Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 9 marzo 2018, n. 10772.
Tra le fattispecie di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies ed all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, sussiste un concorso formale eterogeneo e non un rapporto di consunzione e concorrendo le stesse ben possono essere ritenute sotto il vincolo della continuazione ai sensi dell’articolo 81 c.p., comma 2, per la loro sottesa identita’ di ratio.
Sentenza 9 marzo 2018, n. 10772
Data udienza 20 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere
Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/02/2017 della CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SCALIA LAURA;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. TAMPIERI LUCA, che ha concluso per l’annullamento con rinvio con riferimento al secondo motivo di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Milano con sentenza del 27 febbraio 2017, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Monza, ha rideterminato in un mese di reclusione la pena applicata all’imputato, (OMISSIS), condannato per il reato di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies, in relazione all’articolo 570 cod. pen., per essersi egli sottratto all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto all’ex coniuge quale contributo al mantenimento dei figli minori, ai sensi degli articoli 5 e 6 dell’indicata legge, fissato in 800 Euro mensili con sentenza del Tribunale civile di Monza, che pronunciava in sede di divorzio.
2. Ricorre in cassazione nell’interesse dell’imputato per l’annullamento dell’indicata sentenza il difensore di fiducia, con tre motivi.
2.1. La Corte di appello sarebbe incorsa in carenza di motivazione nella valutazione condotta delle prove acquisite, non determinandosi, all’esito, all’assoluzione dell’imputato.
Sarebbe stata provata l’impossibilita’ dell’imputato ad adempiere all’obbligo impostogli perche’ incapace economicamente di farvi fronte, elemento che avrebbe escluso un giudizio di responsabilita’ fondato oltre ogni ragionevole dubbio.
2.2. Sarebbe stato violato l’articolo 597 cod. proc. pen. per avere la Corte di appello escluso, con conseguente riforma in peius della sentenza di primo grado, quanto gia’ riconosciuto in primo grado dal Tribunale e cioe’ la continuazione del reato oggetto di giudizio con altro relativo a fatti analoghi, per il quale l’imputato aveva riportato condanna con sentenza del Tribunale di Monza.
Con il motivo di appello sarebbe stata invero richiesta una mera riforma del trattamento sanzionatorio sollecitandosi una riduzione dell’aumento in continuazione che veniva denunciato, nel grado, come eccessivo.
2.3. La motivazione impugnata sarebbe stata inoltre viziata in ordine al ritenuto trattamento sanzionatorio, in ragione del rinvio quoad poenam apprezzato dalle sezioni unite della Corte di cassazione (Sez. U, Sentenza n. 23866 del 31/01/2013) nei rapporti tra l’articolo 12 sexies legge cit. ed i, l’articolo 570 cod. pen., comma 1, avendo i giudici di merito mancato di indicare le ragioni per le quali era stata scelta, tra quelle alternative, la pena detentiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato perche’ non capace di portare concludente critica alla motivazione impugnata.
La Corte territoriale ha debitamente scrutinato la fattispecie contestata rilevando come concorra ad integrarla la inadempienza del coniuge obbligato a versare l’assegno fissato in sede divorzile, evidenza, questa, rispetto alla quale viene in rilievo l’eventuale incapacita’ patrimoniale dell’imputato a farvi fronte che deve, pero’, essere veicolata, come correttamente rilevato dai giudici di appello, attraverso la richiesta di modifica al giudice civile delle condizioni patrimoniali fissate nel provvedimento, richiesta nella specie mancata.
2. Il secondo motivo di ricorso e’ fondato e la sentenza sul punto merita annullamento, per le ragioni di seguito indicate.
2.1. La Corte di appello ha escluso l’esistenza della continuazione con gli analoghi fatti accertati con pregresso e distinto titolo, la sentenza del Tribunale di Monza, sezione di Desio, in data del 7 febbraio 2006, irrevocabile il 14 luglio 2011, incorrendo in tal modo ai sensi dell’articolo 597 c.p.p., comma 3, in una riforma in peius della sentenza di primo grado che detto vincolo, invece, aveva riconosciuto.
L’esclusione del vincolo della continuazione in appello comporta con la riaffermazione della pluralita’ dei reati gia’ unificati ai sensi dell’articolo 81 c.p., comma 2, in primo grado, una riforma in peius della sentenza correlandosi al reato continuato, figura fittiziamente intesa a determinati fini come unico reato – in quanto espressivo di una minore complessiva riprovevolezza -, un trattamento di favore.
