Corte di Cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 9 ottobre 2017, n. 23617. Il divieto del patto commissorio ed il collegamento negoziale

Il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c., con la conseguente sanzione di nullità radicale, si estende a qualsiasi negozio, ancorché di per sé astrattamente lecito, allorché esso venga impiegato per conseguire il fine concreto, riprovato dall’ordinamento, della illecita coercizione del debitore, costringendolo al trasferimento di un bene a scopo di garanzia nella ipotesi di mancato adempimento di una obbligazione assunta. In particolare, si ritiene pacificamente che il patto commissorio possa essere ravvisato anche di fronte a più negozi tra loro collegati, quando da essi scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene del debitore sia collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, a prescindere dalla natura meramente obbligatoria o traslativa o reale del contratto, ovvero dal momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi nonché dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dalla identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati sempre che questi siano stati concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde risultare idonei al raggiungimento dello scopo finale di garanzia che le parti si erano prefissate. Ne consegue che, in linea di principio, anche un contratto preliminare di compravendita può incorrere nella sanzione dell’art. 2744 c.c., ove risulti l’intento primario delle parti di costituire con il bene promesso in vendita una garanzia reale in funzione dell’adempimento delle obbligazioni contratte dal promittente venditore con altro negozio collegato, sì da stabilire un collegamento negoziale e strumentale tra i due negozi. È evidente, peraltro, che, allorché lo strumento negoziale adoperato dalle parti in funzione di garanzia sia rappresentato da un contratto preliminare, in tanto può configurarsi un illecito patto commissorio, in quanto i contraenti abbiano predisposto un meccanismo (quale la previsione di una condizione) diretto a far sì che l’effetto definitivo e irrevocabile del trasferimento si realizzi solo a seguito dell’inadempimento del debitore-promittente venditore, rimanendo, in caso contrario, il bene nella titolarità di quest’ultimo.
In tal caso, infatti, il contratto preliminare viene impiegato per conseguire l’illecita coartazione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, per cui non sussiste la causa di scambio, tipica di ogni contratto di compravendita, ma il preliminare costituisce il mezzo per raggiungere il risultato vietato dalla legge.

Corte di Cassazione

sez. VI Civile – 2

ordinanza 10 marzo – 9 ottobre 2017, n. 23617
Presidente Petitti – Relatore Scalisi

