si ravvisa alcuna violazione della correlazione tra imputazione contestata e sentenza, ben potendo il reato di lesioni costituire uno degli epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, atteso che l’imputazione di maltrattamenti contestato originariamente all’imputato gia’ in se’ conteneva il preciso riferimento all’episodio di lesioni ritenuto in appello, sebbene il reato di lesioni, come ripetutamente affermato da questa Corte, non sia assorbito da quello di maltrattamenti in famiglia per la diversa obiettivita’ giuridica dei reati (Sez. 2, n. 15571 del 13 dicembre 2012).
2. Infondato si presenta, altresi’, il secondo motivo di ricorso, con il quale l’imputato ha censurato l’avvenuto riconoscimento della sua responsabilita’ in ordine al reato di lesioni ascrittogli Ed invero, non merita censure la valutazione operata dalla Corte territoriale, secondo cui la condotta dell’imputato dell’afferrare la bambina alle spalle e precisamente per il collo, nel tentativo farla smettere di disturbare, comporta la configurabilita’ del reato in questione, ricorrendo quantomeno il dolo eventuale in capo all’imputato. Non puo’ escludersi, infatti, che l’ (OMISSIS) si sia rappresentato come seriamente possibile, sebbene non certa, l’esistenza dei presupposti della condotta, ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare ad essa, ha accettato che il fatto potesse verificarsi, decidendo di agire comunque.
(Sez. 2, n. 43348 del 30 settembre 2014, Rv. 260858).
Le lesioni riportate dalla bambina, ossia contusioni regioni laterali del collo, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, danno chiaramente conto di una pressione esercitata con una certa intensita’ sul collo, che non puo’ non aver comportato la prefigurazione nell’agente che l’evento lesivo si sarebbe verificato.
3. Per quanto concerne, poi, la mancata riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’articolo 571 c.p., essa si presenta destituita di fondamento, alla luce di quanto appena evidenziato.
In particolare, non puo’ parlarsi di abuso di mezzi di correzione quando sia stato adoperato per fine correttivo e disciplinare un’azione non consentita, sia per la sua natura che per la sua potenzialita’, quale puo’ essere afferrare la vittima, sia pur meritevole di castigo, per il collo, stringendolo, azione questa producente una malattia nel corpo.
3. Il ricorso va dunque respinto e l’imputato va condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli latri identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.

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