Nel delitto ex art. 314 c.p. è configurabile il concorso con il pubblico ufficiale dell’estraneo alla pubblica amministrazione

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, sentenza 18 aprile 2018, n.17503.

Nel delitto ex art. 314 c.p. è configurabile il concorso con il pubblico ufficiale dell’estraneo alla pubblica amministrazione, sia come istigatore o determinatore, sia come cooperatore nella esecuzione della condotta sia come soggetto che indirizza e rafforza la volontà criminosa dell’agente, purché i partecipi siano consapevoli della situazione di fatto in cui operano e contribuiscano consapevolmente, ciascuno per la sua parte, a realizzare lo stesso reato, anche se la condotta del partecipe è successiva a quella dell’intraneus.

SENTENZA 18 aprile 2018, n.17503

Pres. Paoloni – est. Costanzo

Ritenuto in fatto

1. La vicenda processuale riguarda un’attività di sistematica sottrazione di preziosi volumi rari custoditi presso la Biblioteca statale oratoriale dei (omissis) (sita a (…)) promossa e organizzata, con il concorso di altre persone, da D.C.M.M. (direttore della biblioteca). I volumi furono immessi nel circuito dell’antiquariato e, in particolare, la casa d’aste di (omissis) , della quale è contitolare l’imputato S.H. , aveva programmato una vendita all’incanto per giorni 9-11 del maggio del 2012, predisponendo un catalogo in cui comparivano 540 volumi e manoscritti sottratti alla biblioteca e trasportati dall’Italia a Monaco di Baviera con anticipazioni sul corrispettivo per circa un milione di Euro.

Con sentenza n. 8304 del 15/10/2015, la Corte di appello di Napoli ha confermato la condanna inflitta – con giudizio abbreviato – il 5/06/2014 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli a S.H. ex artt. 81, comma 2, 110, 112, comma 1 n.1, 314 e 61 n. 7 cod. pen. (capo B), per essersi appropriato dei suindicati volumi e manoscritti di interesse storico e artistico al fine di metterli all’incanto presso la propria casa d’aste – agendo in concorso e previo accordo con D.C. e altre persone – e ex artt. 81, comma 2, 110, 112, comma 1 n.1, 61 n. 9 cod. pen. e 174 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 per avere, agendo in concorso con i predetti e altre persone, trasferito all’Estero i volumi indicati nel capo ricevendoli e mettendoli all’asta (capo C).

2. Nel ricorso di S. si chiede l’annullamento della sentenza.

2.1. Con il primo motivo di ricorso si deducono violazione degli artt. 110 e 314 cod. pen. e vizio di motivazione per inosservanza della disciplina in tema di concorso eventuale dell’extraneus straniero residente all’Estero in reato proprio di natura istantanea (capo B). Il ricorso richiama la sentenza emessa da questa Sezione (n. 18762 del 21/01/2014) nel procedimento cautelare e contesta la ricostruzione dei fatti che ha portato la Corte di appello a delineare l’accordo di S. con D.C. come solo successivo alle prime (dal giugno al settembre 2001) appropriazioni di libri da parte del secondo perché in contrasto con la natura istantanea del peculato, senza peraltro precisare quali dei libri trovati in possesso dell’imputato siano stati asportati dopo il settembre 2011 e come e quando si sarebbe perfezionato l’accordo delittuoso.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione degli artt. 43 e 314 cod. pen. e omessa motivazione circa il dolo nella partecipazione dell’extraneus (nel caso in esame un tedesco di lingua tedesca che vive in Germania) nel reato proprio dell’agente (capo B) e, in particolare circa la conoscibilità della provenienza dei volumi (il cui primo foglio non era timbrato come ordinariamente lo è nelle biblioteche pubbliche – e il cui furto da una biblioteca statale non era segnalato nella rete della Lega internazionale degli antiquari) e circa la qualifica di D.C. come pubblico ufficiale perché direttore della biblioteca.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso (pagg. 11-29) si deducono violazione degli artt. 192, commi 2 e 3 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 110 e 314 cod. pen. e vizio di motivazione per avere trascurato gli elementi di valutazione da cui si desume la buona fede di S. : le dichiarazioni dei coimputati D.C. , C. , Ca. e c. ; l’intercettazione di alcune loro conversazioni; l’inserimento dei libri nei cataloghi cartacei e informatici della casa d’aste; il versamento dell’anticipo di un milione di Euro; l’iscrizione dell’operazione nelle scritture contabili della società, il leale comportamento verso gli investigatori.

2.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 174 d.lgs. n. 42/2004 (capo C), perché la norma incrimina chi esporta all’Estero e non anche il cittadino straniero che riceve il bene, osservando che, comunque, dall’accoglimento dei motivi di ricorso precedenti deriva anche l’esclusione della responsabilità per il reato descritto nel capo C.

