Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 12 marzo 2018, n. 10797. In tema di reati edilizi, per trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24 marzo 1988 è necessario che dagli atti del processo risulti che l’agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge

Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 12 marzo 2018, n. 10797.

In tema di reati edilizi, per trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24 marzo 1988 è necessario che dagli atti del processo risulti che l’agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge, sicché nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla sua volontà.

Sentenza 12 marzo 2018, n. 10797
Data udienza 7 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ASTI;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), (OMISSIS);
avverso la sentenza del 01/06/2017 del TRIBUNALE di ASTI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. LUCA SEMERARO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Giuseppe Corasaniti, che ha concluso per l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1. Il p.m. della Procura della Repubblica di Asti ha proposto ricorso avverso la sentenza del 1 giugno 2017 del Tribunale di Asti, con la quale (OMISSIS) e’ stato assolto dai reati di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera b), Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articoli 93 e 95 perche’ il fatto non costituisce reato.
Rileva il ricorrente che il Tribunale di Asti ha ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato, consistito nell’aver l’imputato fatto realizzare una tensostruttura senza il rilascio di un permesso di costruire e per le opere in cemento armato, senza la presentazione di un progetto e la relativa denuncia di realizzazione; il Tribunale ha pero’ poi assolto l’imputato, ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, perche’ il fatto non costituisce reato.
Il p.m. ha riportato la motivazione della sentenza che ricollega l’assoluzione al fatto che l’imputato ha agito in qualita’ di Presidente Pro-tempore di una associazione senza scopo di lucro, ed ha agito nella piena convinzione della legittimita’ del proprio operato, in quanto la tendostruttura e’ stata realizzata su suolo comunale e con fondi in parte erogati dallo stesso Ente; alla cerimonia di inaugurazione della struttura era presente anche un esponente della giunta comunale, in rappresentanza del Comune di Carmagnola.
Secondo il Tribunale di Asti, la mancanza di dolo e della colpa deriva dal fatto che l’imputato e’ soggetto privo di specifiche competenze in materia, ha agito in buona fede, nella convinzione che il montaggio della tendostruttura in oggetto fosse regolare, e cio’ in forza del comportamento affidante posto in essere dalla pubblica amministrazione, che ha in parte finanziato l’opera, costruita su suolo di sua proprieta’, partecipando anche all’inaugurazione della stessa.
Il p.m. ricorrente ha pero’ richiamato gli orientamenti della Corte di Cassazione sulla cd. buona fede nelle contravvenzioni (v. da ultimo, sul tema dell’errore nelle contravvenzioni ambientali, la sentenza 7 gennaio 2016, n. 4931) secondo cui “La complessita’ della normativa settoriale non puo’ rappresentare di per se’ elemento scusante, sussistendo un dovere di informazione fondato sugli obblighi solidaristici affermati dall’articolo 2 Cost., che esclude. l’inevitabilita’ dell’errore di diritto. Pur ammettendo la notevole complessita’ della disciplina di settore, non viene meno il dovere strumentale di informazione, il cui adempimento avrebbe impedito la (asserita, ma non provata) ignoranza della legge penale ne’, del resto, tale obbligo viene meno in caso di non professionalita’ dell’attivita’; a maggior ragione trattandosi di persona priva di specifiche competenze settoriali, incombe sull’agente il dovere di informarsi sulla disciplina di settore dell’attivita’ che si intende porre in essere, assolvendo agli obblighi del C.d. homo eiusdem professionis et condicionis. L’ignoranza della normativa settoriale e’ insufficiente a fondare una valutazione di inevitabilita’/scusabilita’ dell’errore (nel senso che “nelle fattispecie contravvenzionali, la buona fede puo’ acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell’illiceita’ del fatto (commissivo od omissivo) e derivi da un elemento positivo estraneo all’agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceita’ del comportamento tenuto”.
Il ricorrente ha richiamato Cass. 7/2/2017, n. 24585, Masoero, che ha affermato: “… la consolidata produzione giurisdizionale di questa Corte e’ ormai pervenuta ad affermare, sulla scia della fondamentale sentenza n. 368/88 della Corte costituzionale, che nelle fattispecie contravvenzionali la buona fede puo’ acquistare rilevanza giuridica solo a condizione che essa si traduca nella mancanza di consapevolezza dell’illiceita’ del fatto e che derivi da un elemento positivo estraneo all’agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceita’ del comportamento tenuto, la prova della sussistenza del quale deve essere fornita dall’imputato, unitamente alla dimostrazione di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata (Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016, dep. 23/08/2016, P.M. in proc. Oggero, Rv. 268000; Sez. 4, n. 9165 del 5/02/2015, dep. 2/03/2015, Felli, Rv. 262443; Sez. 3, n. 42021 del 18/07/2014, dep. 9/10/2014, Paris, Rv. 260657; Sez. 3, n. 49910 del 4/11/2009, dep. 30/12/2009, Cangialosi e altri, Rv. 245863; Sez. 3, n. 46671 del 5/10/2004, dep. 1/12/2004, Sferlazzo, Rv. 230889; Sez. 3, n. 12710 del 29/11/1994, dep. 21/12/1994, D’Alessandro, Rv. 200950)”.
