Cassazione 12

Suprema Corte di Cassazione

sezione tributaria

sentenza 15 gennaio 2016, n. 573

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12297/2010 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, Che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS) del Foro di (OMISSIS) ed elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 9/4/2009, depositata il 23/03/2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2015 da Relatore Cons. Iannello Emilio;

udito l’Avvocato dello Stato (OMISSIS) per la ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 9/4/2009, depositata il 23/3/2009, la Commissione tributaria regionale della Puglia, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto a (OMISSIS), avvocato, il diritto al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 2000-2003.

In motivazione la C.T.R. ha rilevato che:

“Il contribuente e’ avvocato che svolge una attivita’ autonoma e, dai dati indicati nei Modelli Unico, relativi agli anni dal 2000 al 2004, e non contestati dall’Ufficio, si ricava che t’appellato: a) ha sostenuto costi per personale dipendente solo nell’anno 2003 e per un ammontare complessivo di euro 1.728,00; b) non ha sostenuto costi per collaborazioni di terzi nell’anno 2000, ha sostenuto costi per collaborazioni di terzi nel 2001 per complessive lire 2.885.000, nel 2002 per complessivi euro 976,00 e nel 2003 per complessivi euro 2.549,00; c) per il periodo 2000 ha dichiarato ammortamenti per lire 7.062.000; per il periodo 2001 ha dichiarato ammortamenti per lire 10.069.000; per il periodo 2002 ha dichiarato ammortamenti per euro 8.136,00 e per l’anno 2003 ha dichiarato ammortamenti per euro 7.135,00.

“La sporadicita’ ed esiguita’ delle spese sostenute per lavoro dipendente e per collaborazioni di terzi e l’esiguita’ degli ammortamenti dei beni strumentali, oltre alla esiguita’ di tutte le altre spese sostenute, fanno ritenere che l’appellato, negli anni in contestazione, abbia esercitato la propria attivita’ professionale senza organizzazione di capitali o lavoro altrui””.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di un motivo, cui resiste il contribuente depositando controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Con l’unico di ricorso l’Agenzia delle entrate, formulando conferente quesito di diritto, deduce violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articoli 2 e 3, e del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 49 (53), in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.

Rileva che la regula iuris applicata dalla Corte di merito contrasta con l’indirizzo della giurisprudenza della Corte di legittimita’ secondo cui sussiste il requisito dell’autonoma organizzazione allorche’ il professionista “si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui”.

Sostiene che pertanto nella specie “Il giudice di merito ha errato nel ritenere inesistente il requisito dell’autonoma organizzazione imprenditoriale del ricorrente, quantomeno per l’annualita’ 2003, essendosi avvalso di un dipendente e della collaborazione continuativa di terzi nelle altre annualita’”.

4. Il ricorso e’ infondato.

Il Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 2, prevede quale presupposto per l’applicazione dell’IRAP “l’esercizio abituale di una attivita’ autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”. La Corte costituzionale, con sentenza n. 156 de 21 maggio 2001, ha ritenuto legittima l’imposta in quanto non colpisce il lavoro autonomo in se’, ma la capacita’ produttiva che deriva dalla “autonoma organizzazione”, non coincidente con l’autorganizzazione ma intesa come elemento impersonate ed aggiuntivo rispetto all’apporto del professionista.

Alla luce di tale intervento nella giurisprudenza di questa Corte si e’ consolidato il principio – dal quale il Collegio non ha motivo di discostarsi -secondo cui il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilita’ ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivita’ in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (v. ex pluribus Cass. Civ., Sez. U, n. 12111 del 26/05/2009, Rv. 608231; Sez. 5, n. 16406 de 05/08/2015, non massimata; Sez. 5, n. 25311 del 28/11/2014, Rv. 633690).