2.5. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione nel disconoscere le circostanze attenuanti generiche trascurando che il ricorrente, bloccando l’asta, evitò la perdita dei volumi, che anzi spontaneamente consegnò agli inquirenti con i quali anche collaborò; si rileva, inoltre, che, come già prospettato nell’atto di appello, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche si renderebbe possibile la sospensione condizionale della pena.

Considerato in diritto

1. Il primi tre motivi di ricorso possono essere trattati unitariamente.

Nella precedente sentenza di questa Sezione, relativa al provvedimento cautelare (annullato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli) emesso nei confronti di S. , è stato osservato che la sua consapevolezza, poiché maturata solo nel momento dell’accettazione del mandato d’asta, potrebbe fare configurare a suo carico una ricettazione (o un favoreggiamento reale), ma non un concorso, in qualità di extraneus, nel peculato contestato a D.C. (con quel che ne deriva anche circa il tempus e il locus commissi delicti), reato realizzabile solo con un apporto (materiale o morale) anteriore alla sua commissione.

La predetta sentenza ha trattato il problema del concorso morale dell’extraneus in un fatto di peculato, quale reato istantaneo che si consuma nel momento in cui il funzionario pubblico si appropria della cosa di cui dispone ‘per ragione del suo ufficio’ (ex multis, Sez. 6, n. 12141 del 19/12/2008, Rv. 243054), rilevando: a) che il concorso morale è concepibile limitatamente a contributi (al rafforzamento della volontà e/o all’organizzazione delle reato) che precedano l’appropriazione, mentre nella fattispecie D.C. (con il concorso di altri) asportò i volumi e li concentrò nella sua casa di (…) dalla quale solo successivamente furono trasferiti a Monaco, per cui S. avrebbe potuto concorrere nel peculato solo se D.C. ne avesse ricevuto per tempo la disponibilità a cooperare; b) che la consapevolezza della illecita asportazione dei volumi dalla biblioteca non implica la conoscenza della qualità di pubblico ufficiale di D.C. quale condizione del loro possesso e occasione per la loro asportazione.

In altri termini, la precedente sentenza di questa Sezione esclude la configurabilità del concorso dell’extraneus nel peculato successivamente alla sua commissione da parte dell’intraneus perché trattasi di reato istantaneo.

2. La Corte di appello ha valutato superabili gli argomenti sopra richiamati ricostruendo il fatto nei termini che seguono.

2.1. Ha ritenuto (pagg. 12-13) l’imputato consapevole della provenienza illecita dei volumi osservando che: ricevette 540 volumi antichi e rari con tracce evidenti di provenienza da istituzioni pubbliche e senza la documentazione che ne consentisse la libera circolazione e l’esportazione, pur essendo titolare di una prestigiosa casa d’aste e persona dotata di vasta cultura e esperienza nel settore; inoltre, nelle conversazioni fra C. e D.C. si considera la possibilità che S. potesse reagire alle insistenze di D.C. per riavere alcuni incunaboli denunziandolo alla Sovrintendenza. Ha valutato (pagg. 14-42) che indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza di un accordo fra S. e D.C. (con il primo consapevole della qualifica di pubblico ufficiale dell’altro) che indusse D.C. a sottrarre i volumi perché S. era disponibile a venderli all’asta del maggio 2012 – siano desumibili: dai filmati acquisiti e dalle dichiarazioni dei fratelli B. , secondo i quali le sottrazioni di volumi, iniziate nel giugno del 2011, continuarono sino a tutto il febbraio 2012; dalle conversazioni dalle quali emerge che S. aveva personalmente incontrato D.C. a Monaco e sapeva che era il venditore dei libri che gli venivano materialmente consegnati da C. ; dal fatto che le asportazioni dei libri si intensificarono in prossimità dell’appuntamento che D.C. e C. avevano l’1/03/2012 in Germania e che, in vista della chiusura (prevista per il 16/03/2012) del catalogo dell’asta, D.C. incontrò personalmente S. a Monaco (pagg. 23-24, 27, 30, 32); dalla considerazione che le omissioni e le superficialità dei controlli della casa d’aste in assenza di un accordo con D.C. , sarebbero incomprensibili; dal fatto che S. trattava con C. sapendo che questi era l’intermediario di D.C. e, quando questi, poiché insoddisfatto delle trattative e dell’anticipo ricevuto, arrivò a prospettare una azione legale e l’intervento della Polizia per riavere i libri quale direttore della biblioteca (pag. 35-36), l’altro reagì minacciando di denunciarlo alla Sovrintendenza.