Fatti di causa e ragioni della decisione

M.D. evocava, dinanzi al Tribunale di Napoli, E.A. e S. chiedendo che venisse pronunciata, ai sensi dell’art. 2932 c.c., sentenza di trasferimento di proprietà dell’immobile promessogli in vendita. Il giudice adito, nella resistenza dei convenuti, che eccepivano la natura relativamente simulata del contratto preliminare, siccome dissimulante un mutuo con patto commissorio, accoglieva la domanda attorea, con rigetto di quella riconvenzionale.
Sull’impugnazione proposta dagli E. , la Corte di Appello di Napoli, confermava la pronuncia di primo grado respingendo il gravame.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorrono gli E. sulla base di un unico motivo.
L’intimato M. non ha svolto attività difensiva.
Ritenuto che il ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., su proposta del relatore, regolarmente notificato al difensore dei ricorrenti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Atteso che:
l’unico motivo di ricorso (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1421 e 2744 c.c., per aver la Corte di Appello ritenuto tardiva l’eccezione di nullità del contratto preliminare per simulazione, nonostante la nullità fosse anche rilevabile d’ufficio, ed escluso la possibilità di provare con testimoni e presunzioni la natura relativamente simulata del contratto preliminare, nonostante lo stesso fosse illecito per contrasto con il divieto di patto commissorio) è manifestamente fondato.
Deve premettersi che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c., con la conseguente sanzione di nullità radicale, si estende a qualsiasi negozio, ancorché di per sé astrattamente lecito, allorché esso venga impiegato per conseguire il fine concreto, riprovato dall’ordinamento, della illecita coercizione del debitore, costringendolo al trasferimento di un bene a scopo di garanzia nella ipotesi di mancato adempimento di una obbligazione assunta. In particolare, si ritiene pacificamente che il patto commissorio possa essere ravvisato anche di fronte a più negozi tra loro collegati, quando da essi scaturisca un assetto di interessi complessivo tale da far ritenere che il procedimento negoziale attraverso il quale deve compiersi il trasferimento di un bene del debitore sia collegato, piuttosto che alla funzione di scambio, ad uno scopo di garanzia, a prescindere dalla natura meramente obbligatoria o traslativa o reale del contratto (v. Cass. 23 ottobre 1999 n. 11924; Cass. 20 luglio 1999 n. 7740; Cass. 15 agosto 1990 n. 8325), ovvero dal momento temporale in cui l’effetto traslativo sia destinato a verificarsi nonché dagli strumenti negoziali destinati alla sua attuazione e, persino, dalla identità dei soggetti che abbiano stipulato i negozi collegati (Cass. 19 maggio 2004 n. 9466), sempre che questi siano stati concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde risultare idonei al raggiungimento dello scopo finale di garanzia che le parti si erano prefissate (Cass. 28 giugno 2006 n. 14903; Cass. 16 settembre 2004 n. 18655). Ne consegue che, in linea di principio, anche un contratto preliminare di compravendita può incorrere nella sanzione dell’art. 2744 c.c., ove risulti l’intento primario delle parti di costituire con il bene promesso in vendita una garanzia reale in funzione dell’adempimento delle obbligazioni contratte dal promittente venditore con altro negozio collegato, sì da stabilire un collegamento negoziale e strumentale tra i due negozi. È evidente, peraltro, che, allorché lo strumento negoziale adoperato dalle parti in funzione di garanzia sia rappresentato da un contratto preliminare, in tanto può configurarsi un illecito patto commissorio, in quanto i contraenti abbiano predisposto un meccanismo (quale la previsione di una condizione) diretto a far sì che l’effetto definitivo e irrevocabile del trasferimento si realizzi solo a seguito dell’inadempimento del debitore-promittente venditore, rimanendo, in caso contrario, il bene nella titolarità di quest’ultimo.
In tal caso, infatti, il contratto preliminare viene impiegato per conseguire l’illecita coartazione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, per cui non sussiste la causa di scambio, tipica di ogni contratto di compravendita, ma il preliminare costituisce il mezzo per raggiungere il risultato vietato dalla legge (v. Cass. 10 febbraio 1997 n. 1233; Cass. 4 marzo 1996 n. 1657).
Perché, poi, possa configurarsi un collegamento di negozi in considerazione dell’unitarietà della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti – pur se non manifestato in forma espressa ma che può risultare anche tacitamente – di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il collegamento ed il coordinamento di essi per la realizzazione di un fine ulteriore (Cass. 18 aprile 1984 n. 2544). Il detto collegamento tra negozi è configurabile anche quando siano stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi ed interdipendenti, al fine di un completo e complessivo regolamento di interessi (Cass. 30 ottobre 1991 n. 11638).
La corte di appello, nell’impugnata sentenza, non si è attenuta ai riportati principi ripetutamente affermati nella giurisprudenza di legittimità.
Nella specie avendo i ricorrenti fatto valere l’illiceità della fattispecie negoziale unitaria costituita dal collegamento tra un contratto di mutuo e un preliminare di vendita, la prova della simulazione relativa al preliminare ben poteva essere data anche per testimoni o per presunzioni a norma dell’art. 1417 c.c. (in termini v., Cass. 20 luglio 1999 n. 7740). E la prova per testi della simulazione relativa tra le parti è ammissibile anche per gli atti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, laddove, come nel caso di specie, la prova è diretta fare valere l’illiceità del negozio (Cass. 4 maggio 2007 n. 10240), senza trovare ostacolo nella tardività delle sollevate eccezioni (Cass. Sez. Un. 4 settembre 2012 n. 14282).
Il ricorso deve pertanto essere accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio per nuovo esame, alla luce dei principi sopra affermati, ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che provvedere anche in ordine alle spese di questo grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

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