Corte di Cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione unite

sentenza 22 settembre 2014, n. 19888

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f.
Dott. ADAMO Mario – Presidente di Sez.
Dott. RORDORF Renato – Presidente di Sez.
Dott. BERNABAI Renato – Consigliere
Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere
Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso 10052-2007 proposto da:

(OMISSIS) E GIORGIO (OMISSIS)MARZADRO GIOVANNI(OMISSIS) (OMISSIS) in proprio, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’Avvocato (OMISSIS), per delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’Avvocato (OMISSIS), per delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/01/2007.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/07/2014 dal Consigliere Dott. ALBERTO GIUSTI;

uditi gli Avvocati (OMISSIS), per delega dell’Avvocato (OMISSIS), e (OMISSIS);

udito il P.M., in persona dell’Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del primo motivo del ricorso, rimessione alla sezione semplice.

RITENUTO IN FATTO
1. – Con atto di citazione notificato in data 21 dicembre 1994, l’ (OMISSIS) s.n.c. nonche’, in proprio, i soci (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano opposizione innanzi al tribunale di Sondrio avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 28 novembre 1994 dal presidente di quell’ufficio, avente ad oggetto il prezzo (lire 59.500.000) di vendita di un autocarro, l’avvenuto pagamento del quale gli opponenti affermavano comprovato dalla quietanza contenuta nella “dichiarazione verbale di vendita di autoveicolo”, resa dal legale rappresentante della venditrice (OMISSIS) s.r.l., con firma autenticata da notaio.
Il tribunale di Sondrio, con sentenza in data 9 febbraio 2001, accoglieva l’opposizione e revocava il provvedimento monitorio, giudicando inammissibile, ai sensi degli articoli 1324, 2722 e 2726 cod. civ., la prova testimoniale richiesta dall’alienante per dimostrare che, in realta’, il quietanzato prezzo non era stato pagato.
2. – Ritenuto il divieto ex articolo 2722 cod. civ. non applicabile alla quietanza ed assunta la prova testimoniale offerta dalla (OMISSIS) s.r.l., la corte di appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 17 gennaio 2007, ne ha accolto il gravame e ha riformato la decisione di primo grado e confermato il decreto ingiuntivo, ponendo a carico degli opponenti le spese del doppio grado di giudizio.
In particolare, per quanto qui ancora rileva, la corte d’appello ha sottolineato: che la teste escussa, dipendente della societa’ appellante con mansioni amministrative nell’ufficio contabilita’, ha riferito che la fattura emessa dalla (OMISSIS) non e’ stata pagata, nonostante i solleciti effettuati; che la parte acquirente non ha prodotto la documentazione bancaria inerente alle modalita’ (bonifico o assegno diretto) con le quali vengono di norma versati importi rilevanti, come quello di cui e’ causa, e neppure ha specificato gli strumenti con i quali sarebbe avvenuto il saldo del debito per cui e’ causa; che gli atti e le certificazioni prodotti dalla societa’ appellata in seguito all’ordine di esibizione ex articolo 210 cod. proc. civ. del libro giornale non dimostrano in alcun modo che vi e’ stato il pagamento del prezzo. Il giudice del gravame e’ cosi’ pervenuto alla conclusione che la quietanza nella dichiarazione di vendita e’ stata rilasciata al solo scopo di velocizzare la pratica amministrativa inerente alla vendita dell’autocarro per cui e’ causa.
3. – Per la cassazione della sentenza della corte d’appello l’ (OMISSIS) in proprio hanno proposto ricorso, con atto notificato il 23 marzo 2007, sulla base di sette motivi.
Ha resistito, con controricorso, la (OMISSIS) s.r.l..
4. – La sezione seconda, assegnataria del ricorso, ne ha promosso, con ordinanza interlocutoria n. 17869 del 23 luglio 2013, la rimessione alle sezioni unite, attesa la particolare importanza della questione di massima delineata ne primo motivo, con cui – ponendosi il quesito se i divieto di prova testimoniale stabilito dall’articolo 2722 cod. civ. si estenda alla quietanza rilasciata dal venditore di autoveicolo nella dichiarazione verbale di vendita con sottoscrizione autenticata da notaio – si denuncia violazione ed errata applicazione degli articoli 1324, 2722 e 2726 cod. civ., per avere il giudice di appello ammesso la prova testimoniale in contrasto con il divieto sancito dall’articolo 2722 cod. civ..
Il primo presidente ha disposto l’assegnazione del ricorso alle sezioni unite.
E’ stata acquisita la relazione dell’ufficio del massimario.
