Nell’ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della ex compagna, l’attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore; pertanto, un’attività di riavvicinamento dell’imputato, ovvero di una pausa nell’attività “molestatrice”, non esclude la persistenza del reato contestato, ove tale attività, come nella fattispecie, riprenda
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
SENTENZA 16 novembre 2016, n. 48268
Ritenuto in fatto
1.Con sentenza in data 11.6.2015 la Corte d’appello di Potenza confermava la sentenza del Tribunale di Lagonegro dell’8.5.2013, con la quale D.P.G. era stato ritenuto responsabile dei delitti di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. nei confronti di I.N. e di calunnia, in danno sempre della I. , nonché del compagno P.S. – riqualificato il reato di diffamazione di cui al capo b) in ingiuria ex art. 594/2 c.p. ed assorbito lo stesso nell’ipotesi delittuosa di atti persecutori- ed era stato condannato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede e al pagamento in favore della parte civile, a titolo di provvisionale, della somma di Euro 10.000.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo dei suoi difensori, affidato a cinque motivi, con i quali lamenta:
– con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 178 lett. c) e art. 180 c.p.p., in relazione all’art. 606,primo comma, lett. c) e d) c.p.p., per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in ordine alla partecipazione dell’imputato al dibattimento e manifesta illogicità della motivazione, risultante dall’esame della certificazione medica in atti, atteso che la Corte di merito si è limitata a ritenere condivisibile la valutazione di insussistenza dell’impedimento assoluto a comparire dedotto dal ricorrente per l’udienza del 19.12.12, ‘mediante produzione di un certificato medico datato 17.12.12 contenente una diagnosi di cervicobrachialgia, in base a sintomi riferiti dallo stesso paziente’, laddove tale circostanza non corrisponde a quanto risultante dalla documentazione prodotta al Tribunale di Lagonegro, in uno alla certificazione del pronto soccorso dell’ospedale (omissis) ; invero, dal certificato della A.S.P. […], distretto di […] del […], struttura pubblica, emergeva che il ricorrente necessitava di riposo assoluto, evitando gli spostamenti anche brevi per cinque giorni, così come confermato dalla certificazione del medico curante dott. V.G. del giorno successivo; pertanto, il dedotto impedimento andava considerato assoluto ed ingiustificato il rigetto dell’istanza di rinvio; inoltre deve ritenersi illogica la motivazione della Corte di merito, nella misura in cui ha attestato che la diagnosi in esame fosse basata su sintomi riferiti dal paziente;
– con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. d) ed e) c.p.p., in relazione agli artt. 192 c.p.p. e 612 bis c.p., per omessa valutazione delle risultanze probatorie a discarico; invero, la Corte di Appello ha ricostruito la vicenda in esame, attestandosi sul giudizio di credibilità della parte lesa ed omettendo così di valutare gli elementi testimoniali offerti dalle deposizione di pressoché tutti i testi a difesa, al punto di escludere anche la deposizione di tale R.B. , solo perché ‘emigrato’, giusta ordinanza di revoca della prova del 18.4.2013, e non ha operato riferimento alcuno al contributo offerto dal Commissario D’. , dal vice Commissario F. , dai tre familiari dell’imputato (padre, madre e sorella), dai marescialli dei C.C. C. , S. , D.G. e dal capitano Sa. , nonché dei testi Si.Gi. , Pa.Do. , B.C. e del dott. Da. ; la I. , in particolare, ha ammesso di aver ricontattato il D.S. nel gennaio 2009, fornendogli il proprio numero di cellulare e telefonandogli più volte, nel gennaio e nel febbraio, anche in orario notturno; la circostanza è stata oggetto di accertamenti di P.G., avendo il capitano Sa. riferito che ‘è accertato che dal gennaio al (OMISSIS) è solo I.N. che contatta D.P. con conversazione a volte anche superiori ad un’ora’; nel corso del dibattimento di primo grado, è emerso che il D. , nel corso degli anni 2007-2008, non si era fatto più sentire, tanto è vero che la stessa parte lesa aveva contestualmente intrapreso una relazione con P.S. ; le suddette circostanze risultano riscontrate dalla nota di P.G. del 2/11/2010, pure acquisita in atti, con la quale è stato evidenziato che, dall’esame dei tabulati telefonici si evince che dal 25.1.09 al 28.02.09 è stata la sola I. a contattare il D. ; da tali elementi si ricava l’insussistenza del delitto ex art. 612 bis c.p., quantomeno fino a fine 2008, inizi del 2009, laddove la Corte d’Appello di Potenza non ha operato nessuna valutazione di tale materiale probatorio e si è, pertanto, limitata a ‘condividere’ quanto ritenuto dal primo giudice;