E’ stato altresi’ precisato e va qui ribadito che in generale, e’ soggetto passivo dell’imposta chi si avvalga, nell’esercizio dell’attivita’ di’ lavoro autonomo, di una struttura organizzata in un complesso di fattori che per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attivita’ intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al suo know-how, con (a conseguenza che puo’ essere escluso il presupposto di imposta quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nella autorganizzazione del professionista o, comunque, quando l’organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessita’ di coordinamento (Cass. civ., Sez. 5, n. 30753 del 30/12/2011, Rv. 621039; Sez. 5, n. 13326 del 29/05/2013, non massimata).

Nel caso di specie, il giudice a quo ha fatto buon governo di tali principi escludendo che il requisito della “autonoma organizzazione”, nei termini sopra illustrati, possa ricavarsi dai dati acquisiti in quanto espressivi di costi sostenuti negli anni di riferimento per collaborazioni di terzi aventi pero’ carattere sporadico e per importi obiettivamente esigui.

Tale qualificazione correttamente risulta riferita, in particolare, al costo sostenuto nell’anno 2003 per personale dipendente, posto che il modesto importo della stessa (euro 1.728,00) ne rende di per se’ evidente il carattere di prestazione assai limitata nel tempo (sia che tale limite abbia riguardato il suo dispiegarsi per poche ore nell’arco della giornata, sia che derivi invece dalla sua breve durata nell’anno), tale da doversi escludere che – anche alla stregua del piu’ rigoroso orientamento espresso da alcune pronunce di questa Corte, che considera a tal fine sempre rilevante la presenza di un solo lavoratore dipendente, a prescindere dal tipo di lavoro svolto – nel caso di specie tuttavia la collaborazione di che trattasi possa aver rappresentato un contributo minimamente rilevante e significativo ai fini che qui interessano, nell’organizzazione dell’attivita’ di lavoro autonomo del professionista. Ragione questa che, a parere di questo collegio, esclude la riconducibilita’ della fattispecie in esame al novero di quelle potenzialmente incise dalla soluzione che sara’ data alla questione della rilevanza dell’unico dipendente come elemento integrativo del requisito della autonoma organizzazione come noto rimessa alle Sezioni Unite con ordinanza di questa Sezione n. 5040 del 13/03/2015.

Analogo ragionamento deve farsi per quanto concerne le spese per collaborazioni di terzi registrate negli anni di riferimento e per quelle per ammortamenti.

5. Quanto a queste ultime, in particolare, varra’ rammentare – ancorche’ si tratti di aspetto non direttamente attinto dalle argomentazioni della ricorrente -che il riferimento agli ammortamenti per beni strumentali (nel caso di specie peraltro di rilievo, in assoluto, modesto) e’ un dato comunque non decisivo e eccentrico rispetto al fondamento normativo dell’imposizione, quale sopra evidenziato.

Rispetto a questo, invero, anche una spesa consistente riferita all’acquisto di beni o servizi indispensabili per l’esercizio della professione puo’ rilevarsi inidonea a significare l’esistenza dei presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, tutte le volte in cui il capitale a tal fine investito non valga a rappresentare fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore rappresentato dalla mera attivita’ intellettuale del professionista ma risulti ad essa asservito ai fini dell’acquisto di attrezzatura connaturata e indispensabile all’esercizio dell’attivita’ medesima e come tale inidoneo ad assumere rilievo, quale fattore produttivo di reddito, distinguibile da quello rappresentato dalla stessa attivita’ intellettuale e/o dalla professionalita’ del lavoratore autonomo.

Nel caso di specie, pertanto, lungi dal risultare sufficienti il riferimento alle quote di ammortamento risultanti dalla dichiarazione dei redditi e il raffronto tra le stesse (in assoluto di non univoco rilievo) e il reddito prodotto, sarebbe stato necessario procedere, da parte del ricorrente a piu’ attento esame della natura e del valore dei beni o dei servizi cui essi si riferiscono.

Donde, anche sotto tale profilo, la correttezza della decisione impugnata che ha ritenuto detti elementi di per se’ non indicativi del requisito d’imposta.

6. Il ricorso va pertanto rigettato.

Avuto tuttavia riguardo alle questioni trattate e alle oscillazioni registratesi in materia nella giurisprudenza di legittimita’, equo appare compensare per intero le spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

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