Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 31 ottobre 2017, n. 25849. In tema di responsabilità medica da nascita indesiderata

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Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di affermare in tema di responsabilita’ medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facolta’ d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente infoimata dell’anomalia fetale; quest’onere puo’ essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova in atti, quali il ricorso al consulto medico funzionale alla conoscenza dello stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, i.e. che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale (cfr. Cass., Sez. Un., 22/12/2015, n. 25767 e, da ultimo Cass. civ. Sez. 3, Sent., 11-04-2017, n. 9251).

Nella sentenza impugnata, la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione di tali principi laddove ha escluso di poter applicare il ragionamento presuntivo per ottenere la prova in questione, sulla base del rilievo che la malformazione da cui e’ risultato affetto il (OMISSIS), privo degli arti superiori, non incide sull’espletamento di attivita’ fisica e soprattutto psichiche, e quindi non sarebbe grave.

La ricordata giurisprudenza, viceversa, non richiede, per procedere mediante presunzioni, che ci si trovi di fronte ad una malformazione grave, ne’ tantomeno che questa patologia affligga necessariamente le capacita’ intellettive del nato.

Nella L. n. 194 del 1978, articolo 6, lettera b e’ espressamente previsto che idonei a determinare “un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” che legittimi l’eccezionale possibilita’ di farsi luogo, dopo i primi 90 giorni di gravidanza, alla relativa interruzione, sono “rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”, sicuramente sussistenti nel caso del (OMISSIS), nato privo di entrambi gli arti superiori.

La sentenza dev’essere quindi cassata sul punto.

Sara’ compito del giudice del rinvio, pertanto, valutare, sul piano probabilistico, e sulla base delle prove in atti, l’esistenza o meno di una lesione del diritto, riconosciuto alla donna, di scelta se interrompere o meno la gravidanza, e conseguente alla mancata informazione circa le malformazioni del feto (valutazione che risulta, di converso, compiutamente e correttamente operata dal giudice di primo grado sotto il profilo della chance perduta).

4.2. Con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della “violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1224 c.c. e articolo 111 c.p.c.”.

La sentenza impugnata avrebbe omesso di esaminare la domanda, formulata dai ricorrenti in via di appello incidentale, di condanna dell’Azienda ospedaliera al pagamento di interessi legali a decorrere dalla data del fatto illecito, anziche’ dalla sentenza di primo grado.

Il ricorso e’ fondato.

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