Una memoria illustrativa e’ stata depositata, in prossimita’ dell’udienza delle sezioni unite, dalla controricorrente; i ricorrenti avevano prodotto una memoria in vista dell’udienza svoltasi il 7 marzo 2013 dinanzi alla seconda sezione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Le sezioni unite sono investite della questione di massima di particolare importanza, veicolata dal primo motivo di ricorso, se, in base al combinato disposto degli articoli 2726 e 2722 cod. civ., il divieto di prova testimoniale che quest’ultima disposizione pone con riguardo ai patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione e’ stata anteriore o contemporanea, si estenda alla quietanza rilasciata dal venditore di un autoveicolo nel contesto della dichiarazione unilaterale di vendita da lui firmata e debitamente autenticata.2. – Il quesito concerne il regime di stabilita’ e di vincolativita’ della quietanza, vale a dire di quella tipica dichiarazione di scienza diretta al solvens con funzione di prova documentale precostituita con la quale il creditore assevera il fatto dell’avvenuto pagamento (articolo 1199 cod. civ.).
3. – Posta di fronte all’interrogativo se ed in che limiti il rilascio della quietanza precluda al creditore di dimostrare che l’attestazione in essa contenuta non e’ veridica, questa Corte ha sviluppato un orientamento che, muovendo dalla premessa della natura sostanzialmente confessoria della quietanza, attribuisce alla dichiarazione scritta indirizzata al debitore efficacia di piena prova dei fatti dalla stessa attestati (ex articolo 2735 c.c., comma 1 e articolo 2733 c.c., comma 2), escludendo di conseguenza la possibilita’ per il creditore di contestarne la vincolativita’ per mancanza di veridicita’, ma ammettendone la “revoca” esclusivamente per errore di fatto o violenza, ai sensi dell’articolo 2732 cod. civ..
“La quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale di un fatto estintivo dell’obbligazione, secondo la previsione dell’articolo 2735 cod. civ.” (sez. 3, 10 marzo 2000, n. 2813): come tale, essa solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verita’ del fatto stesso, sempre che “sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti autore e destinatario di quella dichiarazione di scienza” (sez. 1, 28 gennaio 1986, n. 544; sez. 1, 1 marzo 2005, n. 4288). In questa prospettiva, il rilascio al debitore, da parte del creditore, della quietanza non determina una semplice inversione dell’onere della prova dell’avvenuto pagamento, perche’ al creditore che ha attestato il fatto del ricevuto pagamento, non e’ poi consentito di “eccepire che il pagamento non sia mai avvenuto, a meno che non alleghi e dimostri che la quietanza fu rilasciata per errore di fatto o violenza” (sez. 2, 31 ottobre 2008, n. 26325; sez. 2, 21 febbraio 2014, n. 4196). In altri termini, detta dichiarazione puo’ essere impugnata – analogamente a quanto avviene in base alla disciplina della “revoca” della confessione – soltanto se il creditore dimostra “non solo la non veridicita’ della dichiarazione, ma anche che la non rispondenza al vero di questa dipende o dall’erronea rappresentazione o percezione del fatto contestato, ovvero dalla coartazione della sua volonta’, e non gia’ invece dall’avere erroneamente confidato sull’avveramento di quanto dichiarato consapevolmente in modo non veritiero” (sez. 2, 3 giugno 1998, n. 5459).
3.1. – La giurisprudenza ha anche preso in esame i casi in cui la non veridicita’ della quietanza non corrisponde ad una determinazione unilaterale del creditore quietanzante, ma riflette una programmazione negoziale, vale a dire un accordo tra creditore e debitore volto a rendere ostensibile ai terzi l’attestazione dell’avvenuto pagamento, la cui non conformita’ alla realta’ e’ nota alle parti e da queste condivisa.
In tali ipotest, nelle quali la dichiarazione di ricevuto pagamento, scientemente non veridica, e’ frutto di un’intesa diretta a creare un’apparenza di solatio, questa Corte si e’ da tempo mostrata aperta all’ammissibilita’ della dimostrazione di un accordo simulatorio tra l’emittente di una quietanza “di favore” o “di comodo” e il destinatario della stessa, pervenendo a riconoscere che la simulazione della quietanza (“atto unilaterale recettizio contenente la confessione stragiudiziale del pagamento di una somma determinata”) “presuppone, ai sensi dell’articolo 1414 c.c., comma 2, un precedente o coevo accordo, tra il dichiarante ed il destinatario, diretto a porre in essere solo apparentemente il negozio confessorio” (sez. 2, 28 agosto 1993, n. 9135).
Fattasi strada l’idea di ricondurre entro l’alveo di applicazione della disciplina di cui agli articoli 1414 e ss. cod. civ. la quietanza meramente apparente, rilasciata dal creditore in assenza di pagamento ed in virtu’ di un accordo in tal senso con il debitore, ed escluso che in tal caso stano destinate a trovare applicazione le limitazioni alla “revoca” delle dichiarazioni confessorie contemplate dall’articolo 2732 cod. civ., l’elaborazione giurisprudenziale si e’ indirizzata lungo linee di soluzione non convergenti quanto ai limiti di prova dell’accordo simulatorio nel rapporto interno tra creditore quietanzante e debitore favorito (cfr., nel senso dell’ammissibilita’ delle prova testimoniale, sez. 2, 31 marzo 1988, n. 2716; per la soluzione della configurabilita’ del divieto della stessa, sez. 1, 28 luglio 1997, n. 7021).
