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E’ consolidato principio di questa Corte che la critica rivolta alla sentenza che ha motivato riportandosi integralmente alle risultanze delle indagini ed alle argomentazioni tecniche svolte dall’ausiliario, non puo’ limitarsi alla mera contrapposizione di conclusioni contrastanti nel merito, ma deve invece: a) individuare i singoli passaggi dell’elaborato peritale ritenuti erronei, onde consentire alla Corte di verificare “in limine” se le affermazioni del consulente tecnico oggetto di critica rivestano carattere di decisivita’; b) specificare le ragioni della critica, evidenziando se attengono a carenze o deficienze diagnostiche, nell’espletamento delle indagini, od in affermazioni illogiche e scientificamente errate, o ancora nella omissione degli accertamenti clinici strumentali dai quali non possa prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi; c) indicare nel ricorso per cassazione, onde evitare la inammissibilita’ per novita’ della questione, che le critiche erano state oggetto di puntuali motivi di gravame, trascrivendone almeno i punti salienti (cfr. Corte cass. Sez. Lf Sentenza n. 7341 del 17/04/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 17369 del 30/08/2004; id. Sez. 2, Sentenza n. 13845 del 13/06/2007; id. Sez. L, Sentenza n. 3224 del 12/02/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 16368 del 17/07/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 11482 del 03/06/2016).
Nella specie la ricorrente nella parte espositiva del motivo in esame:
non trascrive i motivi di gravame, proposti con l’appello principale, e non consente, pertanto, a questa Corte di verificare la dedotta erroneita’ della statuizione del Giudice di appello che ha ritenuto generiche le critiche svolte alla c.t.u. in quanto non evidenziavano “deviazioni dai canoni della specifica disciplina che l’ausiliario era chiamato ad applicare”, ne’ di verificare eventuali errori in ordine alla omessa rilevazione di circostanze di fatto determinanti, inerenti al quadro clinico e diagnostico, non considerate dall’ausiliario contesta al CTU omissioni relative a circostanze delle quali, da un lato, risulta al contrario che sono state espressamente accertate e valutate dall’ausiliario (prima dell’intervento chirurgico era stata eseguita rettosigmoidoscopia che aveva evidenziato “una neoformazione a 7 cm. dal margine anale”; la deiscenza dell’anastomosi colon-rettale e’ complicanza correlata alla ridotta distanza dalla rima anale: cfr. relazione peritale riportata nella sentenza di appello in motivazione, a pag. 8); dall’altro, neppure ne specifica la rilevanza e decisivita’ (trattandosi di esami volti alla esatta descrizione della complicanza neoplastica, sulla cui possibilita’ di insorgenza e sulla cui natura e dimensioni non vi e’ contestazione); dall’altro, ancora, deducendo una incongrua scelta dell’ “accesso” operatorio, senza tuttavia specificare 1-se la questione fosse stata oggetto di discussione nei gradi di merito, nonche’ 2-quale fosse la rilevanza causale di tale scelta sul lamentato danno;
quanto alla condotta post-operatoria, viene a confondere la fase concernente la eliminazione della complicanza (mediante intervento di confezionamento di colostomia traversa) con gli esami strumentali, che avevano dato risultati negativi, effettuati invece precedentemente diversamente da quanto sostenuto nel ricorso, pag. 11- in considerazione di valori CEA incrementati (rilevati dai controlli in data 14.12.2000 e 4.1.2001) ai fini dell’accertamento della recidiva (TAC addome 8.1.2001; Eco addome 10.1.2001: cfr. sentenza appello, pag. 9)
esaurisce la critica alla sentenza impugnata nell’anapodittica affermazione per cui la emersione della irregolarita’ parietale e del tessuto ispessito a livello anastomotico ed il “notevole enhancement contrasto grafico” rilevati nel febbraio 2001, nel corso degli esami strumentali disposti dal dott. (OMISSIS), in Giappone, erano indice certo della mancanza di asportazione completa della neoplasia nel primo intervento eseguito dal (OMISSIS), non fornendo tuttavia alcun elemento idoneo a contrastare la diversa conclusione peritale secondo cui, la negativita’ delle indagini radiologiche eseguite dopo l’intervento, a dicembre 1999, e la ricomparsa della patologia a distanza di circa un anno, deponevano invece per la insorgenza di una recidiva.
Difettano pertanto i requisiti di ammissibilita’ del motivo di ricorso per difetto di specificita’ della censura richiesta dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4.
Manifestamente inammissibile e’ il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la violazione degli articoli 1176, 1218 e 2236 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La ricorrente impugna la statuizione del Giudice di appello di conferma della pronuncia del Giudice di prime cure di inammissibilita’ della domanda risarcitoria fondata sull’inadempimento contrattuale, per omessa previa acquisizione del consenso informato. Il Giudice territoriale ha rilevato in proposito che tale specifico fatto d’inadempimento e la relativa richiesta risarcitoria erano stati, rispettivamente, allegato e proposta, per la prima volta nella comparsa conclusionale in primo grado, essendo quindi incorsa l’attrice nella preclusione determinata dalla chiusura della fase processuale di trattazione.
Sostiene la ricorrente che avendo contestato, nell’atto di citazione in primo grado, l’inadempimento del professionista per avere eseguito l’intervento chirurgico “in modo non corretto per trascuratezza, e/o negligenza e/o imperizia”, doveva intendersi per cio’ stesso implicitamente allegata anche la mancanza di consenso informato, non potendo configurarsi pertanto alcuna “mutatio libelli”.
La tesi e’ priva di fondamento.
Questa Corte ha ripetutamente ribadito che l’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2854 del 13/02/2015), di tal che’ la relativa pronuncia che accerta tale mancanza viene ad integrare un distinto capo di sentenza suscettibile se non impugnato di autonomo passaggio in giudicato (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1.4642 del 14/07/2015). E non appare superfluo rimarcare che “la diversita’ tra i due diritti (ndr. il diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico ed il diritto alla salute) e’ resa assolutamente palese dalle elementari considerazioni che, pur sussistendo il consenso consapevole, ben puo’ configurarsi responsabilita’ da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita; e che la lesione del diritto all’autodeterminazione non necessariamente comporta la lesione della salute, come accade quando manchi il consenso ma l’intervento terapeutico sortisca un esito assolutamente positivo (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010, in motivazione): conseguentemente nel caso in cui l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico, e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall’inadempimento, da parte dello stesso medico, al dovere di informazione (necessario per ottenere un consenso informato), si verifica una “mutatio libelli” e non una mera “emendatio”, in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18513 del 03/09/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 25764 del 15/11/2013).
La Corte di appello si e’ attenuta ai principi di diritto indicati e dunque la statuizione di inammissibilita’ per tardivita’ della allegazione in ordine al difetto di consenso informato, va esente da censura.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida, a favore di (OMISSIS), in Euro 5.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, ed a favore di ciascuna delle imprese assicurative (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a., in Euro 6.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa la indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi di (OMISSIS) riportati nella sentenza.

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