Rileva quindi il ricorrente che nessuna delle circostanze valorizzate dal Tribunale poteva avere rilevanza sotto il profilo scusante; a questo esito si sarebbe potuto giungere soltanto alle seguenti condizioni: se l’imputato avesse dimostrato di essersi rivolto agli organi competenti, di aver prospettato ai medesimi correttamente l’intervento da eseguire, di aver ricevuto ampie, precise e inequivoche rassicurazioni, ancorche’ erronee, circa la non necessita’ del titolo abilitativo, di aver percio’ commesso il fatto in seguito (e in conseguenza) di quanto appreso dai tecnici comunali.
Conclude il ricorrente che soltanto se la condotta incriminata fosse stata posta in essere nella assoluta convinzione della liceita’ della stessa (non bastando l’ignoranza che la stessa fosse proibita) causata da un comportamento positivo della P.A. inducente lo stato di errore incolpevole sul precetto penale (articolo 5 c.p. come riletto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 364/88), la decisione del Tribunale sarebbe stata legittima. Poiche’ nulla di tutto questo risulta al processo, si deve ritenere che l’imputato non abbia agito nella condizione suddetta.
Rileva il ricorrente che le circostanze addotte in sede dibattimentale, tutte pero’ riferibili al momento successivo alla realizzazione dell’opera, possono aver alimentato la convinzione in capo all’imputato di non aver fatto nulla di illecito, ma non hanno alcun decisivo valore scusante.
Il ricorrente ha dunque chiesto l’annullamento della sentenza perche’ affetta da violazione di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato avendo il giudice erroneamente applicato gli articoli 5 e 43 c.p..
Va ricordato che la Corte Costituzionale, con la sentenza 364 del 1998, ha dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 5 c.p. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilita’ dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8154 del 10/06/1994 (Rv. 197885, Calzetta) hanno affermato il seguente principio di diritto: “A seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilita’, scusa l’autore dell’illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilita’. Per il comune cittadino tale condizione e’ sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo e’ particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attivita’, i quali rispondono dell’illecito anche in virtu’ di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilita’ dell’ignoranza, occorre, cioe’, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceita’ del comportamento tenuto”.
Il caso esaminato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione riguardava proprio i reati urbanistici: le Sezioni Unite della Corte di Cassazione confermarono l’assoluzione pronunciata dal giudice di merito per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, motivata dalla convinzione degli imputati dell’assenza del vincolo di inedificabilita’, piu’ volte affermata in provvedimenti del giudice amministrativo, nonche’ in specifici atti ufficiali del Ministero dei beni culturali e ambientali e del Comune interessato.
Il principio e’ stato ribadito e precisato successivamente.
La Corte di Cassazione ha affermato, infatti, sempre in tema di reati urbanistici, che per trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24 marzo 1988 e’ necessario che dagli atti del processo risulti che l’agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge, sicche’ nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla sua volonta’ (cfr. sul punto Cass. Sez. 3, n. 2698 del 18/01/1991 – dep. 01/03/1991, Sina, Rv. 186513).
Di conseguenza e’ stato affermato (Cass. Sez. 3, n. 36852 del 10/06/2014, Rv. 259950, Messina) che nei reati urbanistici non ricorrono gli estremi della buona fede, idonea ad integrare la condizione soggettiva dell’ignoranza inevitabile della legge penale (Corte cost. n. 364 del 1988), quando l’imputato abbia eseguito un intervento edilizio in assenza del necessario permesso di costruire in conseguenza di una erronea interpretazione di una pur chiara disposizione di legge ed omettendo di consultare il competente ufficio, formando il suo convincimento personale sull’insussistenza dell’obbligo di munirsi di apposito titolo abilitativo sulla base di un provvedimento della P.A. riguardante un diverso manufatto rispetto a quello abusivamente realizzato (fattispecie in cui l’imputato aveva costruito un piazzale su una porzione di fondo agricolo ritenendo superfluo il rilascio del permesso di costruire perche’ il Comune aveva comunicato che non era necessario alcun titolo abilitativo per la realizzazione di una recinzione sul medesimo terreno).
2. Orbene, nel caso in esame le norme sono state erroneamente applicate in quanto:
l’imputato non e’ un cittadino comune, ma il presidente di un’associazione, per quanto senza scopo di lucro, ed ha specifici obblighi e responsabilita’ quanto allo svolgimento delle attivita’ dell’associazione;
l’opera realizzata e’ consistita in una nuova volumetria, ancorata al suolo con pilastri, anche di grandi dimensioni, sicche’ non solo vi e’ una normativa chiara ma non sfugge neanche al senso comune che la sua realizzazione generi una nuova costruzione rilevante dal punto di vista edilizio;
non e’ stato in alcun modo tenuto conto il dovere di informazione dell’imputato, anche rispetto alla sua specifica qualifica;
non hanno rilevanza alcuna le circostanze di fatto successive alla condotta, come l’erogazione dei fondi da parte del comune e la presenza di esponenti dell’amministrazione pubblica alla inaugurazione della tendostruttura.
3. Pertanto, il ricorso per cassazione deve essere accolto; la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Torino per un nuovo giudizio in base ai principi di diritto sopra espressi.
P.Q.M.
Annulla con rinvio la sentenza impugnata alla Corte di appello di Torino.

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