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E’ principio oramai consolidato che le regole dettate dall’articolo 192 c.p.p., comma 3, non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilita’ dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilita’ soggettiva del dichiarante e dell’attendibilita’ intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere piu’ penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214). Le stesse Sezioni Unite hanno altresi’ precisato come, nel caso in cui la persona offesa si sia costituita parte civile, possa essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi.
La Corte di appello ha ben evidenziato per ogni episodio i riscontri esterni, ripercorrendo analiticamente tutte le dichiarazioni della persona offesa ed evidenziando le condotte abituali addebitate al ricorrente (ovvero aggressioni che fino al 2010 riguardavano gli oggetti e non la sua persona, per poi degenerare nell’epoca successiva in minacce anche di morte, in percosse, in reazioni d’ira del ricorrente, in ritorsioni, nella violenza sugli oggetti, in pugni, in tirate di capelli, in occasione di continue discussioni che vedano il ricorrente adirarsi in particolare per gli impegni lavorativi della moglie, che lo stesso viveva problematicamente quanto alle modalita’ con cui la donna svolgeva il suo lavoro, con impegni non conciliabili, a suo avviso, con i rapporti familiari, tanto da stilare su una lavagna i giorni in cui avrebbero potuto pranzare assieme, con conseguente sue reazioni in caso in cui venissero disattesi gli accordi). La sentenza impugnata ha poi sottolineato come la donna fosse stata costretta a rifugiarsi da parenti e vicini per sottrarsi al ricorrente, tanto poi da prendere in affitto un appartamento temendo di essere aggredita nel sonno.
La Corte di appello, nel ricostruire lo snodarsi degli eventi, ha evidenziato la risalenza nel tempo degli episodi di maltrattamenti (a partire dal 2011 con piu’ atti di violenza e costanti minacce di morte alla persona offesa), e ha proceduto poi a rispondere dettagliatamente a tutti i rilievi difensivi, compresa la questione della attendibilita’ dei testi indicati dalla difesa, la’ dove gli stessi avevano tratteggiato una coppia serena o smentito le dichiarazioni della persona offesa. La Corte di appello ha in particolare dato logica e motivata spiegazione del perche’ le loro deposizioni non avevano rilievo. Ha poi fornito risposta sulle testimonianze de relato, rilevando come le eccezioni difensive fossero generiche e assertive.
La stessa Corte ha ragionevolmente evidenziato sul punto come le condotte maltrattanti fossero avvenute tra le mura domestiche, quindi in assenza di diretti testimoni, e come chi le subisca tenti di conservare il rapporto familiare cercando di gestire la situazione, anche per paura di comprometterlo con denunce o temendo ritorsioni, confidandosi piuttosto con vicini o parenti dai quale ricevere aiuto in situazioni di emergenza.
Sulla base di quanto in fatto ricostruito dalla sentenza impugnata, devono ritenersi all’evidenza infondate le critiche del ricorrente in ordine alla mancanza degli elementi tipici della fattispecie penale contestata, proponendo piuttosto le censure una rivisitazione del quadro probatorio, non consentita in questa sede.
3.2. Ad identiche conclusioni deve pervenirsi per il terzo motivo, in cui si prospetta una visione della vita familiare che dovrebbe giustificare i comportamenti posti in essere dal ricorrente.
Nel reato di maltrattamenti di cui all’articolo 572 c.p. l’oggetto giuridico non e’ costituito solo dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumita’ fisica e psichica delle persone indicate nella norma, interessate al rispetto della loro personalita’ nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari (tra tante, Sez. 6, n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794).
Anche su tale punto la risposta della Corte di appello ad analoga questione versata dal ricorrente nell’appello appare quindi corretta.
3.3. La stessa Corte territoriale ha infine correttamente affrontato anche il tema dell’elemento soggettivo, ponendo in evidenza gli elementi dimostrativi del dolo generico.
Nel reato abituale, il dolo non richiede infatti – a differenza che nel reato continuato – la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate; e’ invece sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attivita’ delittuosa, gia’ posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (tra tante, Sez. 6, n. 15146 del 19/03/2014, D’A, Rv. 259677).
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 3.000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000 in favore della cassa delle ammende.
Motivazione semplificata.
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