Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 29 novembre 2017, n. 53834. In sede di impugnazione cautelare avverso il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente

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In quella circostanza la Corte di cassazione con la sentenza del 22/11/2016 aveva in particolare affermato: “l’ordinanza impugnata presenta tale vizio di motivazione, atteso che, una volta superata la pur erronea qualificazione giuridica dell’istanza, ha motivato il rigetto di questa, limitandosi ad affermare in modo apodittico che “non e’ sufficiente a giustificare l’ulteriore riduzione dell’importo una mera consulenza di parte”, senza alcuna indicazione delle ragioni per cui si siano ritenute irrilevanti le deduzioni di cui alla consulenza medesima e, quindi, senza consentire di comprendere quale sia stato il percorso logico che ha portato a ritenere le argomentazioni addotte in tale consulenza inidonee a sostenere le ragioni degli odierni ricorrenti. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio”.
A tale stregua nel giudizio di rinvio avrebbe dovuto procedersi alla specifica analisi della consulenza di parte e all’indicazione delle ragioni per cui la stessa avrebbe potuto o meno assumere rilievo ai fini della determinazione del profitto confiscabile.
3. Il Tribunale con l’ordinanza in questa sede impugnata ha rilevato in primo luogo che in sede di riesame o di appello cautelare il tribunale non dispone di poteri istruttori e non e’ tenuto a dirimere questioni tecniche e contabili per la cui risoluzione e’ necessario il ricorso ad un accertamento peritale; in secondo luogo che la consulenza di parte non era valutabile senza l’ausilio di imprescindibili nozioni tecniche necessarie per verificare la correttezza e la regolarita’ dei risultati esposti, compresi quelli riferibili al secondo criterio di tipo sostanziale, venendo in rilievo canoni estranei alla cognizione giuridica del giudice del riesame.
4. Deve a questo punto osservarsi che il Tribunale in ordine al criterio di determinazione del profitto ha mostrato di condividere l’orientamento secondo cui, quando venga in rilievo un “reato in contratto”, in cui l’illiceita’ si annida non tanto nel mero fatto della conclusione del contratto bensi’ nello sviluppo della sua esecuzione, il profitto non puo’ essere correlato al corrispettivo pattuito, dovendosi verificare se all’attivita’ illecita si sia accompagnata una qualche controprestazione lecita, con la conseguenza di dover decurtare dall’importo conseguito i costi vivi sostenuti per dare adempimento alla prestazione di cui la controparte si e’ avvantaggiata.
Si tratta in effetti di principio che si ricollega a quanto rilevato dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (Cass. Sez. U. n. 26654 del 27/3/2008, Fisia Italimpianti, rv. 239924) e che ha trovato poi compiuta applicazione in numerose successive pronunce (Cass. Sez. 6, n. 8616 del 13/1/2016, Malandra, non massimata; Cass. Sez. 6, n. 9988 del 27/1/2015, Moioli, rv. 262794; Cass. Sez. 6, n. 53430 del 5/11/2014, G-Risk, rv. 261841).
Sta di fatto che proprio in funzione della concreta applicazione del citato principio il Tribunale avrebbe dovuto verificare la pertinenza e la concreta utilizzabilita’ dei dati esposti nella consulenza di parte.
5. In concreto il Tribunale si e’ pero’ sottratto a tale specie di cimento, rilevando che la consulenza utilizzava alternativamente due criteri, uno di tipo bilancistico e l’altro di tipo sostanziale, e che anche con riferimento a questo secondo venivano in rilievo nozioni estranee alla cognizione del giudice del riesame, non verificabili mediante perizia in ragione dell’assenza di poteri istruttori.
Su tale punto va rimarcato che in effetti in sede di riesame e di appello cautelare il tribunale non dispone di poteri istruttori, incompatibili con la struttura, la funzione e la celerita’ del giudizio (il principio trova espressione in numerose pronunce della Corte di cassazione: Cass. Sez. 1, n. 23869 del 22/4/2016, Perricciolo, rv. 267993; Cass. Sez. 3, n. 43695 del 10/11/2011, Bacio Terracina Coscia, rv. 251329; Cass. Sez. 3, n. 21633 del 27/4/2011, Valentini, rv. 250016).
Va pero’ rilevato che il sequestro, funzionale alla confisca, costituisce una misura che influisce in modo incisivo sulla proprieta’ e deve dunque avere una base legale ed essere specificamente commisurato all’entita’ per la quale esso e’ previsto e disciplinato, solo in tal modo essendo compatibile con quanto previsto dalla C.E.D.U., Prot. 1, articolo 1, come interpretato dalla Corte di Strasburgo (si rinvia a Corte europea dei diritti umani, 29/10/2013, Varvara contro Italia).