– con il terzo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 612 bis c.p., per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza del reato in questione per i fatti commessi in data anteriore al […], ossia all’entrata in vigore del D.L. 23/2/09 n. 11, evidenziando che il delitto di atti persecutori è configurabile qualora la condotta prosegua dopo tale data e si accerti la connessione reiterata di atti di aggressione e molestia idonei a prostrare la parte lesa in uno stato costante di ansia e paura; nel presente caso, al contrario, le condotte poste in essere dall’appellante non rivestono autonoma valenza criminosa, in quanto gli episodi inquadrabili negli schemi normativi della minaccia, dell’ingiuria e/o della diffamazione, astrattamente configurabili, in concreto non hanno costituito reato, dal momento che, rispetto a tali ipotesi criminose, rileva la palese tardività della querela sporta dalla denunciante: le denunce-querele presentate dalla parte lesa risalgono, la prima, al […] e la seconda all’[…], vale a dire oltre il termine di 3 mesi dal febbraio 2009; per quanto riguarda le molestie, in sentenza si dà atto, per il periodo antecedente il 2009, soltanto di 4 mail datate 3-5-6 febbraio 2009, che, oltre a non avere in sé alcun contenuto molesto, non appaiono integrare alcun reato in relazione a quanto statuito dalla sentenza della S.C. n. 24610 del 21/6/12 che ha escluso la riconducibilità delle e-mail tra i mezzi idonei a recare offesa ex art. 660 c.p. in ragione della liceità di cui la parte lesa può godere in merito alla possibilità di accedere o meno al contenuto di tale forma di comunicazione;
– con il quarto motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, primo comma, lett. b) ed e) c.p.p., in relazione al delitto di cui all’art. 368 c.p., avendo la Corte di Appello omesso qualsivoglia motivazione in relazione a tale reato;
– con il quinto motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma lett. e) c.p.p., in relazione all’art. 62 bis c.p., avendo la corte territoriale omesso la motivazione in relazione alla richiesta sviluppata in appello di concessione delle circostanze attenuanti generiche, con rideterminazione della pena, evidenziando in particolare il proprio stato di incensuratezza.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato, ai limiti dell’inammissibilità.
Il primo motivo di ricorso non merita accoglimento, atteso che risulta immune da censure la valutazione dei giudici di merito che hanno ritenuto insussistente l’impedimento assoluto dell’imputato a comparire all’udienza del 19.12.12, sulla base del certificato medico dell’Unità di Pronto Soccorso dell’Azienda Sanitaria Provinciale di (omissis) del […], contenente una diagnosi di cervicobrachialgia, che si indica in tale atto, ‘riferita dallo stesso imputato’, non attestante, dunque, l’impossibilità assoluta a presenziare all’udienza.
L’imputato sostiene che dalla ulteriore documentazione prodotta al Tribunale si evincerebbe tale impedimento assoluto, posto che dal certificato rilasciato sempre in data (omissis) dalla A.S.P. […], distretto di […], emerge che gli sarebbero stati prescritti cinque giorni di riposo assoluto, evitando la stazione eretta. Tale ulteriore certificazione, anch’essa proveniente da una struttura pubblica, tuttavia, risulta essere antecedente a quella indicata e considerata dai giudici di merito. Quest’ultima, infatti, è stata rilasciata dal Pronto Soccorso di (omissis) , all’atto della dimissione dell’imputato in data (omissis) alle ore 23.01, sicché essendo successiva, sebbene di qualche ora, a quella indicata dalla difesa è stata, di fatto, ritenuta dai giudici di merito, senza illogicità, come quella decisiva.
Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata considerazione delle testimonianze raccolte in merito alla vicenda in esame, dimostrative dell’inattendibilità della p.o. e, quindi, dell’insussistenza del reato di atti persecutori. Invero, le deduzioni svolte dall’imputato non appaiono in alcun modo in grado di incidere sugli elementi ampiamente e compiutamente messi in risalto nelle sentenze di merito, rappresentativi della responsabilità dell’imputato per il delitto di atti persecutori a lui ascritto, a partire dal 2006, anche in coincidenza con la cessazione del rapporto con la I. , e che si sono fondati, oltre che sulle dichiarazioni della p.o., ritenute pienamente attendibili, sull’attività di indagine della P.G. e sulle dichiarazioni dei testi escussi che hanno pienamente confermato gli assunti della vittima. Da tale compendio probatorio emerge, infatti, che l’imputato nel 2006 pose in essere nei confronti della I. , tra l’altro, attività di pedinamento confermata dal teste C. Simone, nonché di minaccia di diffusione dei cd, che ritraevano i due in atteggiamenti intimi, attività alla quale, poi, è seguito nel luglio 2006 il materiale recapito presso il luogo di lavoro della p.o. di filmati hard del tipo di quelli rinvenuti nel computer portatile dell’imputato, oggetto di sequestro; inoltre, il teste S.G. , che nel 2006 comandava la Stazione dei Carabinieri di (OMISSIS) , escusso come teste, ha riferito che nell’estate 2006 la I. si era portata più volte presso gli uffici dei carabinieri, per rappresentare la preoccupazione per la condotta dell’ex fidanzato D.P. ; a seguito dell’avvio da parte della I. della relazione con P.S. , nel 2009 l’attività persecutoria dell’imputato si materializzava, quindi, in continui contatti telefonici, oltre che in tutte le attività compiutamente descritte nelle sentenze di merito, attività queste anch’esse pienamente riscontrate.
