Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 9 novembre 2017, n. 26517. L’accertamento della diligenza della condotta del medico forma oggetto dell’accertamento della colpa

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Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare il “fatto decisivo” rappresentato dalla circostanza che causa del decesso del paziente fu il ritardo diagnostico e terapeutico in cui incorsero gli altri medici che, dopo di lui, si occuparono del caso.
2.2. Il motivo e’ infondato.
La Corte d’appello ha esaminato il problema del nesso di causa tra la condotta ascritta al convenuto, e la morte del paziente, a p. 8 della sentenza impugnata, affermando che: “l’esecuzione di un esame istologico (se fosse stato disposto dal convenuto) avrebbe permesso di accertare l’esistenza della malattia molto prima di quanto effettivamente avvenuto”, e soggiungendo che “l’eventuale concorso anche maggioritario dei medici successivamente intervenuti non potrebbe comportare alcuna riduzione dell’obbligo risarcitorio dell’appellante”, in puntuale applicazione dell’articolo 2055 c.c..
La circostanza di fatto costituita dall’esistenza del rapporto di causalita’ tra la condotta del convenuto, quella degli altri medici che si occuparono del causa, e la morte del paziente, e’ stata dunque esaminata dalla Corte d’appello, ed il vizio di omesso esame non sussiste.
Ne’, ovviamente, e’ consentito in questa sede tornare ad esaminare se vt davvero il convenuto abbia o non abbia fornito un contributo concausale alla produzione dell’evento, trattandosi di questione squisitamente di merito, istituzionalmente sottratta all’esame di questa Corte.
3. Il secondo motivo di ricorso.
3.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’articolo 2697 c.c..
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato le regole sul riparto dell’onere della prova, poiche’:
(-) gli attori avrebbero dovuto dimostrare che, al momento in cui il paziente si fece visitare da (OMISSIS), vi fosse una lesione “ragionevolmente interpretabile come anticamera di una situazione patologica” tumorale, e tale prova era mancata;
(-) la Corte d’appello non ha “preso posizione” sul referto datato 10 gennaio 1991, prodotto e poi sottratto dagli atti di causa, il quale era stato da lui disconosciuto, e non era a lui riferibile.
3.2. Il motivo e’ infondato.
Stabilire se determinati sintomi, ad una determinata epoca, siano stati correttamente o scorrettamente interpretati, significa accertare se il medico abbia tenuto una condotta negligente o diligente.
Ma l’accertamento della diligenza della condotta del medico forma oggetto dell’accertamento della colpa, ed in tema di responsabilita’ medica non e’ onere dell’attore provare la colpa del medico, ma e’ onere di quest’ultimo provare di avere tenuto una condotta diligente (come questa Corte viene ripetendo da molti anni: per tutti, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 589 del 22/01/1999).
3.3. La corretta applicazione, compiuta dalla Corte d’appello, dei principi sul riparto dell’onere della prova, rende inconsistente anche il secondo profilo di censura.
Il ricorrente si ostina a ripetere che gli attori avevano depositato un referto istopatologico a lui attribuito, dal quale risultava una diagnosi benigna, ma che lui non aveva mai sottoscritto quel documento, poi sparito dagli atti.
Tuttavia che un referto istopatologico negli atti vi fosse o non vi fosse; ovvero che fosse o non fosse riferibile al convenuto, sono questioni che non toccano la posizione degli attori: gli attori avevano il solo onere di allegare la colpa del convenuto; questi aveva l’onere di provare la propria assenza di colpa.
E il convenuto non poteva certo provare l’assenza di colpa limitandosi a disconoscere la sottoscrizione di quel referto istopatologico.
Delle due, infatti, l’una:
– se il referto esisteva e lui lo firmo’, il convenuto e’ in colpa per avere sbagliato la diagnosi;
– se il referto non esisteva, il convenuto e’ in colpa per non aver suggerito od ordinato esami piu’ approfonditi, ovvero per non avere fornito la prova (per quanto detto, gravante su di lui), che alla data in cui visito’ il paziente, questi non presentava alcun sintomo tale da suscitare nemmeno il piu’ piccolo sospetto che fosse affetto da una patologia tumorale.
Correttamente, pertanto, la Corte d’appello ha trascurato di esaminare il problema della esistenza dell’autenticita’ del suddetto referto.
4. Le spese.
4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
4.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si da’ atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, delle spese del presente giudizio di legittimita’, che si liquidano nella somma di Euro 7.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

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