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Gli acquirenti evocarono in giudizio la societa’ venditrice sostenendo che l’atto di vendita fosse equivoco, in quanto in esso si faceva riferimento ad un atto di concessione di variante in base ai quale i posti auto avrebbero dovuto essere Otto, ma poi anche all’atto di frazionamento in base al quale i posti auto erano stati aumentati a 12, con riduzione della parte comune; chiedevano che si dichiarasse l’illegittimita’ del successivo frazionamento in 12 posti auto (non rispettoso neppure delle norme urbanistiche, che imponevano una ampiezza minima di ciascun posto auto), che si accertasse che nell’area cortilizia dovessero essere individuati soltanto otto posti, mentre il resto era di proprieta’ comune, e che agli attori fosse riconosciuta la servitu’ di passaggio o di manovra nell’area occupata dai residui quattro posti, in realta’ rientranti tra le parti comuni.
La societa’ convenuta si costituiva proponendo una domanda riconvenzionale di risarcimento danni derivanti dalla trascrizione della domanda giudiziale, ex articolo 96 c.p.c., comma 2.
Il Tribunale di Bologna accoglieva la domanda degli attori, dichiarando costituita in loro favore la servitu’ di passaggio sui sub. 3,4 e 5 e ordinava la trascrizione della sentenza al conservatore dei registri immobiliari.
La sentenza della Corte d’Appello di Bologna, qui impugnata, sovvertiva completamente l’esito del giudizio di primo grado, rigettando la domanda dei (OMISSIS), ed accogliendo la riconvenzionale della societa’ convenuta volta ad ottenere il risarcimento dei danni causati dalla trascrizione della domanda giudiziale, liquidando in favore della societa’ venditrice un importo di oltre 50.000 curo.
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), e (OMISSIS) anche in proprio, propongono ricorso per cassazione articolato in due motivi nei confronti di (OMISSIS) s.p.a., avverso la sentenza n. 1448/2013, depositata dalla Corte d’Appello di Bologna il 22.8.2013.
I ricorrenti impugnano solo il capo della sentenza che li ha condannati al risarcimento dei danni ex articolo 96 c.p.c., comma 2, evidenziando che la sentenza d’appello li condanna al risarcimento del danno da responsabilita’ processuale aggravata correlando l’imprudenza nell’effettuare la trascrizione esclusivamente alla infondatezza della domanda principale.
Resiste la (OMISSIS) s.p.a. con controricorso.
La causa e’ stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata in data 21.6.2017.
La memoria dei ricorrenti e’ pervenuta in data 15 giugno 2016 e pertanto e’ tardiva, rispetto al termine di dieci giorni fissato dall’articolo 380 bis c.p.c., comma 1.
Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c., nonche’ degli articoli 1362 e 1366 c.c..
Affermano i ricorrenti che per giustificare una condanna al risarcimento dei danni ex articolo 96 c.p.c., comma 2, e’ necessario un quid pluris rispetto al solo rigetto della domanda perche’ si possa fondatamente ritenere che la parte ha agito in giudizio senza la normale prudenza, cioe’ e’ necessario che essa emerga ictu oculi come infondata sulla base di una valutazione ex ante, posto che agire in giudizio per una pretesa che si rivela infondata e’ una condotta non sanzionabile in se’.,.
Evidenziano che la domanda risarcitoria nei loro confronti e’ stata accolta in riferimento al disposto dell’articolo 96 c.p.c., comma 2, e in particolare alla mancanza della normale prudenza nell’agire in giudizio, e che la corte ha stringatamente ed esclusivamente ricondotto tale mancata prudenza esclusivamente alla proposizione di una domanda risultata infondata ed alla trascrizione della domanda medesima.
I ricorrenti segnalano che la motivazione della sentenza qualifica la loro tesi “quantomeno ardita” richiamando, dei due documenti ai quali fa riferimento l’atto di vendita pur non essendo stati allegati ad esso, soltanto il secondo, ovvero l’atto di frazionamento, nel quale era indicato chiaramente che l’area cortilizia scoperta dovesse suddividersi in dodici 12 posti auto, due dei quali venduti ai ricorrenti, e non anche il primo, sulla base del quale avevano fondato le loro argomentazioni.
La sentenza implicitamente afferma che, sulla base dell’unico documento ritenuto rilevante tra quelli richiamati nell’atto di vendita, i ricorrenti non avrebbero potuto non essere consapevoli della infondatezza della loro tesi.
Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo della controversia, sottolineando che la corte d’appello non ha preso in considerazione l’irregolarita’ sotto il profilo urbanistico-edilizio della previsione di posti auto aggiuntivi inseriti nel piano di frazionamento, ritenendo che essa esaurisse la sua rilevanza sotto il profilo pubblicistico, mentre, sostengono i ricorrenti, essa inciderebbe anche sulla commerciabilita’ del bene (e quindi il danno eventualmente subito dai venditori non sarebbe connesso alla sussistenza della trascrizione, ma piuttosto alla attivita’ dagli stessi svolta, culminata nella realizzazione di beni non commerciabili).
Il primo motivo e’ fondato e va accolto, con assorbimento del secondo.
Va premesso che l’ipotesi in esame concerne il secondo comma dell’articolo 96 c.p.c., che prevede la possibilita’ che la parte soccombente sia condannata al risarcimento del danno, dal giudice che abbia accertato l’infondatezza della domanda proposta, se ha agito in giudizio senza la normale prudenza, nelle ipotesi in cui alla proposizione della domanda giudiziale si associ il compimento di – o che essa sia preceduta da – altre attivita’ processuali o accessorie, particolarmente invasive della sfera giuridica della controparte ed astrattamente idonee ad essere fonte di un pregiudizio patrimoniale: la trascrizione della domanda, la esecuzione di un provvedimento cautelare, l’iscrizione di ipoteca giudiziale, l’intrapresa di una azione esecutiva.
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