2.1. In tale contesto, anche a voler considerare la circostanza segnalata dal ricorrente, circa un’attività di riavvicinamento della I. all’imputato, ovvero di una pausa nell’attività ‘molestatrice’ di quest’ultimo nel 2007-2008, ciò non esclude la persistenza del reato contestato, ove tale attività, come nella fattispecie, riprenda, avendo più volte questa Corte evidenziato come, nell’ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della ex compagna, l’attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore (Sez. 5, n. 5313 del 16/09/2014). Non può essere condivisa, inoltre, l’implicita prospettazione dell’imputato secondo cui dovrebbe essere separata l’attività posta in essere sino al 2008 – penalmente irrilevante -rispetto a quella successiva posto che per quanto si dirà innanzi la valutazione degli atti persecutori posti in essere nei confronti della I. va guardata nel suo complesso, partendo a ritroso dal giorno della presentazione della querela non costituendo l’asserita attività di riavvicinamento della vittima una cesura tra due attività illecite del D. per quanto detto.
Infondato si presenta, altresì, il terzo motivo di ricorso in merito alla rilevanza penale, ai sensi dell’art. 612 bis c.p., dei fatti antecedenti all’entrata in vigore di tale norma. Sul punto giova premettere innanzitutto che questa Corte ha più volte affermato il principio, secondo cui è configurabile il delitto di atti persecutori ex art. 612 bis c.p. nell’ipotesi in cui, pur essendo la condotta persecutoria iniziata in epoca anteriore all’entrata in vigore della norma incriminatrice, si accerti la commissione reiterata, anche dopo l’entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38, di atti di aggressione e di molestia, idonei a creare nella vittima lo ‘status’ di persona lesa nella propria libertà morale, in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura. (Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260410). Alla stregua di tale principio la Corte territoriale ha correttamente evidenziato come la sequenza di atti (consistenti, tra l’altro, nell’invio di numerosissimi messaggi anche facebook contenenti minacce di rendere note le immagini ritraenti la ragazza intenta nel compimento di atti sessuali a partire dal febbraio 2009, ovvero all’invio al nuovo fidanzato della p.o. di foto che la ritraevano mentre consumava un rapporto sessuale orale con l’ex fidanzato) si presenta pienamente ed autonomamente idonea ad integrare l’elemento oggettivo della fattispecie di atti persecutori, ovvero una condotta reiterata di minaccia e molestia, produttiva di un grave e perdurante stato di ansia nella parte offesa.
3.1. Infondata si presenta la deduzione dell’irrilevanza dei comportamenti posti in essere dall’imputato prima dell’entrata in vigore dell’art. 612 bis c.p., non risultando proposta la querela nel termine di tre mesi per i fatti inquadrabili negli schemi normativi della minaccia, dell’ingiuria e/o della diffamazione, astrattamente configurabili. Ed invero, come già evidenziato da questa Corte (Sez. 5, del 10.09.2014 n 37448) il comportamento ‘persecutorio’ va valutato nella sua articolazione complessiva, sicché comportamenti che in sé potrebbero non essere punibili si presentano, comunque, rilevanti al fine di integrare il reato di cui all’art. 612 bis c.p.
In tale contesto, pertanto, si presenta irrilevante la proposizione o meno – per comportamenti integranti pure condotte tipizzate – di apposita querela, rilevando, come detto, il comportamento complessivamente persecutorio dell’imputato per il quale vale il termine di presentazione della querela di sei mesi, ai sensi del quarto comma dell’art. 612 bis c.p. Inoltre, il carattere del delitto di atti persecutori, quale reato abituale a reiterazione necessaria delle condotte, rileva anche ai fini della procedibilità, con la conseguenza che, nell’ipotesi in cui il presupposto della reiterazione venga integrato da condotte poste in essere oltre i sei mesi previsti dalla norma rispetto alla prima o alle precedenti condotte, la querela estende la sua efficacia anche a tali pregresse condotte, indipendentemente dal decorso del termine di sei mesi per la sua proposizione, previsto dal quarto comma dell’art. 612 bis cod. pen. (Sez. 5, n. 20065 del 22/12/2014).
Manifestamente infondato si presenta il quarto motivo di ricorso in merito al reato di calunnia ascritto all’imputato. Ed invero, la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni di configurabilità del reato in questione nei confronti dell’imputato, laddove le deduzioni dell’imputato si presentano del tutto generiche, siccome disancorate da quanto evidenziato nella sentenza impugnata.
In merito, poi, alla mancata concessione delle attenuanti generiche, oggetto del quinto motivo di ricorso, è sufficiente evidenziare come già il giudice di primo grado aveva messo in risalto come la condotta dell’imputato fosse stata particolarmente odiosa, dimostrativa di una pervicacia criminale spiccata. In ogni caso, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Cassazione penale, sez. III, 27/01/2012, n. 19639), che nella fattispecie in esame all’evidenza non sono stati ravvisati.
Il ricorso va, dunque, respinto ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge
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