In definitiva, secondo la tesi della Corte di appello la possibilità di fare affidamento sulla disponibilità generalizzata di S. a ricevere i libri pagando forti anticipi sull’asta rafforzò la determinazione a delinquere di D.C. : la sicurezza di un canale certo di smercio fuori dall’Italia e in una città facilmente raggiungibile trasportando i libri in automobile rafforzarono il suo proposito criminoso inducendolo a commettere sottrazioni ulteriori dopo il settembre 2011.

2.2. La difesa del S. ha sollevato alcune puntuali obiezioni alla ricostruzione della Corte di appello – rilevanti in ordine al riconoscimento della responsabilità di S. per il reato di peculato – compendiabili nel seguente rilievo: la sentenza esclude il concorso del ricorrente nel reato di peculato per il periodo che precede il settembre 2011, ma non è provato che D.C. si fosse impossessato dei volumi che diede a S. dopo quella data e non, invece, prima (anche perché non deve trascurarsi che i volumi asportati furono circa 2000 mentre quelli dati all’imputato furono 540).

Il criterio per distinguere la responsabilità per il reato di ricettazione o di favoreggiamento reale dalla responsabilità per il concorso nel reato (presupposto) di peculato – che escluderebbe la prima – non può essere solo quello temporale ma occorre, in più, che il giudice verifichi, caso per caso, se la preventiva assicurazione di smerciare il bene oggetto del peculato abbia realmente influenzato o rafforzato, nell’autore del reato principale, la decisione di delinquere (Sez. 5, n. 8432 del 10/01/2007, Rv. 236254;)

2.3. Nel delitto ex art. 314 cod. pen. è configurabile il concorso con il pubblico ufficiale dell’estraneo alla pubblica amministrazione (sia come istigatore o determinatore, sia come cooperatore nella esecuzione della condotta sia come soggetto che indirizza e rafforza la volontà criminosa dell’agente), ma per aversi concorso di persone nel reato e necessario che i partecipi siano consapevoli della situazione di fatto in cui operano e contribuiscano consapevolmente, ciascuno per la sua parte, a realizzare lo stesso reato (Sez. 6, n. 2005 del 05/08/1980, Rv. 146264; Sez. 6, n. 2005 del 05/08/1980, Rv. 146263).

Su questa base, la tesi (già adottata dal Tribunale per il riesame e disattesa dalla sentenza di questa Sezione intervenuta in relazione al provvedimento cautelare), secondo cui la realizzazione di un reato concorsuale doloso non richiede un preventivo accordo perché basta che più persone orientino causalmente i loro comportamenti così da produrre, con il concorrere dei loro apporti, l’evento che integra l’illecito – per cui l’intesa tra i correi può intervenire nel momento della consumazione, ma potrebbe addirittura mancare, bastando che sia dimostrata la consapevolezza del concorrente di incidere con il proprio contributo su una serie causale avviata da altro soggetto (cosiddetta ‘concorrenza partecipativa non previamente concertata’) – non può condividersi. Infatti, questa tesi poggia su una costruzione teleologica del reato come fatto orientato alla lesione di un bene giuridico protetto che condurrebbe a qualificare come concorrente chiunque consapevolmente contribuisse alla lesione, in contrasto con il principio di determinatezza delle fattispecie incriminatrici.

Certamente il combinarsi dell’art. 110 cod. pen. con una specifica norma incriminatrice consente il cosiddetto concorso unilaterale perché determina fattispecie incriminatrici plurisoggettive eventuali che puniscono contributi materiali alla realizzazione del fatto animati (a prescindere da un previo concerto con gli altri partecipanti) dall’elemento psicologico del reato. L’ordinamento penale ammette il concorso nel reato con persone non imputabili (artt. 111 e 112, comma 4, cod. pen.) o non punibili per una circostanza soggettiva di esclusione della pena (art. 119 cod. pen.) e, a fortiori, risulta configurabile un concorso con chi si rappresenti di realizzare un reato ignorando solo l’apporto altrui.

In altri termini, la volontà di contribuire alla realizzazione di un reato non presuppone necessariamente un previo accordo con i compartecipi, né la reciproca consapevolezza del concorso altrui, e può manifestarsi con un accordo (anche un’intesa istantanea) o rimanere solo unilaterale (anche come semplice adesione all’opera dell’altro ignaro): non occorre la prova del previo concerto tra i concorrenti, ma è necessario dimostrare che ciascuno di loro ha agito per una finalità unitaria con la consapevolezza, anche solo unilaterale, del ruolo svolto dagli altri e con la volontà di contribuire alla loro condotta (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Rv. 218525; Sez. 6, n. 46309 del 09/10/2012, Rv. 253984; Sez. 5, n. 25894 del 15/05/2009, Rv. 243901).

Tuttavia, tale figura concorsuale presuppone comunque una partecipazione materiale alla realizzazione del reato commesso dall’autore principale.