Sul tema sono gia’ intervenute le sezioni unite (sentenza 13 maggio 2002, n. 6877), che hanno escluso la possibilita’ per il creditore quietanzante di ricorrere alla prova testimoniale per dimostrare la simulazione assoluta della quietanza. Le sezioni unite hanno ritenuto ostativo all’ammissione della prova per testi il disposto dell’articolo 2726 cod. civ., il quale – estendendo al pagamento il divieto, sancito dall’articolo 2722 c.c., di provare con testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale – preclude che con tale mezzo i-struttorio possa dimostrarsi l’esistenza di un accordo simulatorio concluso allo specifico fine di negare l’esistenza giuridica della quietanza, nei confronti della quale esso si configura come uno di quei patti, anteriori o contestuali al documento, che, appunto, il combinato disposto dei citati articoli 2722 e 2726 vieta di provare con testimoni in contrasto con la dichiarazione scritta di pagamento.
L’ordinanza interlocutoria di rimessione della questione di massima segnala che, nonostante l’intervento risolutore, la dialettica giurisprudenziale sui mezzi di prova della simulazione della quietanza ha continuato a riproporsi: all’indirizzo che, muovendo dalla lettura coordinata degli articoli 1417, 2722 e 2726 cod. civ., esclude, in continuita’ con le sezioni unite, l’ammissibilita’ della prova testimoniale della simulazione della quietanza, sul rilievo che l’accordo simulatorio concretizzerebbe un patto aggiunto o contrario al documento, la prova del quale necessita, per il creditore, di controdichiarazione scritta dal debitore (sez. 2, 22 febbraio 2006, n. 3921; sez. 2, 23 gennaio 2007, n. 1389; sez. 3, 8 giugno 2012, n. 9297), si contrappone altro orientamento, il quale, sulla premessa della riferibilita’ del divieto di prova testimoniale ex articolo 2722 cod. civ. al solo documento contrattuale, formato, cioe’, con l’intervento di entrambe le parti e racchiudente una convenzione, non ritiene operante il divieto dettato da tale disposizione in riferimento alla quietanza, che e’ una dichiarazione unilaterale (sez. 3, 20 marzo 2006, n. 6109, seguita da sez. 3, 7 marzo 2014, n. 5417).
4. – Le oscillazioni nelle soluzioni interpretative, da ultimo segnalate, sul tema di quali siano i mezzi di prova ammissibili al fine di contestare la dichiarazione assertiva contenuta nella quietanza, e dunque l’avvenuto pagamento, riguardano una figura di quietanza – con valenza e funzioni ulteriori rispetto al tipo – il cui tratto distintivo e’ caratterizzato dal fatto che alla dichiarazione unilaterale di scienza si affianca un’intesa finalizzata ad offrire una rappresentazione alterata del dato di realta’.
La presenza di un’intesa tra creditore e debitore diretta a creare una situazione apparente – quella dell’avvenuto pagamento – diversa da quella reale, mette fuori causa i limiti posti dall’articolo 2732 cod. civ. per il “ritiro” della dichiarazione di scienza, e richiama l’ipotesi, e con essa la disciplina, della simulazione. Le limitazioni normative alla possibilita’, per il creditore, di neutralizzare l’efficacia di prova legale della quietanza non operano nei casi di quietanza “di favore”, non sorretta da alcuna volonta’ di asseverare il fatto attestato.
Per ragioni di rilevanza della quaestio iuris in rapporto alla fattispecie, in questa sede e’ sufficiente richiamare il precedente di queste stesse sezioni unite e ripercorrere le ragioni giustificative della scelta interpretativa compiuta.
La soluzione ermeneutica offerta con la sentenza n. 6877 del 2002 e’ nel senso che il creditore quietanzante, per dimostrare l’oggettiva falsita’ ideologica della quietanza “di favore”, emessa contro la realta’ per accordo con il destinatario di quell’atto unilaterale, non puo’ ricorrere alla prova testimoniale, ma puo’ far valere la simulazione mediante la controdichiarazione scritta dal debitore. In altri termini, il creditore, autore della quietanza “di favore”, rilasciata nella piena consapevolezza della sua non rispondenza al vero in attuazione di un accordo simulatorio con il debitore, e’ ammesso a contestare la contra se pronuntiatio asseverativa del ricevimento del pagamento contenuta nella quietanza, e a neutralizzarne la vincolativita’ e l’efficacia di prova legale, nei limiti di mezzo rivenienti dagli articoli 1417, 2722 e 2726 cod. civ., quindi, di regola, non mediante testimoni, ma attraverso (a produzione della controdichiarazione scritta, ferma restando l’ammissibilita’ della prova testimoniale, oltre che nelle ipotesi previste dall’articolo 2724 cod. civ., quando questa sia diretta a consentire un recupero di legalita’ per il tramite dell’emersione della illiceita’ dell’intesa simulatoria sottesa al rilascio della quietanza ideologicamente falsa.
