Corte di Cassazione, sezione sesta, ordinanza 27 febbraio 2018, n. 4560. Le aziende a capitale misto sono tenute al pagamento dei contributi per Cig e mobilità, non si applica dunque l’esenzione prevista per le aziende industriali dello Stato.

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[…]

La questione qui riproposta e’ stata esaminata da plurime pronunce di questa Corte (v. ancora da ultimo Cass. n. 8591 del 03/04/2017, nonche’ Cass. 22/3/2017 n. 7332 e Cass. 12/05/2016 n. 9816, riferita alla stessa societa’ oggi ricorrente, ed i numerosi precedenti conformi ivi richiamati) in cui si e’ ritenuto, con soluzione cui occorre dare continuita’, che le societa’ a capitale misto, ed in particolare le societa’ per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attivita’ industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilita’. L’applicabilita’ dell’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici dal D.L.C.P.S. n. 869 del 1947) articolo 3, e’ stata, infatti, esclusa sul rilievo della natura essenzialmente privata delle societa’ partecipate, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la meni partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico. E’ stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato e’ per l’ente locale la modalita’ di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilita’ dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico e’ caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalita’ perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali e’ specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio alle dipendenze di soggetto di diritto privato.

3.1. Resta da aggiungere che le suesposte conclusioni non possono essere scalfite ne’ dal Decreto Legislativo n. 148 del 2015, articolo 10, il quale – per quanto qui interessa – ha espressamente previsto l’assoggettamento alla cassa integrazione (e alla relativa contribuzione) delle imprese industriali aventi ad oggetto la “produzione e distribuzione dell’energia, acqua e gas”, dal momento che la sua natura innovativa rispetto al quadro ordinarnentale gia’ esistente e’ stata espressamente disconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. in tal senso Cass. nn. 9816 del 2016, 26016 e 26202 del 2015), ne’ a fortiori dall’articolo 1, comma 309, 1 n. 208/2015, il quale, nel far salvo dal novero delle abrogazioni previste dal Decreto Legislativo n. 148 del 2015, articolo 46, l’articolo 3, d.l.C.p.S. n. 869/1947 (a norma del quale “sono escluse dall’applicazione delle norme sulla integrazione dei guadagni degli operai dell’industria (…) le imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate, e dello Stato”), ha semmai confermato la voluntas legis di escludere dall’area di operativita’ delle disposizioni concernenti l’integrazione salariale soltanto quei soggetti che possano qualificarsi come “imprese industriali dello Stato o di altri enti pubblici”, tra le quali, per le ragioni anzidette, non possono figurare le imprese gestite in forma di societa’ a partecipazione pubblica (cosi’ Cass. 12/10/2017 n. 24013, Cass. nn. 7332 e 8704 del 2017, dove il richiamo a Cass. S.U. nn. 26283 del 2013 e 5491 del 2014).

4. Con il terzo motivo (OMISSIS) s.p.a. ha dedotto la nullita’ della sentenza per omessa pronuncia sulla domanda subordinata di annullamento o riduzione delle sanzioni/somme aggiuntive.

La societa’ in via subordinata deduce di avere impugnato la sentenza del Tribunale laddove aveva ritenuto insussistenti presupposti per l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta ai sensi della L. n. 388 del 2000, articolo 116, comma 15, lettera a) non sussistendo la condizione dell’avvenuto pagamento dei contributi; inoltre, atteso il contrasto interpretativo in giurisprudenza ed in sede amministrativa, verificatosi nella materia, sostiene che sussistevano i presupposti per l’applicazione delle sanzioni in misura ridotta ai sensi dell’articolo 116 cit., commi 10 e 15.

5. Neppure tale motivo e’ fondato.

Nella stessa prospettazione della societa’ ricorrente, il motivo d’appello avente ad oggetto le sanzioni civili era del tutto generico, venendo contestato il relativo capo della sentenza del Tribunale senza precise argomentazioni in merito all’avvenuto pagamento dei contributi, sicche’ il mancato esame da parte della Corte territoriale e’ dipeso da una valutazione implicita d’ inammissibilita’ del motivo. Del resto, neppure in questa sede il ricorrente riferisce di avere tempestivamente provveduto al pagamento.

Ed il decisum del Tribunale, che aveva escluso l’applicabilita’ delle sanzioni in misura ridotta di cui alla L. n. 388 del 2000, articolo 116, comma 15, lettera a), e’ coerente con l’interpretazione di questa Corte, secondo la quale l’ipotesi in cui il ritardato o mancato versamento dei contributi derivi da oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sulla ricorrenza dell’obbligo presuppone l’integrale pagamento dei contributi e dei premi dovuti alle gestioni previdenziali e assistenziali (Cass. n. 01/03/2016 n. 4077, 10/12/2013 n. 27513), in disparte il fatto che il medesimo comma 15 richiede a tal fine un provvedimento di competenza del consiglio di amministrazione dell’ente impositore, sulla base di direttive impartite in sede ministeriale (Cass. n. 15897 del 26/06/2017).

6. Il ricorso, manifestamente infondato ex articolo 375 c.p.c., comma 1 n. 5, deve quindi essere rigettato con ordinanza in camera di consiglio, cosi’ confermando il Collegio la proposta formulata dal relatore ex articolo 380 bis c.p.c..

7. La regolamentazione delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.

8. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ in favore dell’Inps, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto Legislativo n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

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