Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 6 marzo 2018, n. 10161. La vendita a prezzo di mercato delle attrezzature della società amministrata da parte del legale rappresentante è privo del carattere fraudolento richiesto per il perfezionamento della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

La vendita a prezzo di mercato delle attrezzature della società amministrata da parte del legale rappresentante configura un atto dispositivo che, sebbene potenzialmente pregiudizievole per l’Erario essendo il denaro facilmente occultabile, è privo del carattere fraudolento richiesto per il perfezionamento della sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Questo in quanto per potere ritenere integrato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte non basta che l’atto dispositivo sia potenzialmente lesivo delle ragioni creditorie dell’Erario, ma occorre anche che non vi corrisponda un controvalore effettivo in denaro o altra utilità in caso di atto a titolo oneroso.

Sentenza 6 marzo 2018, n. 10161
Data udienza 16 maggio 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 27.5.2016 della Corte di Appello di Trento;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 27.5.2016 la Corte di Appello di Trento, in accoglimento del ricorso in appello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento, ha riformato la sentenza di primo grado che aveva assolto (OMISSIS) dal reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, perche’ il fatto non sussiste, ritenendola colpevole, in qualita’ di legale rappresentante della s.r.l. (OMISSIS), di sottrazione fraudolenta al pagamento dell’imposta IVA relativa all’anno 2008 oltre accessori, maturata dalla societa’ per complessivi Euro 135.341,01 per avere alienato, anziche’ porre in liquidazione la societa’, tutti i suoi cespiti in favore della s.a.s. (OMISSIS) di cui lei stessa era amministratrice alla somma di Euro 51.246. L’imputata e’ stata quindi condannata alla pena di sei mesi di reclusione, avendo la Corte ritenuto che l’eseguita vendita avesse definitivamente disperso i beni della societa’, costituenti l’intangibile garanzia patrimoniale in favore dei creditori, e cosi’ vanificato la possibilita’ per l’Erario di soddisfare il propri credito, per essere stata la somma incassata destinata a pagamenti vari, ma non a quello tributario.
Avverso la suddetta sentenza l’imputata ha proposto ricorso per cassazione articolando un unico con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, che, rispetto ad un operazione di compravendita commerciale del tutto trasparente quale quella intercorsa tra la s.r.l. (OMISSIS) e la s.a.s. (OMISSIS) di cui lei stessa era amministratrice, occorreva, al fine di integrare la finalita’ fraudolenta richiesta dal reato in contestazione, un quid pluris volto a configurare l’ingannevolezza della condotta dissimulata dalla eseguita alienazione: la sua natura fittizia risultava invece esclusa dal prezzo di vendita dei cespiti societari, che era stato stimato congruo rispetto ai valori di mercato dai giudici di primo grado, senza che la Corte di Appello avesse evidenziato alcun ulteriore elemento a dimostrazione della frode ai danni dell’erario, ne’ addotto alcun argomento che comprovasse che la finalita’ perseguita attraverso la suddetta operazione fosse quella di sottrarre garanzie patrimoniali al fisco. Al contrario, dalla documentazione contabile aziendale non risultava alcun dato equivoco, ne’ figurava dalle schede relative alla situazione dei cespiti alcun segno negativo in relazione alla differenza riportata per ogni singolo bene tra il valore iniziale ed il successivo decremento. Ha pertanto insistito per l’annullamento della sentenza impugnata e la conferma della pronuncia assolutoria resa in primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La fattispecie incriminatrice di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, con la quale il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche sottraendo il proprio patrimonio, costituente la garanzia generica dell’obbligato, alle ragioni dell’Erario rendendo in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, prevede ai fini del suo perfezionamento due condotte alternative costituite o dalla vendita simulata dei propri beni o atti fraudolenti poste in essere al fine indicato. Mentre la prima non pone particolari problemi interpretativi dovendosi ricorrere alle nozioni mutuate dall’ordinamento civile, secondo le quali e’ tale il negozio caratterizzato da una preordinata divergenza tra la volonta’ dichiarata e quella reale, ovverosia allorquando il programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volonta’ dei contraenti (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016 – dep. 20/01/2017, Di Tullio, Rv. 268798), per contro la nozione di atto fraudolento, ricorrente quando invece il trasferimento del bene sia effettivo, ha dato adito a plurime interpretazioni: si e’ infatti ritenuto che con tale accezione debba intendersi un’alienazione che sebbene effettiva, sia tuttavia idonea a rappresentare una realta’ (la riduzione del patrimonio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o comunque rendendo piu’ difficoltosa l’azione di recupero del bene per l’Erario (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016 cit.), o, diversamente, la sussistenza di uno stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario (Sez. 3, n. 19595 del 09/02/2011 – dep. 18/05/2011, Vichi, Rv. 250471), o, ancora una condotta atta a vanificare l’esito dell’esecuzione tributaria coattiva la quale non configura un presupposto della condotta, in quanto e’ prevista dalla legge solo come evenienza futura che la condotta, idonea, tende a neutralizzare (Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008 – dep. 09/04/2008. PM in proc. Ghiglia, Rv. 239970).