Questo principio si fonda sul rilievo che nella quietanza “di favore” l’oggetto della prova e’ costituito dall’accordo simulatorio sotteso all’emissione della quietanza: e poiche’ l’articolo 2726 cod. civ. estende al pagamento, di cui la quietanza rappresenta la prova documentale, la disciplina dell’ammissibilita’ della prova testimoniale dettata per i contratti, la dimostrazione di quell’accordo, che si configura come un patto (anteriore o contemporaneo) aggiunto e contrario all’atto apparente, puo’ essere data dalle parti con la produzione in giudizio del documento che lo racchiude e non con deposizioni testimoniali, stante l’espresso divieto sancito dall’articolo 2722 cod. civ., con le eccezioni di cui all’articolo 2724 cod. civ..
5. – Come anticipato nel precedente paragrafo, il caso sul quale si innesta la questione rimessa all’intervento chiarificatore delle sezioni unite non e’ inquadrabile nell’ambito della figura della quietanza “di comodo” o “di favore” (diversamente dalla fattispecie scrutinata da queste stesse sezioni unite con la citata sentenza n. 6877 del 2002, nella quale le parti avevano, d’accordo tra loro, stabilito di attestare l’avvenuto pagamento con il rilascio della relativa quietanza al solo fine di consentire all’acquirente di ottenere un finanziamento regionale prima ancora del pagamento effettivo del prezzo di vendita di un autobus).
Qui il creditore quietanzante non allega che tra lui ed il debitore e’ intervenuta un’intesa simulatoria e che questa e’ sottesa al rilascio della dichiarazione, scientemente falsa, di ricevuto pagamento. Non c’e’ alcun accordo con il debitore volto a creare un’apparenza di solutio. Il creditore contesta la veridicita’ della attestazione contenuta nella quietanza sostenendo di non avere in realta’ voluto rilasciare alcuna certificazione di pagamento, ma di avere semplicemente omesso di depennare la dicitura “quietanzato” contenuta, dopo le parole “per il prezzo”, nel modulo prestampato della dichiarazione unilaterale di vendita dell’autocarro da lui sottoscritta.
6. – Per risolvere la questione devoluta alle sezioni unite nei limiti in cui essa e’ rilevante, occorre ricordare che l’orientamento consolidato di questa Corte – esposto retro sub 3 – assegna alla quietanza, nel suo contenuto tipico di dichiarazione di scienza con la quale il creditore attesta al debitore di avere ricevuto il pagamento, natura assimilabile alla confessione stragiudiziale: quando e’ indirizzata al solvens o ad un suo rappresentante, essa ha efficacia di piena prova ed il creditore non e’ ammesso a fornire la prova contraria di quanto in essa certificato, salva l’ipotesi della sua invalidazione per violenza (che impedisce la volontarieta’ della dichiarazione) o per errore di fatto (ossia di quietanza rilasciata nella convinzione che la dichiarazione rispondesse al vero).
Una parte della dottrina variamente contesta questa soluzione e la premessa, che ne e’ alla base, di inquadramento della quietanza nello schema della confessione stragiudiziale: per un verso sottolineando che la nozione della confessione quale occasionale e spontanea ammissione di un fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte non troverebbe rispondenza nella quietanza, che e’ una dichiarazione obbligatoria mediante la quale il creditore deve certificare il fatto della prestazione ricevuta in attuazione del suo diritto; per altro verso precisando che chi rilascia la quietanza non “confessa” alcunche’ ma esprime un fatto di conoscenza circa l’avvenuto pagamento con riferimento a quel titolo di debito; talvolta prospettando l’inclusione della quietanza nel novero delle dichiarazioni ricognitive secondo il modello dell’alt. 1988 cod. civ., con la conseguenza di non precludere la dimostrazione che quanto in essa asseverato non risponde a verita’, ma di dispensare il debitore dall’onere di provare il fatto estintivo la cui esistenza si presume fino a prova contraria e di addossare al creditore l’onere di provare che il fatto, cosi’ come dichiarato, non risponde al vero; talaltra, ancora, considerando la quietanza produttiva di effetti solo nel presupposto che il pagamento sia stato effettuato, sicche’, una volta che il pagamento non sia stato effettuato, il creditore sarebbe legittimato ad impugnare la dichiarazione per causa di mancata presupposizione.
