In tema di reati contro l’onore, risponde del reato di ingiurie di cui all’art. 594 c.p., ora depenalizzato, la parte che, nel corso di un’udienza di separazione, reagisca violentemente all’indirizzo dell’avvocato che assiste l’ex coniuge, in particolare colpendolo con il tacco di una scarpa al viso ed offendendone l’onore, il decoro e la reputazione, profferendo espressioni offensive, mostrando il dito medio e sputandogli addosso
Suprema Corte di Cassazione
sezione V penale
sentenza 22 febbraio 2017, n. 8477
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPPI Aniello – Presidente
Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere
Dott. RICCARDI Giusepp – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/12/2011 del Tribunale di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe Riccardi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio limitatamente all’articolo 594 perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato, e l’annullamento con rinvio quanto al reato di percosse;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12/12/2011 il Tribunale di Milano confermava la sentenza di condanna alla pena di Euro 2.000,00 di multa emessa dal Giudice di Pace il 26/05/2010 nei confronti di (OMISSIS), per i reati di cui agli articoli 581, 594 e 595 c.p., per avere percosso (OMISSIS), colpendolo con il tacco di una scarpa al viso durante un’udienza di una causa civile in cui patrocinava l’ex marito dell’imputata, ed offeso l’onore, il decoro e la reputazione del medesimo, profferendo espressioni offensive, mostrando il dito medio e sputandogli addosso; in (OMISSIS).
2. Avverso tale provvedimento ricorre per cassazione personalmente (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi di ricorso, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione di legge in relazione agli articoli 594 e 595 c.p.: lamenta che la sentenza abbia affermato la responsabilita’ penale con riferimento sia al reato di ingiuria che di diffamazione, sebbene sussista incompatibilita’ tra le due fattispecie, in quanto l’ingiuria presuppone la presenza della persona offesa, la diffamazione l’assenza della stessa; deduce, di conseguenza, l’erroneita’ della determinazione della pena, che, pur non indicando il criterio di calcolo, ha fissato in Euro 2400,00 la pena base, derivante da un cumulo materiale tra i due reati contestati al capo B.
2.2. Vizio di motivazione: lamenta che la sentenza di appello, a differenza della sentenza di 1 grado, che aveva ritenuto piu’ grave il reato di cui al capo B (ingiuria e diffamazione), ha considerato piu’ grave il reato di percosse, tuttavia applicando una pena non prevista (Euro 2400,00), in quanto l’articolo 581 c.p. prevede la reclusione fino a 6 mesi o la multa fino al 309,00 Euro; pur escludendo il reato di diffamazione, la sentenza di appello non avrebbe ridotto proporzionalmente la pena inflitta, confermando la statuizione del 1 grado, non prevista da alcuna delle norme penali contestate; contraddittoria e’, altresi’, la concessione di una provvisionale, nonostante la quantificazione, in via definitiva, del risarcimento dei danni, nella somma di Euro 5.000,00; se il danno viene liquidato in via definitiva, e’ contraddittoria la concessione di una provvisionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con riferimento al reato di ingiuria, premesso che la sentenza impugnata ha precisato che “nonostante la contestazione ancipite, il tribunale ha ravvisato un solo reato, quello di cui all’articolo 594 c.p.”, assorbente appare il rilievo che il Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, articolo 1, comma 1, lettera a), (pubblicato sulla G.U. il 22/01/2016, e quindi entrato in vigore il 6 febbraio 2016) ha disposto la depenalizzazione del reato di cui all’articolo 594 c.p., per il quale la ricorrente e’ stata condannata dal Tribunale.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata agli effetti penali, limitatamente al reato di ingiuria, perche’ il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato.
In ordine alle statuizioni civili relative al reato di ingiuria, le Sezioni Unite di questa Corte, componendo un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato il principio secondo cui, in caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non e’ piu’ previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire “ex novo” nella sede naturale, per il risarcimento del danno e l’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile (Sez. U, n. 46688 del 29/09/2016, Schirru, Rv. 267884).
In ogni caso, non sussiste il reato di diffamazione, essendo state le offese pronunciate in presenza della persona offesa.
2. In ordine al residuo reato di percosse, il ricorso e’ infondato e va rigettato.
Invero, la pena base per il delitto di cui all’articolo 581 c.p. e’ stata individuata nella misura, prossima al massimo edittale in ragione della gravita’ del fatto, di Euro 2.400,00, in ossequio ai limiti edittali previsti, in caso di competenza del giudice di pace, dal Decreto Legislativo 274 del 2000, articolo 52, comma 2, lettera a), che prevede la multa da Euro 258,00 a 2.582,00.
La riduzione ad Euro 1.800,00 in virtu’ del riconoscimento delle attenuanti generiche non presenta alcun profilo di erroneita’, secondo quanto dedotto dalla ricorrente, per la quale la corretta determinazione della diminuzione avrebbe dovuto condurre ad un calcolo intermedio di Euro 1.600,00, in quanto la diminuzione di pena per le circostanze attenuanti e’ “fino ad un terzo”, non gia’ “di un terzo”; ne consegue che il giudice di merito non ha errato nel calcolo intermedio della diminuzione di pena, ma ha applicato le circostanze attenuanti generiche non nella massima estensione.
In ordine alla concessione della provvisionale, la doglianza e’ inammissibile, per difetto di interesse; invero, il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non e’ impugnabile per cassazione, in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 49016 del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054; Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Capelli, Rv. 186722), trattandosi inoltre di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, D. G., Rv. 263486).
3. All’annullamento della sentenza limitatamente al reato di ingiuria consegue l’eliminazione dell’aumento di Euro 200,00 operato per la fattispecie di cui all’articolo 594 c.p. e la rideterminazione della pena per il residuo reato di percosse in Euro 1.800,00 di multa.
Va di conseguenza rideterminato in Euro 4.000,00, con il medesimo criterio equitativo adottato dai giudici di merito, anche l’importo del risarcimento del danno liquidato originariamente in Euro 5.000,00.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto all’addebito di diffamazione perche’ il fatto non sussiste, quanto all’addebito di ingiuria perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato.
Rigetta nel resto il ricorso e determina in Euro 1.800,00 di multa la pena residua per il reato di percosse e in Euro 4.000,00 l’importo della liquidazione del danno.
Motivazione semplificata
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