L’alternativita’ della condotta richiesta ai fini del perfezionamento del reato rispetto alla vendita simulata fa si’ che, invece, il carattere fraudolento debba investire tutti gli altri atti volti a disperdere la garanzia patrimoniale del creditore e, dunque, tutti gli atti lato sensu dispositivi dei beni ivi ricompresi. Poiche’ tuttavia la garanzia patrimoniale del creditore e’ gia’ assistita sul piano civilistico dalla speciale azione di cui all’articolo 2901 cod. civ. ovverosia dall’actio revocatoria, esperibile allorquando il debitore rechi pregiudizio alle ragioni del creditore, e dunque allorquando venga posto in essere in condizioni di insufficienza dei beni a garantire le ragioni del creditore (eventus damni) un atto dispositivo dei propri beni con la consapevolezza di arrecare un nocumento al creditore stesso (scientia damni o consilium fraudis), occorre per incorrere nella responsabilita’ penale prevista dalla disposizione in esame che l’atto dispositivo sia connotato dalla peculiare finalita’ indicata dalla stessa norma come fraudolenta: il concetto di frode evocato dalla norma presuppone, invero, non soltanto la lesione di un diritto altrui, che connota l’atto pregiudizievole in se’, ma altresi’ la specifica modalita’ attraverso la quale viene tale lesione effettuata, ovverosia l’inganno atto a configurare una situazione di apparenza diversa da quella della realta’ sottostante, costituita dalla riduzione del patrimonio del debitore, cosi’ da mettere a repentaglio l’azione di recupero per l’Erario, o comunque da renderla piu’ difficoltosa.
Non basta, in altri termini, che l’atto sia soltanto pregiudizievole, condizione questa configurata dall’atto dispositivo in presenza di una situazione patrimoniale insufficiente ad assicurare le ragioni del creditore attraverso l’eventuale esazione coattiva del credito, ma occorre altresi’ che il pregiudizio arrecato non sia immediatamente percepibile in ragione della condotta fraudolenta posta in essere dal debitore: cosi’ come la vendita in se’ considerata non potrebbe integrare la condotta incriminata dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, dovendo invece essere simulata, del pari non e’ sufficiente che l’atto altrimenti dispositivo dei beni costituenti la garanzia patrimoniale venga a ledere le ragioni dell’Erario, richiedendosi invece che alla dispersione della suddetta garanzia non corrisponda, allorquando si tratti di atto a titolo oneroso, un controvalore effettivo in danaro o in altra utilita’, secondo la causa negoziale tipica dell’atto unilaterale o del contratto specificamente posto in essere, ovvero si tratti di un atto a titolo gratuito (quale ad esempio la donazione, la costituzione di un fondo patrimoniale, etc.) che, attesa l’assenza di un vantaggio economico che lo qualifica come tale, si presta di per se’ a configurare la modalita’ fraudolenta richiesta dalla norma. In tale ottica e’ stato, ad esempio, ritenuto da questa Corte integrato il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte la condotta di un commercialista che, in prossimita’ degli esiti di una verifica fiscale a suo carico, aveva ceduto immobili e quote sociali alla convivente (Sez. 3, n. 39079 del 09/04/2013 – dep. 23/09/2013, Barei e altro, Rv. 256376).
E se e’ ben vero che l’atto dispositivo di un ben tanto mobile quanto immobile rende di per se’ maggiormente difficoltosa ed incerta l’esazione del credito, essendo il danaro bene fungibile per eccellenza e quindi piu’ facilmente occultabile, tanto da legittimare l’esperibilita’ dell’actio revocatoria in sede civile, non puo’ tuttavia percio’ ritenersi integrata la finalita’ fraudolenta sul piano penale, dovendo l’atto dispositivo essere caratterizzato da un quid pluris, ovverosia dalla modalita’ ingannevole attraverso la quale viene realizzato. Diversamente opinando, il concetto di atto fraudolento verrebbe a dilatarsi oltre misura fino a far coincidere i presupposti del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, con quelli dell’azione revocatoria civile, frustrando, in contrasto con la stessa littera legis, la finalita’ perseguita dal legislatore penale che consiste nella punibilita’ del contribuente che intenzionalmente sottrae con modalita’ fraudolente i beni facenti parte del proprio patrimonio riducendo la garanzia del Fisco e cosi’ neutralizzando, secondo una prognosi da effettuarsi ex ante, in tutto od in parte la fruttuosita’ di una eventuale procedura esecutiva.
Conseguentemente, la vendita da parte dell’imputata delle attrezzature della societa’ da lei amministrata che, cosi’ come accertato sin dalla sentenza di primo grado e non smentito dalla pronuncia impugnata, e’ stata effettuata a prezzo di mercato con incameramento del suddetto corrispettivo da parte della societa’ alienante, configura un atto, che sebbene pregiudizievole per l’Erario essendo stato il danaro destinato al soddisfacimento di altri debiti da cui la stessa societa’ era gravata, e’ privo tuttavia del carattere fraudolento richiesto per il perfezionamento del reato contestato. Non puo’ pertanto condividersi il diverso ragionamento seguito dalla Corte distrettuale che, malgrado la dimostrazione che assume essere stata fornita dall’imputata in ordine alla devoluzione del corrispettivo incassato ad altri pagamenti dovuti dalla societa’ (stipendi, assicurazioni, cassa edile), ha ritenuto sulla base del solo atto dispositivo senza che ricossero gli estremi della simulazione ne’ di altri atti fraudolenti, la penale responsabilita’ della (OMISSIS).
La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di Appello perche’ proceda a nuovo giudizio attenendosi ai principi sovra indicati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello, Sezione distaccata di Bolzano

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *