Suprema Corte di Cassazione
sezione tributaria
ordinanza 8 ottobre 2014, n. 21289
In fatto e in diritto
1) Si ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 12/30/2012 in data 24.10.2011, depositata il 15 febbraio 2012, con cui la C.T.R. di Milano, Sezione n. 30, ha accolto l’appello dell’Agenzia e riformato la decisione di primo grado, che aveva ritenuto illegittima la pretesa impositiva, considerando sussistenti i presupposti per godere della chiesta agevolazione.
2) La CTR ha ritenuto che il contribuente non avesse titolo per usufruire della agevolazione “prima casa” per l’acquisto dell’unita abitativa sita in Milano, Via (…) in quanto al momento dell’acquisto non sussisteva la condizione prevista dalla lettera b) della nota II bis all’art. 1 della Tariffa parte prima della Legge di Registro, avuto riguardo al fatto che, in virtù di precedente rogito, risultava proprietario, di una quota pari al 5%, di altro immobile abitativo, ubicato nello stesso Comune, Via (…).
3) L’impugnazione è affidata ad un mezzo, con il quale l’impugnata decisione viene censurata, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1 c. 4° della tariffa, parte prima, allegata al dpr n. 131/1986, nonché della lettera b della nota II bis annessa al predetto art. 1 della tariffa.
Si deduce l’erroneità della interpretazione della precitata normativa, per non avere considerato che la preclusione del dato beneficio è riferibile agli immobili acquistati in regime di comunione legale ex artt. 177 e seg.ti c.c. e non anche, come è nel caso, alle acquisizioni convenzionali, fatte da coniugi, in regime di separazione patrimoniale, in relazione alle quali non si sia usufruito del beneficio.
4) L’intimata Agenzia, non ha svolto difese in questa sede.
5) La questione posta dal ricorso, sembra, possa essere esaminata e definita, tenendo conto del quadro normativo di riferimento e di principi espressi in pregresse pronunce della Corte di Cassazione. Costituisce ius receptum che l’agevolazione per la cosiddetta prima casa, disciplinata dall’art. 1, lett. b), nota II – bis della tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, nel testo risultante dopo le modifiche apportate dall’art. 16, primo comma, del D.L. n. 155 del 1993, convertito – con modificazioni – nella legge n. 243 del 1993, subordina l’applicazione del beneficio all’acquisto di un’unità immobiliare da destinare a propria abitazione nel comune di residenza o (se diverso) ove si svolge la propria attività, alla non possidenza di altro immobile ad essere destinato a tale uso e alla dichiarazione formale, posta nell’atto di compravendita, di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato. Ne consegue che chi abbia il possesso di altra casa valutata come all’uso abitativo, sia per circostanze di natura oggettiva (es.: inabitabilità) che di natura soggettiva (es.: fabbricato inadeguato per dimensioni o caratteristiche qualitative) può ugualmente godere dell’agevolazione” (Cass. n.2418/2003, n.8771/2000).
È stato, altresì, affermato, in tema di agevolazioni per la “prima casa”, che l’acquisto di una quota particolarmente esigua di un immobile, non comportando il potere di disporne come abitazione propria, non realizza l’intento abitativo, che è la finalità perseguita dal legislatore, ed è, sostanzialmente, assimilabile alla titolarità di immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative (Cass. n.13291/2011, n. 10984/2007, n. 9647/1999).
Peraltro, a proposito della portata della nota II bis della Tariffe, parte prima lett. b) allegata al dPR n. 1 31/1986 – a cui tenore “Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 2 per cento agli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o consuntivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’ambientazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni…b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare” – va evidenziato, ad ulteriore sostegno della fondatezza del ricorso, che questa Corte è ferma nell’escludere il beneficio “prima casa” solo nei confronti di acquirente di altro immobile acquistato in comunione ex art. 177 c.c. con il coniuge, non ritenendo che la comunione ordinaria su altro cespite immobiliare con il coniuge possa integrare la destinazione del bene ad abitazione dello stesso in via esclusiva – cfr. Cass. n. 9647/1999 e Cass. n. 6476/1996.
Secondo questo indirizzo, infatti, la legge n. 549 del 28 dicembre 1995, al comma 135 dell’art. 3, ha modificato la nota II bis dell’art. 1 della tariffa allegata alla L. n. 131 del 28 aprile 1986, chiarendo il significato dell’art. 2 della L. 118/85 e precisando, con norma interpretativa della legislazione agevolata in materia di prima casa, il contenuto della dichiarazione – che l’acquirente deve inserire nel contratto – “di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare”.
Proprio tale dizione importa che solo la comunione legale tra i coniugi osta all’agevolazione, mentre la titolarità di una quota di un appartamento in comunione non preclude il beneficio, in quanto è connaturato alla natura del diritto d’abitazione il legame ai bisogni del titolare e “della sua famiglia” (art. 1022 c.c.) e l’incompatibilità di esso con ogni contitolarità, salvo che della comunione tra i coniugi.
Si deve escludere, pertanto, che la facoltà di usare il bene comune, purché non si impedisca a ciascuno degli altri comunisti “di farne parimenti uso” ex art. 1102 c.c., consenta di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comunisti, per cui la titolarità di quota è simile a quella di immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative dell’acquirente, che è di certo compatibile con le agevolazioni.
Risulta così evidente l’errore nel quale è incorsa la CTR nell’escludere il beneficio prima casa per il solo fatto che il contribuente risultava comproprietario in quota del 5 per cento di altro cespite immobiliare acquistato in epoca antecedente al matrimonio unitamente alla futura moglie, poi optando per il regime di separazione patrimoniale – v.doc.4 allegato al ricorso.
Sulla base delle superiori considerazioni il ricorso merita di essere accolto e la sentenza impugnata va cassata.
Non ricorrendo la necessità di ulteriori accertamenti in punto di fatto la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. con l’accoglimento del ricorso della parte contribuente.
Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dell’Agenzia delle entrate e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c..
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso della parte contribuente.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in favore della parte contribuente in euro 1000,00 per compensi, oltre euro 100,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
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