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Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria
sentenza 22 gennaio 2014, n. 1243

 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. MELONI Marina – Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16219-2007 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 40/2006 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata l’11/04/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/10/2013 dal Consigliere Dott. MARINA MELONI;
udito per il ricorrente l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta e chiede l’accoglimento;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Sepe Ennio Attilio che ha concluso in via principale inammissibilita’, nel merito accoglimento del ricorso.
 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La societa’ (OMISSIS) in liquidazione chiedeva il rimborso per l’anno 1997 dell’IVA assolta per l’importo di lire 110.000.000, ex Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 30, comma 3, lettera a).
L’Ufficio prima erogava il rimborso e successivamente sanzionava la contribuente per indebita fruizione del rimborso non spettante, intimando con successiva cartella notificata il 13/12/2003 il pagamento della somma di euro 13.032,27 a titolo di interessi legali maturati sul rimborso IVA 1997 indebitamente percepito.
Avverso la cartella di pagamento, la societa’ contribuente presentava ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano asserendo che gli interessi pur non dovuti, dovevano comunque essere calcolati sulla minor somma di euro 70.832.000 pari alla differenza tra il rimborso di lire 110.000.000 erroneamente richiesto e quello di lire 39.168.000 effettivamente spettante.
La CTP di Milano accoglieva l’impugnazione con sentenza successivamente appellata dall’Agenzia delle Entrate e confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Lombardia ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate con due motivi.
La societa’ contribuente non ha spiegato difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 19 comma 3, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 perche’ i giudici di appello hanno ritenuto ammissibile il ricorso sebbene lo stesso fosse incentrato su censure riferibili all’atto di irrogazione delle sanzioni per l’indebita fruizione del rimborso IVA non spettante e non invece sulla cartella di pagamento oggetto del presente giudizio relativa al pagamento degli interessi legali.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione della Legge n. 289 del 2002, articolo 9 e articolo 15, comma 3 bis in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 perche’ i giudici di appello hanno ritenuto che la controversia fosse stata definita a seguito di condono tombale di cui alla Legge n. 289 del 2002, articolo 9 e articolo 15, comma 3 bis, mentre tale definizione riguarda solo l’atto di irrogazione delle sanzioni e non quello relativo agli interessi.
Il primo motivo e’ inammissibile per difetto di autosufficienza. Infatti (Sez. 5, Sentenza n. 11987 del 31/05/2011) “In tema di contenzioso tributario, qualora l’Amministrazione intenda censurare, con ricorso per cassazione, la sentenza della Commissione tributaria regionale di rigetto del ricorso avverso la sentenza di primo grado che, annullando un avviso di accertamento con cui si era proceduto al recupero a tassazione di alcuni costi ritenuti dall’Ufficio fittizi ed indicati nel verbale della Guardia di finanza come privi del requisito dell’inerenza, ha riconosciuto la deducibilita’ dei costi medesimi, deve indicare – pena l’inammissibilita’ del ricorso, per difetto del requisito di autosufficienza, gli elementi indispensabili per la esatta conoscenza dei costi in contestazione, precisando, altresi’, la loro natura e cioe’ se si tratti di costi non inerenti oppure fittizi“.
Risulta invece fondato e deve essere accolto il secondo motivo di ricorso.
Infatti, come correttamente affermato dalla ricorrente il condono tombale di cui alla Legge n. 289 del 2002, articolo 9 e articolo 15, comma 3 bis riguarda solo l’atto di irrogazione delle sanzioni e non quello relativo agli interessi che pertanto potevano legittimamente essere richiesti dall’Amministrazione, cosi’ come analogamente statuito da questa Corte in occasione del condono di cui al Decreto Legge n. 83 del 1991, articolo 8, comma 2, (vedi Sez. 5, Sentenza n. 16419 del 18/06/2008) “In tema di condono fiscale, il Decreto Legge 16 marzo 1991, n. 83, articolo 8, comma 2, convertito con modificazioni dalla Legge 15 maggio 1991, n. 154, nell’escludere l’applicabilita’ delle sanzioni amministrative previste dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 44, e dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, articolo 92, ai contribuenti ed ai sostituti d’imposta che hanno provveduto al pagamento delle imposte o ritenute entro il 31 dicembre 1988, non fa cenno agli interessi che, pertanto, sono dovuti. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza della commissione tributaria regionale che disponeva, per effetto dell’intervenuto condono ex articolo 8 richiamato, il rimborso degli interessi)” (sul punto anche 13505/2012 ed 8110/2012).
Ritiene quindi la Corte che gli interessi legali relativi alla somma dovuta, in presenza di definizione della controversia per condono, non siano ricompresi nell’ambito della domanda di condono e pertanto debba essere riformata la sentenza dei giudici di appello.
Per quanto sopra il ricorso deve essere accolto in ordine al secondo motivo mentre deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo, cassata la sentenza impugnata. La sentenza deve essere cassata senza rinvio e la causa puo’ essere decisa nel merito ex articolo 384 c.p.c. non richiedendo ulteriori accertamenti in punto di fatto, con rigetto del ricorso introduttivo.
Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito, stante l’evolversi della vicenda processuale, mentre le spese del giudizio di legittimita’ vanno poste a carico della societa’ contribuente.
 
P.Q.M.
Accoglie il ricorso in relazione al secondo motivo e dichiara inammissibile il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo.
Condanna la Agenzia al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in euro 5.500,00 complessivamente e compensa le spese dei gradi del giudizio di merito.

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