Cio’ significa che fin dall’inizio si impone una nitida individuazione delle ragioni del sequestro e del quantum sequestrabile, alla luce dei canoni legislativamente applicabili, come interpretati dalla giurisprudenza di legittimita’.
Grava dunque sull’A.G. l’onere di definire non in termini approssimativi ma quanto piu’ possibile precisi l’ambito di operativita’ del sequestro anche in termini quantitativi, se del caso svolgendo mirate indagini anche di tipo tecnico, volte ad assicurare nei vari casi la compiuta determinazione del profitto suscettibile di sequestro in funzione di confisca.
In tale prospettiva si comprende che il tribunale, chiamato alla verifica dei parametri utilizzati, non disponga di autonomi poteri di intervento e di approfondimento.
Puo’ pero’ porsi il caso che il corretto canone per l’individuazione del profitto confiscabile sia stato individuato progressivamente e non abbia trovato espressione in una previa indagine di tipo tecnico.
Si tratta di stabilire se e in che misura possa la parte interessata validamente offrire un proprio contributo mediante l’allegazione di una consulenza, che, esaminando il tema, giunga a definire il quantum sequestrabile, se del caso avvalendosi di dati e nozioni di tipo tecnico-specialistico.
Sul punto e’ stato di recente affermato che “in sede di riesame o di appello avverso una misura cautelare reale, il tribunale non e’ tenuto a dirimere le questioni tecniche e contabili per la cui risoluzione e’ necessario il ricorso ad un accertamento peritale, costituendo questo un mezzo istruttorio incompatibile con l’incidente cautelare” (Cass. Sez. 3, n. 19011 del 11/2/2015, Citarella, rv. 263554).
Il principio puo’ dirsi in linea di massima condivisibile “de iure condito”, pur potendosi auspicare un mirato intervento volto ad ampliare le possibilita’ di intervento del tribunale in sede cautelare, in corrispondenza con il notevole ampliamento dei casi di confisca, anche obbligatoria.
Ma sta di fatto che la parte interessata ha la facolta’ di controdedurre e di ottenere sul punto una puntuale risposta, nei limiti di quanto allo stato del procedimento sia consentito, anche per scongiurare il rischio che eventuali inerzie implichino il protrarsi di misure ablative alla resa dei conti ingiustificate.
6. Si tratta dunque di distinguere tra verifiche in fatto e verifiche di carattere tecnico-specialistico, implicanti il riferimento a nozioni che coinvolgono un sapere che puo’ essere introdotto con l’ausilio di esperti, dovendosi inoltre rilevare come il problema possa porsi con riguardo all’applicazione al fatto di canoni di ordine tecnico.
In tale delicata prospettiva occorre da un lato che il consulente di parte non si limiti ad esporre risultati, ma dia conto puntualmente dei criteri tecnici adottati e di quali elementi di fatto si sia avvalso, senza di che la consulenza risulta in radice inidonea a fondare una valutazione favorevole.
D’altro canto occorre che il Tribunale in sede cautelare dia a sua volta conto dei criteri adottati dal consulente di parte, dei risultati cui e’ pervenuto e del margine di valutazione di cui dispone, valorizzando nozioni giuridiche e massime di esperienza in rapporto agli elementi di fatto da lui conosciuti o comunque conoscibili.
Cio’ impone dunque al tribunale di procedere all’analisi della consulenza e alla individuazione precisa della sua struttura e del suo contenuto, con indicazione puntuale della sua pertinenza o meno rispetto all’oggetto di indagine, e dei dati tecnici che si sottraggono alla diretta verifica, in assenza dell’ausilio di un esperto di cui il tribunale non puo’ disporre.
7. Cosi’ ricostruito il quadro, deve rilevarsi come nel caso di specie il Tribunale non abbia affatto proceduto all’esame della consulenza, come impostogli dalla sentenza di annullamento con rinvio, ma si sia limitato a segnalare che il consulente aveva alternativamente utilizzato due criteri e a concludere apoditticamente che anche il secondo criterio di tipo sostanziale implicava la verifica di risultati estranei alla cognizione giuridica del giudice del riesame, senza tuttavia aver compiuto alcuna analisi dei due criteri utilizzati e delle basi su cui si fondavano, senza aver formulato un chiaro giudizio in ordine alla pertinenza almeno in astratto dell’uno o dell’altro criterio e senza aver da ultimo verificato quali nozioni tecniche o quali correlazioni tra dati tecnici ed elementi di fatto concretamente esulavano dalle nozioni incluse nel sapere del Giudice, valutabili solo con l’ausilio di un esperto.
8. Tale omessa verifica da’ luogo ad una violazione di legge con riguardo sia al mancato rispetto del criterio-guida indicato in sede di annullamento con rinvio sia alla sostanziale mancanza di una motivazione sul punto.
Di qui l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Biella.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Biella.

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