I rilievi della dottrina colgono nel segno quando evidenziano che la quietanza, quale autonomo mezzo di prova documentale, non e’ tout court identificabile con la confessione stragiudiziale. Infatti, la quietanza e’, in primo luogo, un atto dovuto ed il suo rilascio da parte del creditore accipiens e’ configurato come un diritto del solvens (il creditore deve, a richiesta e a spese del debitore, rilasciare a quest’ultimo la quietanza, nella quale da atto di quanto ricevuto, a fronte dell’interesse del debitore, tutelato dal riconoscimento del diritto alla quietanza, di precostituirsi una prova documentale dell’adempimento), laddove la confessione e’ libera e spontanea e non e’ inquadrarle nell’ambito di un rapporto giuridico. Inoltre, mentre la confessione puo’ riguardare fatti di ogni genere, purche’ sfavorevoli alla parte che la pone in essere, caratteristica della quietanza e’ di avere un contenuto tipico e predeterminato dall’oggetto del rapporto fondamentale. A cio’ aggiungasi che la dichiarazione di quietanza riceve dal codice una disciplina che in parte si discosta da quella prevista per la confessione: ai sensi dell’articolo 2704 c.c., comma 3, per l’accertamento della data nella quietanza il giudice, tenuto conto delle circostanze, puo’ ammettere qualsiasi mezzo di prova, laddove per la confessione stragiudiziale esistono limiti alla possibilita’ dr provarla (“La confessione stragiudiziale non puo’ provarsi per testimoni, se verte su un oggetto per il quale la prova testimoniale non e’ ammessa dalla legge”: articolo 2735 c.c., comma 2).
Nondimeno, quando la giurisprudenza di questa Corte configura la quietanza come un atto unilaterale assimilabile alla confessione stragiudiziale, non intende pervenire ad una piena sovrapposizione dei due istituiti o ad inquadramento unificante che trascuri i tratti distintivi e qualificanti dell’uno e dell’altro; piuttosto, intende riconoscere, correttamente, che l’applicazione analogica degli articoli 2732 e 2735 cod. civ., in tema di regime di invalidazione e di efficacia di piena prova della dichiarazione resa, si giustifica in ragione della circostanza che la quietanza, al pari della confessione, reca l’asseverazione di un fatto a se’ sfavorevole e favorevole al solvens, e che le citate norme del codice sono espressive di un principio generale che completa la scarna disciplina di quel tipico atto giuridico in senso stretto che e’ la quietanza.
Del resto, si tratta di conclusione in linea con l’orientamento di queste sezioni unite espresso in relazione alla dichiarazione del coniuge non acquirente richiesta dall’articolo 179 c.c., u.c., per escludere l’immobile o il mobile registrato dalla comunione legale. Anche in quell’occasione si e’ infatti statuito (sentenza 28 ottobre 2009, n. 22755) che, quando la dichiarazione in ordine alla natura personale del bene dipende dall’acquisto dello stesso con il prezzo del trasferimento di beni personali del coniuge acquirente, l’intervento adesivo assume natura ricognitiva di presupposti di fatto gia’ esistenti, con la conseguenza che l’azione di accertamento negativo della natura personale del bene acquistato postula la “revoca” della confessione stragiudiziale, nei limiti in cui la stessa e’ ammessa dall’articolo 2732 cod. civ..
Ne deriva che la disciplina della “revoca” della confessione, seppure applicata per analogia, delimita i casi di invalidazione della quietanza. Al creditore quietanzante non e’ sufficiente, per superare la vincolativita’ della dichiarazione, provare di non avere ricevuto il pagamento, perche’ il modello di riferimento non e’ quello della relevatio ab onere probandi e dell’inversione dell’onere della prova che caratterizza le dichiarazioni ricognitive asseverative di diritti ex articolo 1988 cod. civ.. Il creditore e’ ammesso ad impugnare la quietanza non veridica soltanto attraverso la dimostrazione – con ogni mezzo – che il divario esistente tra realta’ e dichiarato e’ conseguenza di errore di fatto o di violenza. Fuori di questi casi, vale il principio di autoresponsabilita’, che vincola il quietanzante alla contra se pronuntiatio asseverativa del fatto dell’intervenuto pagamento, seppure non corrispondente al vero.
7. – Occorre, a questo punto, tornare nuovamente alla fattispecie, perche’ il principio enunciato sta con la presenza di una quietanza destinata, conformemente al tipo, alla persona del debitore (o a chi lo rappresenta) e cade con la mancanza di questo presupposto.
Il venditore (la societa’ (OMISSIS)) ha dato atto del ricevuto pagamento nella dichiarazione suppletiva di cui al Regio Decreto 29 luglio 1927, n. 1814, articolo 13 (Disposizioni di attuazione e transitorie del R.D.L. 15 marzo 1927, n. 436, concernente la disciplina dei contratti di compravendita degli autoveicoli e l’istituzione del pubblico registro automobilistico presso le sedi dell’Automobile club d’Italia), cioe’ nella dichiarazione unilaterale, firmata dal venditore e debitamente autenticata, la quale – ove il contratto sia stato in precedenza stipulato verbalmente – supplisce all’atto scritto ai fini della pubblicita’ automobilistica.