Invece, nel caso in esame, dalle sentenze di merito emerge che la condotta di S. consistette nell’adoperarsi per l’immissione sul mercato dei libri sottratti, e fu posteriore alla appropriazione dei beni che costituisce la consumazione del delitto ex art. 314 cod. pen..

Come già rilevato dalla decisione di questa stessa Corte relativa alla fase cautelare, l’assenza di un contributo di S. che abbia quantomeno agevolato – sul piano materiale – la appropriazione dei beni non esclude che possa configurarsi un suo concorso (morale) nella determinazione o nel rafforzamento del proposito criminoso, ma l’accertamento di questo condizionamento psichico richiede la puntuale ricognizione di una qualche forma di influenza rispetto alle successive condotte di appropriazione, oltre alla consapevolezza da parte dell’imputato delle implicazioni della sua disponibilità verso D.C. , e non può essere provato solo sulla base dei contatti intercorsi fra S. e i complici di D.C. perché l’attività criminosa era già in corso in quel momento.

Da quanto precede deriva l’accoglimento dei primo motivo di ricorso (relativo alla individuazione del contributo alla realizzazione del peculato), che assorbe la rilevanza del secondo e del terzo (anch’essi relativi al delitto di peculato).

1.4. Il quarto motivo di ricorso nella parte in cui vi si deduce violazione dell’art. 174 d.lgs. n. 42/2004 (capo C), perché la norma incriminerebbe chi esporta all’Estero e non anche il cittadino straniero che riceve il bene non risulta fra i motivi di appello e nella parte in cui assume che dall’accoglimento dei motivi di ricorso relativi alla configurabilità del concorso postumo dell’extraneus nel peculato deriverebbe anche l’esclusione della responsabilità per il reato descritto nel capo C risulta logicamente fallace.

In ogni caso è, nel suo complesso, manifestamente infondato.

L’art. 174, comma 1, d.lgs. n. 42/2004 (Uscita o esportazione illecite) punisce ‘Chiunque trasferisce all’estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, nonché quelle indicate all’art. 42, senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione…’. La norma non si riferisce ai soli beni culturali riconosciuti tali con la dichiarazione prevista dall’art. 13 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, ma, più in generale, a cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale archivistico, in maniera da tutelare le cose che sarebbero suscettibili di dichiarazione di interesse culturale anche se quest’ultima non è intervenuta (Sez. 3, n. 17223 del 03/11/2016, dep. 2017, Rv. 269627).

La condotta ascritta a S. è evidentemente non un concorso materiale ma un concorso morale consistito nell’offrire le condizioni per rendere appetibile il trasferimento all’Estero dei volumi sottratti alla Biblioteca dei (omissis).

Né dall’accoglimento del motivo di ricorso inerente alla configurabilità del concorso in peculato deriva una fallacia nell’affermazione della responsabilità per il capo C, perché trattasi di condotte materialmente distinte e cronologicamente distinguibili.

Peraltro, nell’ipotesi di concorso di più persone nel reato, alcune delle quali abbiano realizzato una parte della condotta in Italia e una parte all’estero, oppure totalmente all’estero alcune e totalmente in Italia altre, coloro che attuarono una collaborazione nella esecuzione del fatto in territorio estero, risponderanno del reato come se commesso in Italia, perché la loro condotta costituisce la frazione di un tutto che ha trovato la sua attuazione anche nel territorio dello Stato, con quel che ne deriva ex art. 6 cod. pen., suscita l’interesse punitivo (Sez. 6, n. 7478 del 09/12/1992, dep. 1993, Rv. 195045).

Nel caso in esame, il contributo morale al reato dello S. si salda, formando un unicum, con le condotte dei correi tese a trasferire fuori dal territorio nazionale i libri di provenienza illecita, per cui – ex art. 6 cod. pen. – va considerato come se realizzato in Italia.

1.5. Il quinto motivo di ricorso è infondato.

Il riconoscimento delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a fare emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (Sez.6, n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737; Sez. 1, 46954 del 04/11/2004, Rv. 230591). Nel caso in esame, la Corte di appello ha adeguatamente motivato il diniego valutando la ‘spregiudicatezza dell’imputato’ e ‘la sua condotta processuale tutta impostata sulla menzogna’ e considerando che il suo silenzio per oltre un mese dopo il sequestro della Biblioteca indica il tentativo di portare a termine l’asta (bloccata solo per la denuncia di una casa d’asta londinese) stante la sua notevole esposizione economica (per gli anticipi dati a D.C. ) e il comportamento come volontà di ridimensionare la gravità della sua posizione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di concorso in peculato di cui al capo B) della rubrica e rinvia per nuovo giudizio su tale capo ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso, dichiarando definitiva la responsabilità dello S. per il reato di cui al capo C) della rubrica

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