Il reato continuato rileva invero dalla riconosciuta unicita’ della pena in applicazione del cumulo giuridico ai fini della concessione di una serie di benefici quali la sospensione condizionale della pena e l’indulto (Sez. 1, n. 39217 del 12/02/2014, Sforza, Rv. 260502; Sez. U, n. 21501 del 23/04/2009, Astone, Rv. 243380). La disciplina del reato continuato rileva ancora nel segnare il decorso della prescrizione (Sez. F, n. 34505 del 26/08/2008, Giorgi, Rv. 240671) o, in sede esecutiva, per imputare ad altra condanna la pena di fatto espiata oltre la misura rideterminata ai sensi dell’articolo 671 cod. proc. pen. e per escludere o limitare gli effetti penali della condanna in tema di recidiva e di dichiarazione di abitualita’ e professionalita’ nel reato (Sez. 1, n. 4692 del 10/01/2007, Spataro, Rv. 236568), nella premessa metodologica e di fine, comune a tutte le segnate ipotesi, che l’unitarieta’ del reato continuato debba affermarsi, oltre all’ipotesi in cui vi sia un’apposita disposizione normativa in tal senso, ove comunque la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo (Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, dep. 2009, Chiodi, Rv. 241755).
2.2. L’operata esclusione muove peraltro da una errata individuazione dei termini di struttura dei reati in valutazione: da una parte quello di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, per il periodo in cui l’obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli minori era destinato a valere in costanza di matrimonio in cui il primo rinviene la propria fonte, e, dall’altra, quello di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies in cui l’osservanza dell’obbligo viene veicolato attraverso il provvedimento, adottato dal giudice civile che ha pronunciato il divorzio.
Tra le fattispecie di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12 sexies ed all’articolo 570 c.p., comma 2, n. 2, (Sez. 6, n. 12307 del 13/03/2012, B., Rv. 252605) sussiste un concorso formale eterogeneo e non un rapporto di consunzione e concorrendo le stesse ben possono essere ritenute sotto il vincolo della continuazione ai sensi dell’articolo 81 c.p., comma 2, per la loro sottesa identita’ di ratio.
In entrambe le indicate fattispecie quanto rileva e’ l’inosservanza dell’obbligo di contribuzione nei confronti dei figli minori in pregiudizio delle ragioni del consorzio familiare inteso come formazione a rilievo e tutela costituzionale senza che il provvedimento adottato dal giudice civile valga ad individuare un diverso interesse tutelato dalla norma quale la violazione dell’autorita’ del provvedimento violato.
I differenti effetti si apprezzano piuttosto quanto alla consumazione del reato ad integrare il quale concorre l’inosservanza del provvedimento ed definizione del primo le sorti dello stesso, ferme restando le ragioni della norma incriminatrice nella tutela del soggetto piu’ debole.
2.3. E’ fondato l’ulteriore profilo del motivo di ricorso con cui si deduce la mancanza di motivazione nell’opzione sanzionatoria compiuta dalla Corte di appello.
La pur corretta individuazione della pena da applicarsi all’ipotesi di cui all’articolo 12 sexies L. cit. in quella prevista per l’ipotesi di cui all’articolo 570 c.p., comma 1 (Sez. U, Sentenza n. 23866 del 31/01/2013, S., Rv. 255269), avendo la Corte territoriale ritenuto la pena della reclusione di un mese con eliminazione di quella pecuniaria erroneamente applicata dal giudice di primo grado, non da’ pero’ conto delle ragioni che hanno sostenuto una siffatta scelta che sconta peraltro l’irrogazione tra quelle in via alternativa prevista della pena detentiva ovvero di quella piu’ afflittiva.
Il giudice, nell’esercizio del potere di scelta fra l’applicazione della pena detentiva o di quella pecuniaria, alternativamente previste, ha l’obbligo di indicare le ragioni che lo inducano ad infliggere la pena detentiva (Sez. 4, n. 4361 del 21/10/2014, dep. 2015, Ottino, Rv. 263201).
La Corte di appello mancando di indicare le ragioni della scelta non si e’ attenuta all’indicato principio.
3. La sentenza impugnata va pertanto annullata sui due punti indicati e la Corte di appello in applicazione degli indicati principi e’ chiarata a pronunciare sulla continuazione tra il reato giudicato e quello di cui alla sentenza del Tribunale di Monza, sezione di Desio, divenuta irrevocabile il 14 luglio 2011, e sulla mancata motivazione nella scelta operata tra le pene, detentiva e pecuniaria, alternativamente previste a definizione del trattamento sanzionatorio irrogabile per la fattispecie di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies e succ. modif..
4. Nel resto il ricorso va rigettato ed ai sensi dell’articolo 624 c.p.p., comma 2, va dichiarata la definitivita’ della responsabilita’ del ricorrente per il reato di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla specie della pena e alla esclusione della continuazione con i fatti oggetto di anteriore sentenza irrevocabile di condanna e rinvia per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Rigetta nel resto il ricorso, dichiarando definitiva la responsabilita’ del ricorrente per l’ascritto reato di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 12-sexies.
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