Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 16 novembre 2017, n. 52436. In ordine al sequestro preventivo di depuratori

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Nel nostro caso rileva la sussistenza di una condotta abusiva, ovvero l’assenza di autorizzazione (provvedimento di diniego del 30 luglio 2013); quindi l’attivita’ puo’ ritenersi certamente abusiva: “La condotta “abusiva” di inquinamento ambientale, idonea ad integrare il delitto di cui all’articolo 452-bis cod. pen. (disposizione introdotta dalla L. 22 maggio 2015, n. 68), comprende non soltanto quella svolta in assenza delle prescritte autorizzazioni o sulla base di autorizzazioni scadute o palesemente illegittime o comunque non commisurate alla tipologia di attivita’ richiesta, ma anche quella posta in essere in violazione di leggi statali o regionali – ancorche’ non strettamente pertinenti al settore ambientale – ovvero di prescrizioni amministrative. (Fattispecie di inquinamento di acque marine, derivante da un’attivita’ di bonifica di fondali effettuata in spregio delle relative prescrizioni progettuali)” (Sez. 3, n. 46170 del 21/09/2016 – dep. 03/11/2016, P.M. in proc. Simonelli, Rv. 26806001; vedi anche nello stesso senso Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017 – dep. 30/03/2017, Rizzo, Rv. 26949101).
In ordine poi alla contestata mancanza di misurazione e quantificazione del deterioramento penalmente rilevante, si deve osservare che in sede di fumus cautelare – come sopra visto – non necessita la piena prova dell’evento costituito dalla compromissione o deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, ma basta la plausibilita’ di un giudizio prognostico sulla fattispecie di reato. Nel nostro caso il Tribunale ha evidenziato come “nel provvedimento impugnato si valorizza la durata prolungata nel tempo dello scarico dei reflui e la quantita’ degli stessi (trattandosi di un insieme di composti reflui provenienti da due impianti che viene sospinto in mare mediante la condotta sottomarina); dunque dando conto dei citati elementi deve ritenersi correttamente effettuata una valutazione circa la sussistenza, quantomeno in termini di serieta’ indiziaria, degli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa di cui all’articolo 425 bis cod. pen.”.
Del resto non e’ richiesta per la configurabilita’ del delitto una tendenziale irreversibilita’ del danno ambientale: “Ai fini della configurabilita’ del reato di inquinamento ambientale, di cui all’articolo 452-bis cod. pen., non e’ richiesta una tendenziale irreversibilita’ del danno; ne consegue che le condotte poste in essere successivamente all’iniziale deterioramento o compromissione del bene non costituiscono un “post factum” non punibile, ma integrano invece singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione, sino a quando la compromissione o il deterioramento diventano irreversibili, o comportano una delle conseguenze tipiche previste dal successivo reato di disastro ambientale di cui all’articolo 452-quater dello stesso codice” (Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017 – dep. 30/03/2017, Rizzo, Rv. 26949001; vedi anche nello stesso senso Sez. 3, n. 10515 del 27/10/2016 – dep. 03/03/2017, Sorvillo, Rv. 26927401).
Il deterioramento significativo infatti puo’ ritenersi altamente probabile, in considerazione della natura degli scarichi (provenienti da depuratori che non depurano, anzi le acque in uscita sono peggiori delle acque in entrata, come motivatamente accertato dal provvedimento impugnato), della durata degli stessi e dalle misurazioni delle materie inquinanti “notevolmente superiori ai limiti di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, tabella 3, allegato 5” (vedi sul punto Sez. 3, n. 15865 del 31/01/2017 – dep. 30/03/2017, Rizzo, Rv. 26948901).

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