7.1. – A tale proposito va rammentato che la dichiarazione unilaterale di vendita autenticata, che non ha contenuto negoziale, e’ stata preordinata dalla legge unicamente come formalita’ necessaria, ove il contratto sia stato stipulato verbalmente, per ottenere l’annotazione dell’intervenuto passaggio di proprieta’ nel pubblico registro automobilistico (Corte cost., sentenza n. 73 del 1974). Gli autoveicoli, infatti, possono essere validamente alienati ed acquistati tra le parti, al pari degli altri beni mobili, con la semplice forma verbale, mentre l’atto scritto, richiesto soltanto ai fini delle iscrizioni e delle trascrizioni nel pubblico registro automobilistico, puo’ essere supplito da una dichiarazione unilaterale firmata dal venditore, debitamente autenticata (sez. 3, 16 febbraio 1965, n. 241; sez. 3, 27 ottobre 1966, n. 2655; sez. 3, 12 giugno 1997, n. 5270; sez. 3, 26 luglio 2004, n. 13991).
La giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 291 del 1992, cui ha fatto seguito la sentenza n. 42 de 1997) ha evidenziato che la regolamentazione attuale della pubblicita’ automobilistica e’ contrassegnata da un “intreccio inestricabile” tra aspetti privatistici e funzione pubblicistica. La normativa nasce “per la diffusione dell’autoveicolo a mezzo di vendite rateali o a credito”. L’istituzione del pubblico registro automobilistico e’ “una conseguenza imposta da finalita’ privatistiche di garanzia: prima fra tutte la necessita’ di annotare il diritto di garanzia (il cosiddetto privilegio automobilistico) sul bene trasferito all’acquirente ancora debitore del prezzo, o parte di esso, verso il venditore o il finanziatore dell’acquisto”. “Lo scopo di incentivare le vendite attraverso l’immediatezza del trasferimento e del godimento del bene postulava una garanzia assimilabile a quella ipotecaria e non a quella pignoratizia, certo piu’ idonea a tutelare il creditore, ma non anche (a causa del connaturato spossessamento del debitore) a incrementare le vendite rateali del bene”. L’originaria genesi privatistica della disciplina in ordine alla pubblicita’ automobilistica e’ divenuta, con il tempo, “un imprescindibile riferimento per l’attuale regolamentazione dell’intero settore”, poiche’ coinvolge una pluralita’ di aspetti (dalla sicurezza stradale, al regime della responsabilita’ civile da circolazione, ai controlli sulla limitazione della circolazione dei veicoli con finalita’ di tutela della salute, ai profili fiscali concernenti la circolazione degli autoveicoli), tutti facenti capo alla comoda possibilita’ di individuazione dell’intestatario dell’autoveicolo.
7.2. – Gli orientamenti della giurisprudenza, della Corte costituzionale e di questa Corte, consentono di comprendere la ratio della quietanza contenuta nella dichiarazione unilaterale di vendita dell’autoveicolo.
Essa e’ da ricercare nella previsione del R.D.L. 15 marzo 1927, n. 436, articolo 2 il quale prevede che a favore del venditore di autoveicoli, quando vengano adempiute le prescritte formalita’, spetta appunto un privilegio legale per il prezzo o per quella parte di prezzo che sia stato pattuito e che non sia stato corrisposto all’atto della vendita e per i relativi accessori, specificati nel contratto; e che lo stesso privilegio spetta, osservate le medesime formalita’, a chi abbia, nell’interesse del compratore, corrisposto la totalita’ o parte del prezzo dell’autoveicolo.
II conservatore del pubblico registro automobilistico, pertanto, e’ tenuto ad iscrivere il privilegio legale a favore del venditore o del sovventore del prezzo, a meno che dalla dichiarazione unilaterale di vendita, debitamente autenticata, non risulti che gli obblighi derivanti dal contratto verbale di vendita sono stati adempiuti (o che vi e’ stata rinunzia al privilegio da parte dell’alienante).
Tutto questo rivela, unitamente alla finalita’, la direzione soggettiva della attestazione di ricevuto pagamento contenuta nella dichiarazione unilaterale di vendita dell’autoveicolo. La quietanza, che nella sua forma tipica e’ atto rilasciato dal creditore al debitore, nella specie e’ contenuta nell’ambito di una dichiarazione suppletiva alla quale l’acquirente debitore non partecipa e che – ancorche’ debba poi essere materialmente consegnata a quest’ultimo ai sensi dell’articolo 1477 cod. civ., comma 3 (sez. 2, 15 settembre 2009, n. 19875) – e’ funzionalmente rivolta al conservatore del pubblico registro automobilistico, essendo diretta ad escludere che, in sede di annotazione del trasferimento di proprieta’, venga iscritto, e quindi sorga, il privilegio legale. Cio’ vale tanto piu’ in un caso, quale quello di specie, in cui, risalendo la dichiarazione unilaterale di vendita al 1 marzo 1993, non e’ applicabile, ratione temporis, la nuova disciplina dell’articolo 94 C.d.S. nel testo novellato dalla Legge 27 dicembre 1997, n. 449, articolo 17, comma 18, (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), il quale individua nella parte acquirente il soggetto obbligato a richiedere le formalita’ pubblicitarie conseguenti al trasferimento della proprieta’ dell’autoveicolo, laddove il testo iniziale della citata disposizione del codice della strada si riferiva alla “parte interessata” (cfr. sez. 3, 22 ottobre 2002, n. 14906).
Tale circostanza incide sull’efficacia della dichiarazione della dichiarazione di ricevuto pagamento, trattandosi – nella fattispecie all’esame di queste sezioni unite – di contra se pronuntiatio fatta, non al debitore (o a chi lo rappresenta), ma ad un terzo, ossia al conservatore del pubblico registro automobilistico, al quale e’ diretta, per escludere, in sede di formalita’ rivolte a dare pubblicita’ al trasferimento, che si debba procedere all’iscrizione del privilegio legale (cfr. sez. 2, 8 maggio 1969, n. 1564, in un caso nel quale la dichiarazione confessoria era contenuta in un atto destinato alla pubblica amministrazione, e analoga dichiarazione era stata fatta contestualmente dalla controparte avvantaggiata; sez. lav., 8 febbraio 2011, n. 3044, in fattispecie nella quale la dichiarazione, avente ad oggetto l’esistenza e la decorrenza del rapporto di lavoro e l’importo della relativa retribuzione, era stata rilasciata dal datore di lavoro al lavoratore per l’inoltro ad un istituto di credito ai fini di un finanziamento).
A siffatta quietanza risulta quindi applicabile – per le considerazioni espresse retro, sub 6 – la disciplina dettata dall’articolo 2735 per la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo. Essa costituisce una fonte di prova liberamente apprezzabile dal giudice: non ha, pertanto, valore privilegiato e non esclude la possibilita’ del ricorso ad ogni altro comune mezzo istruttorio (cfr. sez. 2, 6 agosto 1977, n. 2605; sez. 2, 9 settembre 1997, n. 8748; sez. 3, 14 dicembre 2001, n. 15849; sez. lav., 15 dicembre 2008, n. 29316). Mentre la confessione stragiudiziale fatta alla parte o chi la rappresenta ha la stessa efficacia di quella giudiziale, quella fatta ad un terzo e’ liberamente apprezzata dal giudice, con la conseguenza che non soggiace al solo mezzo della “revoca” disciplinato dall’articolo 2732 cod. civ. (sez. 2, 5 agosto 1983, n. 5269).
8. – Conclusivamente, a risoluzione della questione di massima di particolare importanza, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: “La dichiarazione di quietanza indirizzata al solvens ha efficacia di piena prova del fatto del ricevuto pagamento dalla stessa attestato, con la conseguenza che, se la quietanza viene prodotta in giudizio, il creditore quietanzante non puo’ essere ammesso a provare per testi il contrario, e cioe’ che il pagamento non e’ in effetti avvenuto, a meno che dimostri, in applicazione analogica della disciplina dettata per la confessione dall’articolo 2732 cod. civ., che la quietanza e’ stata rilasciata nella convinzione, fondata su errore di fatto, che la dichiarazione rispondesse al vero ovvero a seguito di violenza. Tale efficacia di piena prova della quietanza “tipica” non ricorre nel caso in cui l’asseverazione di ricevuto pagamento sia contenuta nella dichiarazione unilaterale di cui al Regio Decreto 29 luglio 1927, n. 1814, articolo 13, firmata dal venditore e debitamente autenticata, la quale, in caso di vendita di autoveicolo avvenuta verbalmente, supplisce all’atto scritto ai fini dell’annotazione nel pubblico registro automobilistico, e cio’ trattandosi di quietanza indirizzata ad un terzo, ossia al conservatore di quel registro, per escludere che, in sede di formalita’ rivolte a dare pubblicita’ al trasferimento, si debba procedere all’iscrizione del privilegio legale; con la conseguenza che essa e’, al pari della confessione stragiudiziale fatta ad un terzo, liberamente apprezzata dal giudice e non soggiace al solo mezzo della “revoca” di cui al citato articolo 2732 cod. civ.”.
9. – Il primo motivo di ricorso e’, pertanto, infondato, avendo la corte d’appello correttamente ammesso la prova testimoniale in un caso nel quale la quietanza e’ priva di efficacia pienprobante.
10. – Il secondo mezzo denuncia violazione ed errata applicazione degli articoli 244 e 345 cod. proc. civ., per avere il giudice di appello ammesso la testimonianza su circostanze gia’ dedotte in primo grado, ma distinte in capitoli solo nell’atto di gravame, in contrasto con il principio di unicita’ della prova.
Analoga censura e’ prospettata, sotto il profilo del vizio di omessa motivazione, con il terzo motivo.
10.1. – Occorre preliminarmente rilevare che, con ordinanza collegiale in data 26 febbraio 1997, il tribunale di Sondrio, accogliendo il reclamo dell’ (OMISSIS) avverso l’ordinanza del giudice istruttore di ammissione della prova testimoniale richiesta dalla opposta (OMISSIS), aveva negato ingresso alla prova testimoniale – “peraltro inammissibile in quanto in contrasto con il disposto di cui all’articolo 244 c.p.c., comma 1, (mancata indicazione dei fatti formulati in articoli separati)” – “in quanto, in contrasto con gli articoli 2726 e 2722 cod. civ., avente ad oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di documento (dichiarazione verbale di vendita di autoveicolo …) per i quali si alleghi che la stipulazione e’ stata anteriore o contemporanea”.
Tanto premesso, l’uno e l’altro motivo sono infondati.
Trova applicazione il principio – costante nella giurisprudenza di questa Corte (sez. 2, 13 maggio 1993, n. 5458; sez. 1, 7 febbraio 2001, n. 1719) – secondo cui i requisito della novita’ al quale e’ condizionata, a norma dell’articolo 345 c.p.c., comma 2, (nel testo, ratione temporis applicabile, anteriore alla Legge 26 novembre 1990, n. 353), l’ammissione dei mezzi di prova in appello, non osta a che la prova testimoniale, dichiarata inammissibile per genericita’ nel giudizio di primo grado, possa essere riproposta in secondo grado mediante la deduzione di capitoli dettagliatamente articolati, dal momento che il potere conferito al giudice di consentire in primo grado l’integrazione della prova testimoniale dedotta in modo incompleto comporta, a fortiori, la possibilita’ per la stessa parte, non incorsa in alcuna decadenza, di farlo spontaneamente in appello.
Ne’ e’ configurabile il lamentato contrasto con il principio di unicita’ della prova.
L’infrazionabilita’ o contestualita’ della prova, essendo finalizzata a garantire l’immediatezza e la genuinita’ della stessa, interviene solo quando una prova testimoniale sia gia’ stata espletata in primo grado, si’ da escludere che possa ammettersene, in appello, un’ulteriore frazione sulle stesse circostanze o su circostanze integrative (sez. 2, 31 agosto 2005, n. 17567; sez. 3, 20 settembre 2006, n. 20327); laddove nella specie in primo grado nessuna prova testimoniale e’ stata espletata, avendo il tribunale, in sede di reclamo, dichiarato inammissibile la prova cui il giudice istruttore aveva dato ingresso.
11. – Il quarto motivo denuncia violazione ed errata applicazione dell’articolo 345 c.p.c., comma 2 e articolo 92 cod. proc. civ., nonche’ vizio di motivazione, per avere il giudice di appello condannato gli odierni ricorrenti al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di merito, nonostante la prova orale avesse potuto essere dedotta sin dal primo grado.
11.1. – La censura e’ priva di fondamento, perche’ il giudizio sull’opportunita’ di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, a norma del combinato disposto dell’articolo 92 c.p.c. e articolo 345 c.p.c., comma 2, (nel testo previgente), rientra nel potere discrezionale del giudice di merito ed esula dal sindacato di legittimita’, ove non sia violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (sez. 3, 2 agosto 2002, n. 11537; sez. 1, 1 febbraio 2007, n. 2212).
12. – Con il quinto motivo si lamenta “insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio (sussistenza di prassi commerciale in materia di vendita di veicoli)”.
Il sesto motivo censura “illogica ed insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio (rapporto tra (OMISSIS), Impresa (OMISSIS) e (OMISSIS) s.p.a. e rilevanza ex articolo 2710 cod. civ. dell’estratto notarile prodotto in appello dall’Impresa (OMISSIS))”.
Con il settimo mezzo ci si duole della “illogica ed insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio (credibilita’ della testimonianza della signora (OMISSIS))”.
12.1. – Tutti e tre i motivi – afferenti a pretesi vizi della motivazione della sentenza impugnata – sono inammissibili.
Nella specie risulta applicabile il disposto dell’ora abrogato articolo 366-bis cod. proc. civ., ma i motivi sono del tutto carenti di un momento di sintesi, omologo al quesito di diritto, che valga a circoscrivere puntualmente i limiti delle censure proposte a norma dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (sez. un., 18 ottobre 2012, n. 17838).
13. – Il ricorso e’ rigettato.
La complessita’ della questione veicolata con il primo motivo giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti e spese del giudizio di cassazione.

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